EXCALIBUR 34 - febbraio/marzo 2002
in questo numero

Sardi a Salò: Paolo Orano, il "grande" dimenticato

Continua il ciclo rivolto alle maggiori figure sarde del fascismo

di Elena Finzi
Sopra: Paolo Orano
Sotto: il numero 1 della rivista "Sardegna!", con Paolo Orano tra i collaboratori
La vita.
Paolo Orano nasce a Roma il 15 giugno del 1875 da Giuseppe Orano e Maria Fiorito-Berti, di origine sarda. Peraltro non tutti i suoi biografi ritengono che sia nato a Roma: lo dice nato a Cagliari, per esempio, Giancarlo Dozza nella sua storia dell'Università di Perugia.
Laureato a Roma nel 1898 in Lettere e Filosofia, ha come grande maestro Antonio Labriola. Diviene professore di filosofia nel 1899, insegnò nei licei di Trani, Siena, Senigallia, Tivoli e Roma.
Uomo di molteplici interessi e curiosità intellettuali, nel corso della sua vita Paolo Orano si occupa di storia della letteratura, di storia del giornalismo, di sociologia, nonché di politica. In politica ha una complessa evoluzione, che dalla prima infatuazione per il socialismo lo porta a posizioni di sindacalismo rivoluzionario e quindi alla convinta adesione al fascismo.
Tra il 1894 e il 1903 collabora ad alcuni tra i più accreditati giornali del tempo come "Diritto", giornale democratico romano diretto da G. B. Ballesio, "Don Chisciotte", "Fracassa", "La vita italiana" di Angelo De Gubernatis, "Il corriere di Roma", "La tribuna", "La rivista politica e letteraria" diretta da Primo Levi.
Nel 1896 pubblica "Psicologia della Sardegna", frutto delle osservazioni fatte durante un viaggio di studio nell'isola per conto della Società Geografica Italiana e della Società di Antropologia, in compagnia di Alfredo Niceforo, studioso di problemi sociologici e antropologici al quale anni dopo Orano proporrà di collaborare alla rivista "La lupa". Durante il viaggio conosce Grazia Deledda, allora ancora quasi ignota scrittrice isolana, che considera come colei che avrebbe potuto rivelare al meglio le caratteristiche del popolo sardo.
Nel 1903 diventa redattore sindacalista dell'"Avanti" diretto da Enrico Ferri. Su questo giornale conduce una violenta polemica contro i parlamentari di Montecitorio a causa della quale perde la cattedra, che gli sarà restituita solo nel 1908. Come membro della Federazione Giovanile Socialista partecipa all'agitazione sfociata nel famoso sciopero generale del 1904. In quello stesso anno pubblica "I patriarchi del socialismo".
Appena due anni più tardi, il 10 ottobre 1906, Orano e altri sindacalisti, tra i quali Arturo Labriola, Enrico Leone e Angelo Oliviero Olivetti, dopo il congresso di Roma abbandonano il Partito Socialista.
Negli anni 1907 e 1908, Orano è condirettore di "Pagine libere"; contemporaneamente scrive due delle sue opere più importanti, "I moderni" e "I contemporanei", dopodiché fonda una sua rivista, "La lupa", che dura soltanto un anno a partire dall'ottobre del 1910.
Nel 1914 collabora alla rivista "Sardegna!", fondata da Attilio Deffenu, che poco dopo si arruolerà volontario morendo in combattimento nel 1918.
Volontario in guerra e incaricato della propaganda tra le truppe, Orano nel 1918 è addetto all'ufficio stampa presso le missioni militari italiane all'estero. Pubblica: "Rinascita dell'anima" (1914), "Nel solco della guerra" (1915), "La spada sulla bilancia" (1917), "L'Italia e gli altri alla conferenza della pace" (1919).
Nel 1919 i Sardi eleggono Paolo Orano deputato per il Partito Sardo d'Azione. La sua candidatura è proposta da Egidio Pilia e appoggiata da Emilio Lussu insieme con Mauro Angioni, mentre è osteggiata da Camillo Bellieni e Luigi Battista Puggioni (Sardo Patore). Eletto con 31.013 voti, Orano, insieme con Pietro Mastino e Mauro Angioni, è uno dei tre parlamentari che gli ex combattenti sardi portano in parlamento nelle file del Partito Sardo d'Azione. Da deputato Orano si occupa specificamente di arte, di istruzione e di interessi sardi; anche il suo primo discorso in parlamento prospetta l'importanza nazionale del problema sardo.
