EXCALIBUR 44 - settembre/ottobre 2003
in questo numero

Fini, gli Ebrei, il fascismo

Quali sono le reali mire di Fini quando abiura anche l'"inabiurabile"?

di Angelo Abis
Sopra: Gianfranco Fini in Israele
Sotto: la testata della rivista "Artecrazia"
È noto che il teorema espresso, in quel d'Israele, da Gianfranco Fini - II fascismo sta alle leggi razziali del 1938 come il nazismo sta all'olocausto, ergo anche il fascismo è un "male assoluto", compresa la sua ultima propaggine che fu la Repubblica Sociale Italiana - ha suscitato un'ondata di consensi, più apparenti che reali. Consenso che non deriva, come si potrebbe pensare, dall'adesione al neopensiero "revisionista" di Fini, visto che il mondo politico italiano si è posto un unico problema: dove vuole andare a parare? Vuole succedere al Cavaliere? Vuole entrare nel Partito Popolare Europeo? Vuole il Ministero degli Esteri? E tutto il variopinto schieramento anti-berlusconiano non poteva che, strumentalmente applaudire: «Avete visto che fine antifascista è Fini. Altro che il Cavaliere, che diserta i festeggiamenti del 25 aprile, mostra apprezzamento per il Duce e per i luoghi del confino, con l'aggravante di dire queste cose dopo abbondanti libagioni».
Tutto ciò è palese dimostrazione che quanto detto da Fini non ha niente a che vedere coi fatti della storia né con le ideologie, ma ubbidisce alla ferrea legge della politica per cui "il fine giustifica i mezzi" o se si preferisce "Parigi vale bene una messa". Il vero dramma, per chi voglia valutare politicamente l'operato di Fini, è che il suo fine sfugge, e quindi non si capisce la congruità o meno delle affermazioni atte a conseguire tale fine. A noi, almeno in questa sede, non interessano più di tanto gli obbiettivi di Fini, quanto il riscontro che le sue affermazioni possono trovare nei fatti storici, delle idee o della ideologia che dir si voglia.
Va innanzitutto chiarito che attribuire al fascismo - idea o ideologia - la responsabilità della discriminazione degli Ebrei è quanto meno fuorviante, sarebbe come dichiarare la democrazia svizzera "male assoluto" solo perché i suoi governi, prima e durante il secondo conflitto mondiale, respinsero alla frontiera 30 mila Ebrei in fuga per le persecuzioni naziste, o "male assoluto" la democrazia statunitense solo perché alcuni suoi governi si resero responsabili del genocidio dei pellerossa.
Il paradosso è che quanto affermato dal "postfascista" Fini è in antitesi, e non da oggi, da ciò che viene sostenuto dagli storici ebrei. Così Zeev Sternhel, storico delle idee, professore di scienza politica presso l'università di Gerusalemme, politicamente di estrema sinistra: «In Italia, all'antisemitismo militante praticato da certi fascisti corrisponde un ampia diffusione del fascismo proprio fra gli Ebrei: gli Ebrei fascisti non si contano, e la loro percentuale in seno al movimento è di gran lunga superiore a quella degli Ebrei nella popolazione della penisola. Come si sa, le leggi razziali verranno promulgate in Italia soltanto nel 1938, e negli anni di guerra gli Ebrei si sentiranno nettamente meno in pericolo a Nizza o in Alta Savoia, territori occupati dalle truppe italiane, piuttosto che a Marsiglia, rigidamente controllata dalla polizia di Vichy». E ancora: «Il razzismo non è dunque una delle condizioni necessarie per l'esistenza di un fascismo [...]. Ciò spiega perché una teoria generale che pretendesse di inglobare il fascismo e il nazismo non potrebbe che fallire su questo aspetto essenziale del problema» (da "Nascita dell'ideologia fascista" - pagg. 11-12 - Edizioni Baldini & Castoldi Milano 2002).
Ancora più incisivo lo storico Yenoshua Port, che, qualche giorno dopo la visita di Fini in Israele, in un editoriale pubblicato sul più diffuso quotidiano israeliano "Yediat Alarouat" ha scritto: «Nei primi 16 anni del regime fascista (1922-1938) gli Ebrei italiani godevano di piena parità di diritti. Il cambiamento è avvenuto più tardi, in seguito all'annessione dell'Austria, che ha suscitato nell'animo di Mussolini la paura di Hitler. Appena allora Mussolini ha provveduto a una legislazione antiebraica, la cui applicazione, comunque, è avvenuta senza entusiasmo e soltanto in maniera parziale. È molto importante il fatto che il regime fascista Italiano abbia salvato migliaio di Ebrei in due regioni conquistate dal suo esercito: il sudest della Francia e la Croazia jugoslava. La prima zona d'occupazione [...] divenne una terra d'asilo richiestissima, quasi un paradiso per gli Ebrei francesi [...]. Anche in Croazia gli Italiani hanno frenato gli antisemiti locali e hanno persino creato difficoltà per i Tedeschi nel realizzare la loro "soluzione finale" in tutta la sua portata [...]. Anzi, al ritorno dalla Croazia, avvenuto anch'esso nell'estate del 1943, l'esercito italiano fu accompagnato da migliaia di profughi ebrei, che sono approdati prima a Corfù e poi in Italia salvandosi dalle grinfie naziste. Tutta questa attività si svolse su ordine dell'amministrazione fascista italiana, impartito al comandante dell'esercito, in risposta alla sua domanda su come avesse dovuto comportarsi nei confronti degli Ebrei, e con l'esplicita approvazione di Mussolini [...]. Gianfranco Fini fa rabbia ai nemici d'Israele in Italia e in Europa non tanto per il suo passato, ma per le sue posizioni del presente».
