EXCALIBUR 17 - marzo 2000
in questo numero

Militanza: un modo di vivere!

Cosa significava "militare" negli anni settanta e quali erano le differenze rispetto alla militanza di oggi?

di Isabella Luconi
Militante è per definizione «colui che partecipa attivamente alla vita di un partito, alla sua attività, alle sue lotte», pertanto, se il riferimento letterale della parola è il partito, in Italia si può iniziare a parlare di militanza politica solo dal momento in cui si costituirono i primi due partiti, quello socialista e quello popolare: una élite politica nell'Italia liberale prefascista, lontana dalle masse e dalla realtà del paese.
Bisogna attendere la rivoluzione fascista e la formazione dei fasci di combattimento, perché il termine si colori di sanguigna veemenza e partecipazione alla lotta e agli ideali di vita che il fascismo seppe rappresentare, mentre dalla parte opposta, la costituzione della prima internazionale e le lotte operaie. La forza della passione, la fede cieca nell'ideale di entrambi i movimenti ha poi costituito anche nell'Italia democratica postfascista un riferimento e un modo di concepire la militanza, che viene spesso, se non esclusivamente, intesa come prerogativa e attributo delle forze giovanili.
A tal proposito ho letto con attenzione e desiderio di introspezione i due articoli sulla militanza usciti sul precedente numero di "Excalibur", scritti entrambi da due ex militanti del F.d.G., i quali riportano ambedue una conclusione molto amara, che i dirigenti di Partito farebbero bene a leggere, e sulla quale, ancora meglio, farebbero bene a riflettere. Filo comune, per entrambi gli articolisti, è il ricordo molto vivo del senso di appartenenza a una comunità, sentimento comunque identico a quello dei quarantenni e cinquantenni di oggi, ma, in un confronto con la generazione attuale, sicuramente gioca a favore dei primi l'aver fatto militanza in un periodo storico nel quale «ammazzare un fascista non è un reato».
Il ricordo rischia di non essere oggettivo perché colmo di nostalgia, nostalgia legata anche alla giovinezza che è passata e che non può più tornare. Questo non vuole dire che eravamo "migliori", ma che è cambiato il quadro politico e storico di riferimento, sono mutati i valori della società nella quale viviamo, e quelli che un tempo erano princìpi per i quali valeva la pena combattere e persino morire oggi sono diventati carta straccia.
Nostalgia, forse, ma come non ricordare con emozione quella atmosfera che trasudava dalle mura di Vico San Lucifero, simile, per non dire identica, a quella di qualsiasi altra sede; già, perché allora si chiamavano così, sinonimo di covo, di tana, comunque rifugio dal mondo, dagli altri, per costruire un altro mondo che ci piacesse di più.
Come non ricordare quei caschi che uscivano fuori all'improvviso, quando il grido del corteo dei compagni all'inizio della via si faceva più forte, come un boato che esplodeva dentro il cuore e dentro la testa: «fascista carogna ritorna nelle fogne!»; loro mille-duemila, sempre tanti, e noi dieci-venti, pochi, sicuramente spaventati, ma negli occhi la fiamma che accendeva la passione degli eroi, ragazzini senza barba, improvvisamente adulti, consapevoli che non era un gioco e che forse potevi non vedere il Domani, e con questa consapevolezza uscivamo tutti insieme da quella porta per andare incontro alla vita e alla morte, e sicuramente non ci salvò quel pezzetto di catena che tintinnava nelle tasche di quegli striminziti giubbotti che si usavano allora e che ci distinguevano dall'eschimo dei comunisti.
A volte ci salvò il coraggio e la fede nei nostri ideali, altre volte ci salvò la polizia e altre volte ci salvò persino la galera. In quegli anni sarebbe stato facile procurarsi un'arma, forse giusto difendersi, perché la sproporzione numerica fra noi e i compagni era enorme, ma altri erano gli ideali che ci sorreggevano, e per quanto verbalmente e visceralmente pensassimo che «il comunismo doveva morire», troppo forte era il valore che davamo alla vita e alla libertà di viverla perché qualcuno di noi pensasse intenzionalmente di uccidere un comunista.
