EXCALIBUR 42 - maggio 2003
in questo numero

Storia senza il paraocchi del giudizio politico

L'intervento dell'On. Mirko Tremaglia, assente giustificato al convegno sui Sardi nella R.S.I.

di Mirko Tremaglia
A sinistra: l'On. Mirko Tremaglia
Sotto: rassegna stampa sul convegno (cliccare sull'immagine per ingrandire)
Egregio Presidente, inderogabili impegni istituzionali m'impediscono di prendere parte al convegno "Sardi nella Repubblica Sociale Italiana - R.S.I.: una repubblica necessaria" che l'associazione culturale "La Fiaccola" organizza a Cagliari per la giornata odierna.
Desidero tuttavia esprimere a Lei, agli organizzatori e ai partecipanti tutti il mio personale sostegno alle finalità di questa lodevole iniziativa che si propone, a ridosso del 25 aprile, di rileggere una pagina assai trascurata della storia nazionale, riscoprendo motivazioni ideali e ragioni di legittimità storica e giuridica della R.S.I..
Ripeto anche in quest'occasione un punto fermo che mi è particolarmente caro, e dal quale solo si può ripartire per una riflessione sul passato del nostro Paese che prescinda da pregiudizi e ostracismi preconcetti: la storia non può e non deve mai essere strumentalizzata dalla politica. Ciascuno di noi difende la sua vita e le sue scelte, soprattutto se, come le mie, compiute nel nome degli ideali dell'onore e della difesa della Patria. Ho avuto modo di ribadirlo anche recentemente, proprio in occasione del 25 aprile, in una lettera che ha pubblicato un grande quotidiano nazionale. Ho creduto - avevo scritto tra l'altro - necessaria la R.S.I. di fronte alle vicende dell'8 settembre che determinarono l'ira di Hitler contro l'Italia. L'8 settembre lasciò il popolo italiano e l'esercito italiano, da Roma in su, abbandonati e senza ordini. Ma Hitler mandò a Mussolini quel famoso telegramma, pubblicato da Renzo De Felice: «Se voi non assumete il comando della nuova Repubblica, io mi comporterò in Italia come ho fatto in Polonia, e peggio».
Sono chiarissimo contro il revisionismo: ognuno difende la propria vita e non la rinnega. Noi abbiamo continuato a combattere a fianco degli stessi con cui avevamo cominciato la guerra, gli altri hanno scelto di allearsi con gli Angloamericani e con Stalin. Questa è la verità. Per le conseguenze della Seconda guerra mondiale, aggiungo che i popoli dell'Europa Orientale, dalla Polonia alla Germania Est, fino all'Ungheria, alla Romania, all'Albania, alla Cecoslovacchia, alla Bulgaria, ecc., alla fine del conflitto sono rimasti sotto il giogo del bolscevismo e hanno subito la dittatura comunista, senza libertà. Sono occorsi altri quarant'anni di guerra fredda per ottenere la caduta del Muro di Berlino e la libertà.
Ora occorre guardare agli Italiani: dopo cinquant'anni è necessario che quanti non si sono macchiati di crimini si stringano la mano sul piano della pacificazione nazionale. Luciano Violante, rivolto a me nell'aula di Montecitorio, il 14 marzo 2001 ha affermato: «Noi dobbiamo tramandare alle nuove generazioni i princìpi e gli ideali per i quali abbiamo combattuto, diversi tra noi, ma che tutti si identificano nella storia del nostro paese, come si identifica la sua vita» - parole, ripeto, rivolte a me, come risulta dal resoconto stenografico. Questo può essere il primo passo verso la pacificazione.
Io che ho visitato a Trieste, nello stesso giorno, le foibe di Basovizza e la Risiera di San Sabba, alla vigilia del 25 aprile voglio dire che è giunto il momento finalmente di applicare una legge della Repubblica (9 gennaio 1951 n. 204) sulle onoranze ai Caduti in guerra. Questa legge prevede le onoranze anche per i Caduti della Repubblica Sociale Italiana. Lo dico a tutte le Istituzioni perché rispettino la legge. Così io mi comporto: anche ufficialmente, come Ministro della Repubblica, onoro pure questi Caduti. Per questo parlo di Giornata della Pacificazione, con l'onore e la devozione verso i Caduti di una parte e dell'altra.
Questa è civiltà e, ripeto, osservanza della legge della Repubblica. Non possono essere certamente dimenticati tutti i morti uccisi finita la guerra e quelli degli eccidi dopo il 25 aprile: le foibe, il triangolo della morte e, tra le altre, le stragi di Oderzo, di Schio, di Codevigo, di Rovetta e di Vercelli.
Egregio Presidente, affido a Lei e a tutti i partecipanti al convegno questa riflessione che ho posto a base della mia attività politica e dell'impegno affinché il 25 aprile diventi "Giornata della Pacificazione e dell'Unità Nazionale". I tempi, ne sono certo. sono maturi. E iniziative come la Vostra non potranno non incidere a fondo sulla formazione di un'Italia capace di guardare alla Storia senza il paraocchi del pregiudizio politico e quindi in grado di onorare chi, pagando con la vita, ha combattuto per essa.
Con viva cordialità Vi saluto.
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