EXCALIBUR 3 - maggio 1998
in questo numero

Lavoro e partecipazione

di Emilio Atzori
È un discorso fuori dalla realtà, oggi improponibile, impensabile...
È un discorso vecchio, di altri tempi, forse dei miei tempi, in cui era almeno possibile parlarne... fantasticarne... sognarne... esercitarsi a ipotizzarlo...
Partivamo da altri punti di riferimento, confortati da precedenti tentativi realizzati in un passato recente, ricco di stimoli e di proposte. Eravamo giovani, si viveva una realtà non nostra, ma ancora impregnata da una cultura di solidarietà e di popolo precedente, che metteva il lavoratore e le sue capacità, almeno come aspirazione, alla base di una «repubblica democratica fondata sul lavoro» (art. 1 della Costituzione) e come obiettivo programmatico il riconoscimento (art. 39) della sua struttura organizzativa (traccia indelebile e residuo storico di una memoria recente difficile da cancellare) e la sua partecipazione (art. 46) alla gestione dell'impresa.
Si sognavano a occhi aperti modelli organizzativi in cui l'operaio era parte attiva dell'impresa, dava il suo contributo di esperienza, di conoscenza, di impegno, in cui investiva tutto sé stesso e in cui partecipava oltre che come operatore, come soggetto comunitario "proprietario" dei mezzi di produzione e "gestore" dell'impresa socializzata. Una visione da sogno che sostituiva all'impresa delle strutture capitaliste, in cui gli uomini prestatori di lavoro erano contrapposti agli uomini prestatori di capitali (legalmente depositari dei poteri decisionali), l'impresa socializzata, che realizzava di tutti gli uomini operanti impresa una sola comunità, unica depositaria, in un sistema articolato, dei potere decisionale.
Impresa che poteva essere (in parte o tutta) privata, ma disciplinata, in relazione alla funzione economica dei beni stessi, per il bene comune, e quindi diventata proprietà socializzata, in quanto riconosciuta distintamente ed esclusivamente alla comunità di uomini di ciascuna impresa.
Questo consentiva l'eliminazione dell'annosa e dannosa dissociazione tra capitale (proprietario dei mezzi) e impresa.
Nell'impresa socializzata infatti pur essendo la proprietà dei mezzi di produzione privata, il lavoro diventa il titolo giustificativo per la sua gestione e per la titolarità degli strumenti e delle tecnologie produttive.
Oggi tutto questo non è possibile, non possiamo neanche più sognarlo...
Sono mancati i punti di riferimento... abbiamo dimenticato... abbiamo superato... siamo altro... È ormai cultura acquisita da tutti, che quasi geneticamente fa parte di noi stessi.
Tutti ormai ci siamo convertiti... il marxismo è obsoleto... il suo superamento in un'originale concezione del lavoro è obsoleto... il socialismo è passato... la socializzazione è un'eresia... il profitto è l'oggi.
Siamo riprecipitati, o abbiamo riguadagnato (dipende dal punto di vista), in un contesto di economia esclusivamente capitalistica, senza nessun richiamo all'uomo, alla sua centralità, al lavoro (sentite la nostalgia?) quale elemento e motore esclusivo dei progresso umano, in cui il lavoratore, il produttore, l'impresa si presenta quale oggetto anziché soggetto dell'economia. L'impresa, il lavoro, l'uomo, la sua fatica, la sua vita è semplicemente una posta nel grosso gioco della speculazione finanziaria o politica che sia. Come puoi sognare di lavoro e di partecipazione quando, per l'attuale sistema politico sociale, l'acquisto di una merce qualunque e l'acquisto di un'impresa obbediscono alle stesse regole del gioco (leggi: "leggi"), in quanto considerate cose l'uno e l'altra.
Come puoi sognare di lavoro e di partecipazione quando non sogna nessuno, se non qualche "matto" come te?
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