EXCALIBUR 15 - dic. 1999 / gen. 2000
in questo numero

Popoli oppressi: il Tibet

Resoconto dal convegno sul Tibet organizzato in ottobre da "Azione Universitaria"

di Luisella Dentoni
Una donna tibetana imbavagliata
Il Tibet, una nazione indipendente con una storia che risale al 127 a.C., è stato invaso nel 1949/'50 dalla Cina. La sua invasione e occupazione sono stati un atto di aggressione e una palese violazione delle leggi internazionali che dura a tutt'oggi.
Il Dalai Lama, Capo di Stato e guida spirituale del Tibet, ha tentato per otto anni di coesistere pacificamente con i Cinesi, ma la sistematica conquista del territorio ha provocato ripetuti atti di repressione.
Il 10 marzo del 1959 la resistenza tibetana è culminata in un'insurrezione nazionale schiacciata dall'Esercito di Liberazione che ha ucciso più di 87000 persone solo nel Tibet centrale. Il Dalai Lama, i membri del suo governo e tantissimi Tibetani sono fuggiti cercando asilo politico in India, Nepal e Bhutan.
Fino a oggi un milione e duecentomila Tibetani (un quinto della popolazione) sono morti come risultato dell'oppressione della Repubblica Popolare Cinese; migliaia di prigionieri politici e religiosi sono detenuti in prigioni e campi di lavoro forzato, dove la tortura è pratica comune; le donne sono soggette a sterilizzazione forzata e a procurati aborti.
Il Tibet, un tempo pacifico Stato cuscinetto tra l'India e la Cina, è stato trasformato in una vasta base militare, che ospita moltissimi soldati cinesi e gran parte della loro forza missilistica nucleare. Monasteri, templi ed edifici storici sono stati razziati e rasi al suolo e le loro opere d'arte distrutte o vendute dai Cinesi; l'insegnamento e lo studio del Buddhismo sono stati proibiti. Alcune delle province tibetane sono state incorporate in quelle cinesi; le cure mediche non sono accessibili a tutti e le strutture migliori sono riservate agli individui di nazionalità cinese. Il Tibet è controllato strettamente dal partito e dall'esercito comunista cinese, infatti Pechino nomina tutti i funzionari superiori del Governo e del partito, la maggior parte dei quali neppure parla tibetano.
Per cercare di far fronte a questa gravissima situazione (senza peraltro riuscirci) le Nazioni Unite hanno approvato tre risoluzioni (nel '59, '61 e '65) che hanno espresso una chiara preoccupazione per la violazione dei diritti umani e hanno invocato «la cessazione di pratiche che privano il popolo tibetano dei suoi fondamentali diritti e libertà, incluso il proprio diritto all'autodeterminazione».
Come se non bastasse, nell''87 il Dalai Lama ha annunciato il "Piano di Pace in Cinque Punti" che ha rappresentato un atto di apertura verso i Cinesi per avviare i negoziati e nel '91 ha proposto la possibilità di una prima visita esplorativa nel suo Paese, ma la risposta è stata negativa entrambe le volte. Finché nel giugno del 1992 si sono ristabiliti i contatti con Pechino e l'ambasciatore cinese a Nuova Delhi ha informato i Tibetani che in passato la politica della Cina è stata "conservatrice" e che se i Tibetani assumessero un atteggiamento "realistico" (cioè più remissivo), il Governo cinese potrebbe mostrarsi "flessibile"! Ma ancora oggi la situazione in Tibet non è migliorata...
Per cercare di capirne di più, il 29 ottobre "Azione Universitaria" ha organizzato un incontro ("Riapriamo le porte del Tibet"), svoltosi nella Facoltà di Scienze Politiche, al quale hanno partecipato Santu Lama Jinpa, profugo tibetano ed ex monaco e il Prof. Emilio Bottazzi, docente di "Storia e Istituzioni dell'Asia Orientale" della stessa Facoltà. Il primo ha raccontato la sua esperienza comune a quella di tanti altri Tibetani che hanno trovato la libertà in Paesi stranieri, mentre il secondo ha illustrato la situazione dal punto di vista storico-politico. Nessuno ha però preteso di risolvere la "Questione Tibetana", ma la nostra speranza è solo quella di aver contribuito, anche in minima parte, a dare voce al popolo tibetano.
Nonostante l'interesse internazionale per il Tibet si sia leggermente risvegliato negli ultimissimi anni, nonostante vi siano state numerose conferenze per discutere le violazioni dei diritti e la questione dello status legale del popolo tibetano, c'è ancora qualcuno che continua ad attuare una spietata repressione su ogni minimo dissenso politico. Chi si sta muovendo per contrastare un simile scenario e cosa si sta facendo per restituire a questo popolo la propria identità? Da che parte stanno l'O.N.U. e il Vaticano? Sono questi gli interrogativi di fronte a un vero e proprio genocidio intenzionale, sono gli stessi che ci siamo posti noi di "Azione Universitaria" nell'organizzare il nostro incontro. La Cina insiste nel presentare la "Questione Tibetana" come una questione del Dalai Lama, ma egli ha affermato che il futuro del Tibet non riguarda il Dalai Lama, bensì il benessere di sei milioni di Tibetani. Sino a quando la Cina non comprenderà i veri sentimenti e aspirazioni del popolo tibetano, sarà molto difficile trovare una soluzione soddisfacente al problema.
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