EXCALIBUR 30 - ottobre 2001
in questo numero

Globalizzazione: illusioni e realtà

Giudizi troppo aprioristici e benevoli verso il nuovo fenomeno di questo millennio?

di Corrado Meloni
Leggendo l'appassionato, direi travolgente, intervento di Tino Curreli sulla globalizzazione, pubblicato nello scorso numero 29 di Excalibur, sono rimasto impressionato dall'ottimismo e dalle certezze che lo animano, tanto che mi è parso scritto da Emma Bonino o da Marco Panella.
La tesi che sembra sostenere Curreli si potrebbe riassumere nello slogan: «Viviamo nel migliore dei mondi possibili». Eppure, anche nel campo dei più convinti sostenitori della globalizzazione - che certamente non potrebbero essere sospettati di cripto-marxismo o di vetero-fascismo - esistono autorevoli esponenti che avvertono qualche preoccupazione sul presente e sul futuro della globalizzazione medesima. Uno fra questi è senz'altro Antonio D'Amato, presidente di Confindustria, il quale recentemente ha scritto che «la globalizzazione è un processo storico irreversibile, di segno sicuramente positivo, che tuttavia comporta, insieme a grandi vantaggi e opportunità, anche una serie di rischi e di sfide cui bisogna saper far fronte con risposte efficaci a livello transnazionale». Prosegue D'Amato: «Le economie dei paesi più sviluppati vedono [...] moltiplicarsi i mercati di sbocco dei loro prodotti. Vedono crescere occupazione e reddito grazie all'aumento complessivo della domanda. Inoltre la concorrenza mondiale determina una riduzione dei prezzi di numerosi prodotti, migliorando il tenore di vita delle popolazioni. Se è vero che questi sono i vantaggi della globalizzazione, è altrettanto vero che essa di per sé non è in grado di colmare le enormi diseguaglianze che continuano a far la differenza tra paesi ricchi e paesi poveri. Né riesce a distribuire in maniera equa la ricchezza all'interno dei paesi industrializzati che - esposti alla concorrenza di aree a più basso costo di lavoro - possono vedere compromessa la competitività di interi settori produttivi con conseguenti rischi per l'occupazione e il benessere dei lavoratori. L'ingresso dei paesi in via di sviluppo nel circuito produttivo pone inoltre problemi di utilizzo delle risorse umane e di salvaguardia del patrimonio ambientale. Destano, in particolare, preoccupazione lo sfruttamento del lavoro minorile e la scarsa attenzione alle tematiche ambientali».
Questa citazione - assai lunga e me ne scuso - credo sia significativa del fatto che la globalizzazione possa e debba essere vista, anche da chi rappresenta coloro che da essa traggono i più immediati e sostanziosi vantaggi, in un'ottica più problematica di quanto non faccia Curreli. Il quale, nella foga di menare fendenti a destra e a manca, sviluppa un suo ragionamento contro i dogmatici di tutte le risme per concluderlo, paradossalmente, in maniera totalmente acritica (dogmatica, per l'appunto) cantando le lodi del progresso e della libera iniziativa, dei quali la globalizzazione è figlia.
Giova ricordare che gli stessi leader del centrodestra, Berlusconi e Fini, hanno più volte ribadito la necessità di un governo della globalizzazione che si impegni a superare o limitare gli attuali e intollerabili squilibri esistenti sia tra Nord e Sud del mondo, sia all'interno delle stesse nazioni occidentali.
Porsi tali questioni significa essere conservatori? Forse, ma essere conservatori può voler dire tante cose, anche le più sbagliate; tuttavia, difficilmente ci si può vergognare di una simile etichetta quando questa significa aderire a una visione del mondo che della socialità coniugata al libero mercato fa la sua bandiera.
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