EXCALIBUR 33 - gennaio 2002
in questo numero

Il concetto di "Occidente"

L'"Occidente" è qualcosa di molto diverso da quello che intendiamo noi Europei, scopriamo perché...

di Claudio Finzi
Oggi quasi sempre per "Occidente" si intende il complesso dei paesi dell'Europa e dell'America settentrionale anglosassone, ritenendo che esista fra essi comunità di interessi e di sentire: quella che spesso è chiamata "civiltà atlantica". Ma se leggiamo la storia della parola e dell'idea di "Occidente", scopriamo qualcosa di molto diverso: tra la fine del Settecento e il principio dell'Ottocento, nei neonati Stati Uniti d'America il significato della parola "Occidente" è stato trasformato. Nel suo uso attuale essa non è nata per unire Europa e America in un più ampio contesto atlantico, ma, al contrario, per prendere le distanze dal Vecchio Continente.
Nel 1787 Thomas Jefferson scrive che l'America è il paradiso della libertà e della felicità, mentre l'Europa è l'inferno delle monarchie, dove la popolazione è divisa fra agnelli e lupi rapaci. Nel 1801, nel discorso inaugurale della sua presidenza, Jefferson ricorda che fortunatamente un vasto oceano separa gli Stati Uniti dalla guerra che divampa in Europa; nel 1809 afferma che «l'America è un emisfero separato»; nel 1812 e più ancora nel 1820 parla di un meridiano destinato a dividere per sempre «il nostro emisfero» dall'Europa. L'emisfero occidentale è il paese dove «il leone e l'agnello vivranno in pace l'uno accanto all'altro». Argomenti che Jefferson sviluppa, ma che si radicano nella tradizione dei padri fondatori dell'America anglosassone, i puritani fuggiti dall'Inghilterra per fondare il mondo dei veri cristiani sottraendosi al contagio di diabolici "papisti" e di protestanti corrotti.
Con la famosa dichiarazione del Presidente James Monroe del 2 dicembre 1823, che vieta alle potenze europee ogni intervento nell'emisfero americano, l'idea di un Occidente radicalmente separato dall'Europa trova la sua proiezione internazionale. Da allora è un crescendo di affermazioni applicative ed estensive della dichiarazione Monroe, fino alle prese di posizione del presidente Theodore Roosevelt al principio del secolo scorso e alle dichiarazioni diplomatiche del 1940 e del secondo dopoguerra.
È dunque evidente che per "Occidente" gli Statunitensi intendono qualcosa di diverso e contrapposto all'Europa. Non più un Occidente comprendente l'Europa e la sua figlia America, contrapposto all'Oriente asiatico, musulmano, turco, ortodosso e altro, bensì un Occidente americano contrapposto all'Europa. Da un imprecisato punto del Levante o del Vicino Oriente il meridiano separatore si è spostato in Atlantico, marcando un forte rifiuto morale e politico del nostro Vecchio Continente.
L'America, intesa come Stati Uniti d'America, è il paese dove l'uomo buono riesce a sviluppare ordinamenti sociali e politici buoni, mentre l'Europa è il paese del vizio e della corruzione; in America regnano la pace e la libertà, in Europa dominano la discordia e la schiavitù. Il meridiano che deve dividere l'Occidente dall'Europa difende i buoni contro i malvagi in una contrapposizione radicale e insuperabile.
La fine della Seconda Guerra Mondiale segna il trionfo del concetto statunitense di Occidente sia perché gli U.S.A. sono i vincitori del conflitto, sia perché possono ergersi a paladini di alcuni popoli europei geograficamente "occidentali" contro la minaccia sovietica "orientale". Si crea una sorta di corto circuito mentale per il quale gli Europei si convincono di appartenere all'Occidente "libero e liberale" minacciato dall'Oriente "sovietico e comunista", sovrapponendo a divisioni e timori antichi quello che è il nuovo concetto di Occidente, mutuato dagli Stati Uniti d'America. Gli U.S.A., che avevano inventato l'emisfero occidentale per separarsi dall'Europa, riescono così a reintrodurre nel nuovo Occidente l'Europa stessa, ormai "americanizzata".
Chi oggi usa indifferentemente Europa e Occidente come fossero sinonimi, o si sente persino paladino dell'Occidente, non solo commette un grave errore storico e politico, ma si è anche omologato al modo di essere e pensare degli Statunitensi, e, consciamente o inconsciamente, ritiene di essere stato da loro redento o "liberato". In realtà è divenuto loro suddito nell'anima, rinunciando alla tradizione europea.
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