Quindi in Italia, contrariamente a quanto avvenne nel resto dell'Europa, esistette e prosperò una forte componente ebraica del fascismo (anche in Palestina, negli anni trenta ci fu un movimento filofascista di cui l'attuale Likud si proclama erede), che ebbe un ruolo non trascurabile nella stessa ascesa di Mussolini e nella connotazione ideologica del fascismo (il mito di "Roma imperiale" fu opera principalmente della Sarfatti). Nel 1938, dei circa 40 mila Ebrei italiani 11.125 risultavano iscritti al P.N.F., 739 si erano iscritti al partito prima del 1922, 250 erano "sciarpe littorio", cioè squadristi che avevano partecipato alla marcia su Roma, mentre 3 erano i "caduti per la rivoluzione".
La comunità ebraica che aveva partecipato alle lotte per creare lo stato risorgimentale e che fu irredentista nei territori italiani dell'impero Austro-Ungarico, essendosi tra l'altro completamente italianizzata ed essendo infine ceto medio, non poteva non guardare con simpatia al fascismo e da questo esserne ricambiata, tant'è che Mussolini, nel 1920, scriveva sul "II Popolo d'Italia": «In Italia non si fa nessuna differenza tra Ebrei e non Ebrei, in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all'economia [...]. La nuova Sionne gli Ebrei italiani l'hanno qui, in questa nostra adorabile terra, che del resto molti di essi hanno difeso eroicamente col sangue».
Senza ombra di dubbio le leggi razziali aprirono un gravissimo vulnus nell'ideologia fascista, che non aveva in sé ne il razzismo ne tanto meno l'antisemitismo. Con queste leggi gli Ebrei venivano discriminati non solo in quanto Ebrei, ma anche nel loro sentirsi Italiani e fascisti. Lo capì al volo un "fascista doc" come Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del futurismo, il quale non si peritò di organizzare a Roma, in un teatro, una pubblica manifestazione di solidarietà agli Ebrei, e senza tanti peli sulla lingua scrisse sulla rivista "Artecrazia" (subito sequestrata): «Oggi è la guerra agli Ebrei che vi fa giuoco, ma fra un Ebreo, vecchio combattente, squadrista, legionario fascista, e un pseudofascista comunista, arruffa tutto, ruffiano [...] sono decisamente per il primo. E quando si parla di internazionale giudaica antifascista, resto perplesso, mi domando se questa internazionale è formata dai 60 mila Ebrei residenti in Italia, che il Duce stesso affermò non costituire e non aver mai costituito un pericolo per noi, o non è piuttosto formata da voi, che servite così indecentemente male il regime [...]. E mi domando sempre più perplesso, se non siete voi e non gli Ebrei, che attraverso queste ricorrenti campagne vi siete accollati il compito di spazzar via questi ultimi pochi, pochissimi autentici fascisti della vigilia che sono ancora in circolazione».
E Mussolini? Storicamente non vi è dubbio che lo strappo che si creò con le leggi razziali nell'ideologia del fascismo ricade interamente su di lui, come su di lui ricade tutto il bene e tutto il male che gli Ebrei italiani (per gli Ebrei stranieri fu solo bene) subirono nel Ventennio. Un duce buono o malvagio, servo di Hitler o protettore occulto degli Ebrei? Niente di tutto questo e gli unici che l'avevano capito da subito furono proprio gli Ebrei.
Ecco cosa scrive nel 1934 Herman Swith nel giornale palestinese "Haaretz": «È stupido dire che Mussolini ami oppure odi il popolo ebraico. Egli semplicemente ama l'Italia. Però il Duce, a guisa degli altri uomini di governo, si interessa della questione ebraica senza troppi sentimentalismi, né pregiudizi, né odi, né disdegni. Per Mussolini l'ebraismo è una pedina sulla scacchiera della politica mondiale».
La chiave di lettura di Mussolini politico e statista (non solo per la questione ebraica) è tutta qui. L'"amore per l'Italia", che tradotto in termini politici suona come "interesse nazionale" o "ragion di stato". Mussolini, dalla dittatura ai patti Lateranensi, dall'alleanza con la Germania all'entrata in guerra, sacrificò di volta in volta sull'altare dell'interesse nazionale e della ragion di stato seguaci e oppositori, amici e nemici dell'Italia, subordinando alla grande politica gli interessi, i sentimenti e le idee personali e alla fine anche la sua stessa vita. Per questo il Duce potrà non piacere a Fini, ma di certo trova apprezzamento fra tutti gli storici seri (Ebrei compresi), che non avendo preoccupazioni di ordine politico lo considerano senza tante storie fra i grandi statisti del XX secolo.
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