Nel 1919 e 1920 è direttore dell'Istituto Italiano per l'Alta Cultura a Parigi.
Presidente della sottocommissione per l'emigrazione in Tunisia, nel 1921 ha occasione di visitare anche questo paese grazie all'incarico da lui ricoperto.
Tra il 1924 e il 1925 dirige l'edizione romana del "Popolo di Italia". Fonda e dirige la rivista "Il Pubblico", che nella sua breve esistenza è quasi interamente scritta da lui e dalla compagna della sua vita: Camilla Mallarmé. Nel 1924 si iscrive al Partito Fascista.
Sempre interessato ai problemi del giornalismo e della sua storia, Orano riesce a ottenere che sia elevata al grado universitario una nuova disciplina: la "storia del giornalismo".
Il 6 dicembre 1931 pronuncia la prolusione su "Giornalismo, opinione pubblica e potere politico".
Dal 1933 al 1935 è preside della facoltà di Scienze Politiche dell'università di Perugia, della quale dal 1935-1936 al 1943-1944 diviene rettore.
L'8 aprile del 1939 è nominato senatore del Regno.
Scrittore fecondo, anche in questi anni dà alle stampe numerosi libri. Di particolare importanza è "Il fascismo", opera in due volumi pubblicati nel 1939-1940, nei quali ripercorre la storia italiana degli ultimi decenni fino all'avvento e al consolidamento del fascismo, storia alla quale egli stesso aveva attivamente partecipato. Il primo volume, "Vigilia sindacalista dello Stato corporativo", è dedicato soprattutto agli avvenimenti che hanno preparato il fascismo; il secondo è "Rivoluzione delle camicie nere". "Lo Stato totalitario" comprende invece l'avvento del fascismo stesso e i suoi sviluppi fino al 1939.
Resta al suo posto di rettore dell'università fino al momento dell'occupazione di Perugia da parte delle truppe alleate, quando viene internato nel campo di prigionia di Padula. Qui muore il 7 aprile del 1945 per la perforazione dell'ulcera duodenale, probabilmente non curata o fintamente curata, come ricorda Valentino Orsolini Cencelli nel suo diario del campo di Padula da poco pubblicato.

Il pensiero e le opere sui Sardi.
Dimenticato per lunghi anni, a Paolo Orano ha dedicato la sua attenzione recentemente Francesco Germinario, che lo ritiene uno dei pochi esponenti della campagna antisemita del regime fascista che potesse vantare una militanza razzista di circa quarant'anni. Orano avrebbe avuto dimestichezza con le questioni razziali e antropologiche perché era stato un esponente del dibattito su razza, delinquenza e carattere degli Italiani, che si era sviluppato alla fine del secolo XIX nella cultura sociologica italiana.
I primi elementi di razzismo sarebbero già presenti nelle opere giovanili di Orano, soprattutto in "Psicologia della Sardegna", il saggio del 1896 già ricordato, che Germinario, evidenziandone soprattutto le descrizioni negative della popolazione sarda, considera un vero e proprio manifesto della letteratura sociologica di fine Ottocento sull'inferiorità delle popolazioni meridionali. In realtà, in questo lavoro, Orano, chiaramente affascinato dalle bellezze dell'isola, ha descritto in modo dettagliato sia il paesaggio sia gli uomini della Sardegna, individuando gli elementi negativi dell'epoca ma mostrando di avere fiducia nelle capacità di riscatto della popolazione sarda attraverso diversi mezzi tra i quali l'istruzione. Secondo Orano il governo italiano doveva aiutare la Sardegna, perché essa già da sola offriva prodotti e forme morali che, guidate, a loro volta avrebbero aiutato l'Italia intera. Orano riteneva possibile trasformare in un qualcosa di positivo anche i peggiori difetti, come ad esempio il fatto che i Sardi fossero dei cacciatori non soltanto di cervi ma anche di uomini: «Servirsi di quelle tendenze per farne qualche cosa di buono che non stoni con le tendenze stesse ma che da esse pigli via e maniera. Un corpo militare, una colonia di cacciatori, ad esempio, che poi commercino quello che acquistano col fucile. Non troncare, se se ne vuol far restare il meglio, ogni tendenza». In conclusione Orano affermava che la situazione, per quanto ancora grave, stava comunque migliorando. Non a caso sottolineava che i giovani sardi cominciavano a farsi conoscere per il loro ingegno sia nelle scienze che nel lavoro.
