EXCALIBUR 24 - febbraio 2001
in questo numero

Tradizione

di Guido Garau
E così ho preso il pullman e ho cominciato a ritornare.
Sono giunto all'alba, dopo aver dormito per tutta la durata del viaggio, e il risveglio è stato allietato dalla dolcezza dei colori e dalla lievità del cielo, dell'aria, dell'erba verde che vela la montagna come una soffice nebbia.
Camminavo, nella speranza di trovare almeno i resti di ciò che fui, di ciò che fummo.
Mi pareva che da un momento all'altro sarebbe dovuto cominciare un canto, per dirmi che la Barbagia si trovava lì, che c'era ancora il suo mondo e io mi ci trovavo immerso, dentro!
Cercavo qualcuno che parlasse in dialetto: così, dicevo, sentirò qualcosa.
Invece qualcuno che parlava lo sentii; ed era proprio il Sardo che si parla qui da noi, ad Aritzo, ma io ero sempre fuori! Inserii nel mangianastri una cassetta del coro di Orgosolo. Niente. Fuori, FUORI. II mio mondo, cancellato per sempre.
E io camminavo, camminavo.
Pensai a un tratto che avrei ritrovato tutto nella memoria, quando vidi la casa di zio Giovanni, morto qualche mese fa. Lui sì, era un uomo della mia gente. Osservai ancora: là la casa della mia infanzia, quella in cui giocai che era ancora in costruzione. Là la decrepita abitazione di thia Nanna, moglie del defunto Tonino Moi, cavaliere di Vittorio Veneto, di cui avevo visto al petto le gloriose medaglie al valore militare e civile.
E qui la casa di quell'uomo misterioso, di cui non ricordo più il nome, da cui mi portarono, malato di una non accertabile rara malattia, per fare sa mexina 'e s'ogu.
Sogni, fantasie, inganni, riportavano solo il mio spirito fanciullo, I'uomo che fui ieri, la mia vita, non il mio popolo.
Dove trovarlo, dunque?
Vagai ancora e non ricordo più quanto ho camminato.
Mi sono ritrovato così in campagna, a macinare sogni e a sezionare inganni. Perduto e perso, come quel mondo mai ritrovato: non c'è, non c'è mai stata nel reale quest'impronta della storia, questa "sardità" che cerco - pensavo -; ogni tanto mi compare, come in un sogno, una visione. Una fiaba.
Cos'è poi questa idea balorda? C'è stata la nostra vita, ci sono stati uomini che l'hanno circondata e fatta crescere, ma non esiste questo stupido inganno.
Ricordavo tutti gli anziani seduti sulla scalinata della chiesa. Tutti morti, tutti scomparsi. Ma il ricordo più vivo era il sole, che splendeva sui loro visi.
Poi ho spento il mangianastri, per dire basta alla musica e ai canti.
E in un attimo mi è apparsa la nostra valle. Ho girato lo sguardo. Di fronte a me, ora, quel paese di pastori; poi, le montagne del mistero. II Gennargentu.
Ho dato un respiro più profondo e così, finalmente, li ho sentiti.
Sento tutti gli spiriti dei miei avi che si spandono nei polmoni, nella testa, nel cuore, e mi appaiono con le loro vesti e i loro miti e i loro canti a tenore.
E appaiono i loro lamenti, anche, nelle notti buie che si vivono qui da noi, in questa campagna che di giorno ha dolci colori, il cielo lieve e l'erba soffice che vela l'orizzonte di una nebbia ondeggiante.
Tutti vengono a me, gli spiriti di coloro che guardarono questa valle, che vissero questo monte. Tutti quelli che mai ho conosciuto, che rivivono nei miei occhi il loro "essere stati".
E per di qua vedo anche coloro che non sono ancora, e faranno vivere a me un nuovo presente, domani.
C'è un bambino che carica ramoscelli di legna nel cofano di una piccola utilitaria. Stasera si siederà accanto al fuoco, e poi nel buio guarderà le stelle di questa notte che da noi mette così paura. Penserà anche a me, domani.
E così ho finito il mio viaggio e sono tornato.
Ma come spiegarvi, ora, che tutto nasce dal profumo della terra?
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VICO SAN LUCIFERO