Quella era allora la nostra vita, non ne conoscevamo altra diversa, il mondo era rappresentato e vissuto in quella militanza: scontri, galera, sacrificio, dalla mattina alla sera sempre in prima linea, non potevi avere un'altra vita, l'unica che conoscevi era quella. Forse per compensazione, forse perché l'età era quella che era, forse perché troppo grande era l'impegno e la passione nel difendere i nostri ideali, che con la stessa veemenza, con le stesse passioni, trasformavamo, quando non c'era da affiggere o da adempiere ad altre attività, le nottate e le vie di Cagliari in una continua serie di scherzi goliardici che coloravano le notti buie con i colori della Gioventù.
Mi rendo conto di aver scritto un'inesattezza, ho usato il plurale, mentre non ho mai partecipato alle "nottate goliardiche dei giovani fascisti", e sorrido scrivendolo, perché nel ricordo è come se avessi partecipato anch'io, perché il giorno dopo il racconto, l'allegria, il cameratismo coinvolgeva e faceva sentire presente anche chi non c'era.
Non avrei voluto usare e ricordare il termine "cameratismo", accusato oggi di vetustà, nostalgismo retorico, ma quale altro termine usare per descrivere il sentimento che ci unì allora; e credo che non esista al mondo sentimento più forte, che nulla ha a che vedere con l'amicizia. Anzi, molti fra di noi non erano amici, vi erano differenti passioni, caratteri diversi, scontri, antipatie, ma un pezzettino di noi viveva insieme agli altri, e ti dava la certezza che nel momento in cui fossi caduto avresti avuto la mano di un camerata per sorreggerti, e se quella mano non veniva tesa era solo perché chi avevi a fianco non era un camerata. È quello stesso sentimento che dopo vent'anni ti ha permesso di rincontrare un perfetto sconosciuto, e salutarlo come ieri: «ciao, camerata!».
E in questa vita, in questa lotta, ieri come oggi, il Partito non c'era, anzi, forse per noi più spesso cantò il gallo di San Pietro, espulsi quando faceva comodo e non era politicamente corretto averci come tesserati. Ma non ci importava, quello che contava era quella piccola tessera con la fiaccola e non la grande fiamma del M.S.I., ma era comunque il Nostro Partito, e quando questi chiamava noi rispondevamo, e quando non eravamo d'accordo lottavamo perché le cose cambiassero, consapevoli che non erano le idee a essere sbagliate, ma gli uomini che le rappresentavano, perché militanza è anche questo.
È qualcosa che ci ha reso diversi, migliori o peggiori non lo so, ma sicuramente diversi, perché chi è stato militante non smette più di esserlo, e continua nella vita di tutti i giorni, nelle quotidiane battaglie che siamo chiamati ad affrontare, per essere esempio di coerenza con i valori in cui crede e per i quali si è battuto; e allora quella conclusione dei due ragazzi ex militanti del F.d.G. è ancora più amara, perché il riferimento a un valore quale è la militanza non può essere un partito, perché questo valore è dentro di noi, e se i ragazzi di oggi fra vent'anni non potranno incontrare l'amico di ieri e salutarlo con «ciao, camerata», vuole dire che è finita un'epoca, ed è un'altra perdita sulla quale l'uomo dovrà piangere, perché quando cercherà se stesso, non troverà altro che aride zolle.
Continua il dibattito sulla militanza.
Seguono all'articolo di Isabella Luconi sulla "militanza", opinioni, confronti e... divergenze sull'argomento da parte delle nuove generazioni.
Probabilmente, per la maggior parte dei lettori, le argomentazioni non sono conosciute, forse sembrano per pochi intimi, ma è importante che su un aspetto così fondamentale della vita di molti giovani che sono impegnati nella attività politica si riesca ad aprire un dibattito, anche molto acceso, dove si riesca a dissentire senza che ciò comporti separazioni, risse, ecc..
I giovani che in questo numero (e in quello scorso) si confrontano anche con toni aspri, sono gli stessi che oggi si incontrano nella nostra Associazione e, pur nel dissenso su molti temi, riescono a trovare un comun denominatore nei valori e negli ideali che ci uniscono.
Non sarà, forse, che la nostra Associazione, stia cominciando a raggiungere qualche piccolo risultato?
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VICO SAN LUCIFERO