Orano scrisse ulteriormente della Sardegna nel testo "La spada sulla bilancia" del 1917, rivelando tutto il suo attaccamento all'isola e sottolineando che tutto quello che aveva scritto nel suo primo lavoro andava ancora ribadito. La Sardegna per lui era una terra dalle grandi potenzialità non sfruttate; c'erano stati dei progressi negli anni precedenti, ma non erano sufficienti. Incitava il governo a utilizzare tutte le risorse che la Sardegna poteva offrire: da quelle minerarie, evitando così che l'Italia dovesse acquistarle dalla Germania, allo sfruttamento del mare e dei suoi scali commerciali. Il governo avrebbe dovuto creare un centro industriale, ricordandosi che la Sardegna non aveva prodotto soltanto soldati, ma era stata la terra che aveva salvato la dinastia dei Savoia e anche la patria della più grande donna italiana, Eleonora d'Arborea, che Orano ricorda essere stata una legislatrice, una regina e infine una guerriera. Adesso Orano si augurava che il paese divenisse il centro della borghesia industriale italiana.
Due anni dopo, nel 1919, tornava a occuparsi della Sardegna scrivendo "Il grido della razza", in cui spingeva i Sardi a farsi sentire in parlamento, perché fino a quel momento le esigenze dell'isola non erano state prese in considerazione. Ribadiva che doveva essere la Sardegna a conquistarsi il parlamento, senza aspettare che il parlamento decidesse di accettare le sue richieste. La Sardegna possedeva «quattro tesori: razza, giacimenti minerari, mare, terra»; ricchezze che dovevano essere preservate, soprattutto la razza, impedendo che il proletariato sardo abbandonasse il paese per cercare lavoro. Questa regione avrebbe avuto la possibilità di essere un centro industriale se solo fossero state sfruttate le miniere, i marmi e le altre ricchezze materiali, che dovevano però essere gestite direttamente dai Sardi.
Da quello che scrive Orano sulla Sardegna non è dunque possibile dedurre un suo razzismo contro i Sardi e i meridionali. Le opere sulla Sardegna di Alfredo Niceforo e di Paolo Orano furono apprezzate anche dagli intellettuali sardi. Grazia Deledda dedicò uno dei suoi romanzi, "La via del male", «ad Alfredo Niceforo e a Paolo Orano che amorosamente visitarono la Sardegna».
Il libro di Orano è una appassionata descrizione della realtà sarda di quei tempi e non una dimostrazione dell'inferiorità di un popolo. Esistono almeno cinque elementi per i quali non si può parlare di un giudizio irrimediabilmente e razzisticamente negativo di Orano sull'isola e i suoi abitanti. Il primo è che il libro sulla Sardegna fu apprezzato dagli stessi intellettuali sardi. Il secondo è la convinta collaborazione di Paolo Orano alla rivista "Sardegna!" di Attilio Deffenu. Il terzo è che Orano fu candidato nelle file del Partito Sardo d'Azione: se fosse stato un nemico della Sardegna non avrebbe accettato di presentarsi per un partito isolano, e se i sardisti lo avessero ritenuto tale non glielo avrebbero chiesto. Inoltre bisogna sottolineare che la famiglia di Paolo Orano era di origini sarde. Infine dobbiamo ricordare che il libro di Paolo Orano sulla Sardegna fu ristampato a Cagliari proprio in quell'anno - 1919 - che lo vide candidato per il Partito Sardo d'Azione. Se il libro fosse stato così inviso ai Sardi, difficilmente avrebbe trovato un editore a Cagliari e in quella data. Non credo quindi, in conclusione, che questo testo possa essere considerato testimonianza attendibile e convinta di un presunto razzismo di Orano contro i Sardi e i meridionali.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO