EXCALIBUR 46 - luglio 2007
in questo numero

Fare o non fare?

Critica a una politica schiava degli ultras ambientalisti

di Beppe Caredda
Il dibattito in corso sulla questione ambientale ha ormai raggiunto livelli di contraddizione e confusione insopportabili. L'effetto più evidente e deleterio è il processo di paralisi che sta investendo l'azione politica e l'attività amministrativa della cosa pubblica. Si ha come l'impressione di essere stretti fra l'innata, indiscutibile necessità di "fare" e la pur argomentata ma contraddittoria e indimostrata esigenza di "non fare". In attesa che si sciolgano (mai) questi nodi e ci si converta (improbabile) all'una o all'altra tesi, si sono inventate tutta una serie di norme, procedure e attività di compromesso che però, ingarbugliando la questione, non spingono alla soluzione dei problemi ma al più consentono solo un'ambigua e moderata accondiscendenza a "fare senza tuttavia modificare". Va da sé che il settore in cui si può "fare senza modificare" è quello improduttivo e spendaccione in cui, guarda caso, finiscono molte delle risorse pubbliche altrimenti destinabili - vogliamo esagerare? - a infrastrutture viarie, al sostegno dell'industria, dell'impresa o dell'agricoltura, insomma del lavoro e del progresso. Vedere finanziamenti comunitari per credere.
Ma così a rimetterci sono sia l'ambiente che l'attività umana, e i problemi anziché semplificarsi si complicano non poco. Perché un fatto è certo: l'ambiente come lo si vorrebbe non migliora e la qualità della nostra vita ne risente. Il sistema sociale, l'organizzazione del territorio, la spinta al progresso ristagnano. La realizzazione di un progetto oggi costa infinitamente più di ieri e i risultati non sono quasi mai quelli attesi. La questione ambientale, per come oggi si pone, è a un bivio: o ritratta e ammette che solo con il "fare" è possibile trovare soluzioni anche ai problemi ambientali, quando veri e concreti, o è destinata a coprirsi di vergogna per l'evidente presunzione della sua proposta, demagogicamente spinta e trasversalmente infiltrata in ogni attività dell'agire umano.
Il processo di sviluppo delle politiche ambientali è in crisi e non meravigliano certe prese di posizione del nostro governo regionale tutte incentrate a favorire un sorta di localismo regressivo di cui francamente non si sente alcuna necessità.
Se sfrondiamo la questione ambientale dalle sue strumentali pretese e dalle fantasie apocalittiche, rimane semplicemente il problema del buon governo, della domanda diffusa di un salto di qualità della politica, di un governo capace di gestire i piccoli e grandi processi di trasformazione tecnologica, culturale e sociale. Bisognerà pur parlarne. Bisognerà affrontare una volta per tutte la necessità della modernizzazione, dell'innovazione prima che il progresso altrui ci cacci nei nuraghi, vincolati! Il mondo corre mentre la Sardegna si sta condannando a rimanere luogo dell'immobilismo, della statica; vetrina, neanche tanto interessante, da guardare e non toccare.
Quel che serve quindi è rimettere in moto il processo di sviluppo e di crescita economica, ma soprattutto far capire alla gente che si intende "fare" per produrre sviluppo, lavoro, ricchezza, e con essi rendere disponibili le risorse necessarie per la contestuale salvaguardia della salute umana e della tutela dell'ambiente. Così come avviene in tutti i Paesi ricchi, moderni e democratici, che guarda caso sono anche quelli in cui si vive meglio e di più. Dove in fin dei conti è nata (Stati Uniti) e si è sviluppata (Europa) la problematica ambientale: non come critica al sistema occidentale e relativo sviluppo industriale, ma piuttosto ai condizionamenti che esso esercitava sulla qualità della vita; una critica che poneva quindi questioni di scelte riformiste, un impegno per migliorare, col crescente sviluppo economico, le politiche di governo a favore della tutela ambientale.
La storia politica della questione ambientale è iniziata proprio con i provvedimenti adottati dagli Stati Uniti, presidente Nixon, nel 1969-70. Nacque così e si rinforzò il movimento ambientalista che subito dimostrò di avere una peculiare caratteristica poi mantenuta costante nel tempo: quella di distorcere e falsificare la realtà delle cose, tanto che definì "evento di dimensione storica" non i provvedimenti di Nixon a favore dell'ambiente e della qualità della vita, ma le generiche e strumentali proteste del 1970 contro l'inquinamento, il militarismo e la stessa amministrazione Nixon: proprio quella che per la prima volta aveva inserito l'ambiente nelle politiche di Governo!
Come vanno oggi le cose lo osserviamo quotidianamente nei fatti di cronaca e nelle scelte politiche del governo sia regionale che nazionale. Dell'ambiente e della qualità della vita se ne fregano o meglio utilizzano la questione ambientale, ultima risorsa del loro arrugginito armamentario ideologico, per contrastare la politica del "fare", di per sé stessa necessariamente innovatrice e naturalmente proiettata a raggiungere traguardi costantemente compatibili con le esigenze di maggior benessere, per l'uomo e per l'ambiente. Ma questa politica non appartiene alla loro storia e alla loro cultura. Per stare al potere e goderne i benefici devono cavalcare la protesta ambientalista a oltranza e non sanno inventare altro che concetti come questo che riprendo da "Libero" del 20 giugno: «Oggi più che mai lo sviluppo sostenibile non può essere affrontato a compartimenti stagni, ma tocca ogni aspetto della nostra quotidianità in un gioco di delicati equilibri e interrelazioni, da cui dipende la sopravvivenza del pianeta e delle generazioni che lo abiteranno». Oddio! Per fortuna leggo anche che sta per nascere un "Comitato per lo Sviluppo Economico", proposto da alcuni esponenti del centrodestra, che punta a dar voce all'Italia del "fare". Come? Proponendo progetti concreti da inserire nel futuro programma elettorale. Bene... in Sardegna quando incominciamo?
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