EXCALIBUR 48 - febbraio 2008
in questo numero

Putin, nuovo zar della Russia

Da Gorbaciov a Putin: difficoltà e incongruenze di una società complessa

di Angelo Marongiu
Vladimir Putin si riposa dopo le presidenziali fatiche
L'invasione dell'Afghanistan da parte delle truppe sovietiche, nel dicembre del 1979, fu una delle cause - forse la più importante - della profonda crisi economica che, associata alla mancata vittoria militare, provocò il crollo dell'impero sovietico.
Nel 1985 venne eletto Segretario Generale del P.C.U.S. Mikhail Gorbaciov.
Il nuovo Segretario cercò di introdurre nel paese riforme radicali: ristrutturazione nell'economia e nell'apparato statale ("perestroika") e trasparenza a livello burocratico e culturale ("glasnost"). Rafforzò i poteri del presidente e dei corpi elettivi delle Repubbliche dell'Unione a scapito del partito. Il suo errore fu quello di privilegiare un processo di trasformazione della società russa fondato soprattutto sulla riforma economica della stessa. Un enorme processo che fu condotto senza una reale conoscenza della società sovietica e senza una capacità di prevedere gli esiti socialmente catastrofici e politicamente autoritari che ne sarebbero scaturiti.
Nel 1991, dopo un fallito tentativo di colpo di stato, emerse la figura di Boris Eltsin, che relegò Gorbaciov in posizione subalterna. Questi diede le dimissioni da Segretario generale del partito sospendendone l'attività e consegnò nelle mani dei riformisti l'esercito e il K.G.B..
Nel dicembre del 1991 l'U.R.S.S. decretò il proprio scioglimento e Gorbaciov scomparve dalla scena politica.
Boris Eltsin fu il primo Presidente liberamente eletto nella storia della Repubblica Russa e rimase in carica fino al 1999.
La sua strategia economica aveva lo scopo di recidere il cordone ombelicale tra il potere politico e l'economia, ma il controllo del patrimonio statale finì con il passare nelle mani di personaggi comunque legati al Cremino. Alcuni banchieri riuscirono ad acquistare a prezzi stracciati le più redditizie società energetiche di stato: Jukos, Sibneft, Lukoil. Vi fu un generale rallentamento dell'economia, e a patirne le conseguenze furono soprattutto le classi medie.
Schiacciato dalle contraddizioni tra la povertà dilagante e una democrazia sostanzialmente incompiuta, nel 1999 si ritirò dalla vita politica, minato anche da problemi di salute.
Nel marzo 2000 Vladimir Putin, a soli 48 anni, venne eletto Presidente della Federazione Russa: egli condusse la sua campagna elettorale nel più totale spregio di qualunque confronto politico, senza accettare alcuna forma di discussione con altri esponenti. Basò la sua campagna sulla spinosa e irrisolta questione della Cecenia, risvegliando il frustrato orgoglio russo: fu eletto al primo scrutinio con oltre il 50 per cento dei voti.
Il punto cruciale che dovette affrontare fu quello economico, pesante eredità dello sgangherato programma di privatizzazioni avviate negli anni novanta. Putin, da ex funzionario del K.G.B., crebbe coltivando il mito della grandezza sovietica. Eletto presidente decise di utilizzare le immense risorse energetiche presenti nel sottosuolo euro-asiatico per riportare Mosca al centro della scena internazionale. Mise in moto un processo di rinazionalizzazione delle principali industrie russe, con un'operazione in perfetto stile sovietico. Chi obbediva ai suoi diktat poteva restare al vertice delle grandi industrie mettendosi al servizio del supremo interesse del paese. L'ex presidente di Jukos, Mikhail Khodrkovsky, tentò di opporsi ai disegni del Cremlino e finì in un carcere siberiano. L'utilizzo dell'arma energetica permise a Putin di riconquistare il controllo su alcune delle ex repubbliche sovietiche e fece nascere un contenzioso, sopito e risvegliato in questi anni, con l'Ucraina e la Bielorussia.
La caratteristica strutturale del sistema russo che Putin volle introdurre nel sistema economico si basa sul primato del monopolio energetico sull'economia e sulla fusione di potere e proprietà. Questa impostazione scaturisce dalla storia e dalla geografia della Russia, ma è anche conseguenza - non si sa quanto voluta - degli errori commessi nel passaggio all'economia di mercato impostata da Gorbaciov e continuata da Eltsin. Non è un caso che il P.I.L. della Russia, ai minimi storici tra il 1990 e il 1996, abbia ripreso a crescere dal 1999, anno della scomparsa di Eltsin dal palcoscenico politico. La Russia è ora al decimo posto tra le economie più ricche del mondo, e nel 2006 gas e petrolio hanno contribuito per oltre il 40 per cento alla formazione del P.I.L..
Le materie prime sono considerate un bene primario per il paese e quindi messe a disposizione dello Stato e al riparo dagli stranieri. Questa è la logica fondamentale del capitalismo russo: controllare il mercato poiché la potenza della Russia dipende dal suo potere economico; un nazionalismo esasperato sostenuto dal gas e dal petrolio. È evidentemente uno sviluppo squilibrato, poiché esposto alla vulnerabilità del prodotto e del mercato dei prezzi. La limitazione degli investimenti stranieri nel settore energetico ha come conseguenza una bassa produttività complessiva, soprattutto nelle medie e piccole imprese, con un'ulteriore conseguenza nella diminuzione dell'innovazione tecnologica.
È una mappa del potere economico che mostra la forza dell'economia russa, ma nello stesso tempo anche la sua debolezza.
Nel versante più prettamente politico si assiste a una specie di affrancamento dalle posizioni che il mondo occidentale ha assunto in merito alle più importanti questioni mondiali. Lo testimonia la sua libera posizione, anche in seno al Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U., nei confronti del problema atomico dell'Iran, o la disdetta del trattato di non proliferazione sulle armi convenzionali, che risale a qualche settimana fa.
Nel campo della politica interna suscita perplessità la sua decisione di essere il capolista della formazione "Russia Unita", che nelle elezioni per il rinnovo della Duma (il Parlamento russo) dello scorso dicembre ha ottenuto un plebiscito, raggiungendo i due terzi dei voti. Si prefigura un futuro da premier o addirittura da Presidente da parte di chi ipotizza un emendamento costituzionale, in virtù della maggioranza assunta dal suo partito. Comunque per ora Putin ha indicato il 42enne Medvedev, attuale presidente della Gazprom, come possibile Presidente della federazione, e Medvedev ha indicato Putin quale possibile futuro premier, e così il cerchio si è chiuso.
Qual è la contropartita di questo ritorno sulla scena politica mondiale della Russia?
Freedom House è un istituto di ricerca che ha come obiettivo la promozione della democrazia liberale nel mondo. Esso è conosciuto principalmente per i suoi rapporti annuali sul livello di libertà democratiche in ogni paese del mondo.
Le rilevazioni dell'istituto di ricerca mostrano che l'arrivo di Putin al potere, nel 2000, ha determinato un peggioramento dei diritti civili, ulteriormente peggiorati a partire dal 2004, che - insieme a una diminuzione dei diritti politici - ha comportato la classificazione della Russia tra i paesi "non liberi".
Putin è stato definito "il nuovo Zar" della Russia, considerando l'enorme potere concentrato nelle sue mani. La domanda più frequente prima delle elezioni non era tanto «chi vincerà le elezioni?», ma «cosa succederà dopo?». Putin si è guadagnato questo grande consenso non promettendo nuove riforme, ma affermando che, senza di lui, la Russia sarebbe ripiombata in un passato pieno di caos, degrado e umiliazione, quale era negli anni novanta o addirittura negli ultimi anni del comunismo. La risposta del paese è stata una conferma dell'operato di Putin: il benessere economico e la presenza della Russia nella scena mondiale valgono più di qualunque punteggio di Freedom House.
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