EXCALIBUR 48 - febbraio 2008
in questo numero

Mazzini contro i nonni di Soru e della Dirindin

I cicli della storia in un triste film già visto due secoli fa

di Bianca Maria Signorini
Il frontespizio del volume "La Sardegna" di Giuseppe Mazzini
Correva l'anno di grazia 1861, tempi gloriosi per il Regno Sardo-Piemontese che, più per gli intrighi internazionali del conte Camillo Benso di Cavour e della contessa di Castiglione, amante di Napoleone III, che per la spedizione dei Mille di Garibaldi, si era annesso quasi tutta l'Italia eccetto il Lazio papalino, il Trentino e le Venezie austriache.
Tempi come al solito tristi invece per i Sardi e la Sardegna. Si parlava infatti, nelle cancellerie europee, di una probabile cessione della Sardegna alla Francia in cambio di un aiuto della stessa per sottrarre all'Austria le tre Venezie, voce questa ritenuta attendibile, visti i precedenti di Cavour che non aveva esitato a cedere qualche anno prima Savoia e Nizza alla Francia in cambio dell'aiuto avuto per la conquista della Lombardia. La cosa mandò su tutte le furie il grande, ma povero e sfortunato, Giuseppe Mazzini, il quale nello stesso anno pubblicò un opuscolo intitolato "La Sardegna", in cui il grande apostolo repubblicano prese le difese della Sardegna e dei Sardi e nel contempo si lavava la bocca contro il governo sardo-piemontese, i Savoia e vari governatori piemontesi che tenevano l'isola in condizioni miserevoli.
Ci lamentiamo che Soru, unico presidente sardo della storia dell'autonomia, ha scelto come assessore alla sanità una Piemontese tanto rozza e supponente quanto incapace. Vediamo tutti i giorni come Soru e i suoi accoliti raccattino da tutta Italia direttori generali di A.S.L., alti funzionari amministrativi, presunti tecnici ed esperti del nulla, consulenti di ogni scibile umano e li inserisca nei punti chiave del governo regionale. Assistiamo alla ricerca spasmodica di imprese continentali cui affidare i quattrini della Regione. Non meravigliamoci più di tanto: già Mazzini un secolo e mezzo fa rivelava il quasi identico comportamento dei nonni di Soru e della Dirindin.
Ecco cosa dice Mazzini: «Vittorio Amedeo III cominciò, licenziando il Bogino, quel moto di indietreggiamento che non si interruppe più mai [...]. Tornavano gli indugi e le dimenticanze nella spedizione degli affari e s'iniziava lo scandalo, che poi diventò sistema, di versare negli uffici secondari della Sardegna il rifiuto del Piemonte, i giovani di famiglie patrizie, ai quali una condotta colpevole contendeva impiego nelle province continentali [...]. L'isola diventò, nel concetto dei chiamati ad amministrarla, una spugna da premersi per cavarne lucro, un campo di esazione e di traffici disonesti». E ancora, rincarando la dose: «Il governo piemontese fu sempre governo di consorteria [...]. Ma verso la Sardegna fu peggio: fu governo di tirannide, d'arbitrio, di corruttela».
Ma ancora prima del 1792, a fronte dei tentativi francesi di conquistare l'isola, mentre i Sardi sorgevano energici, operosi e devoti e si svenavano in tutti i sensi per respingere Napoleone da La Maddalena e l'ammiraglio Truguet dalle coste del cagliaritano, il governo piemontese operava a rilento tanto da far credere che avesse intenzione di cedere alla conquista straniera; e a Cagliari addirittura «faceva mancare i carretti alle artiglierie per servire a un privilegio delle ferrature concesso a un artigiano piemontese».
Mazzini conclude il suo bel libretto con una perorazione dei Sardi di allora, ma che a nostro avviso vale anche per i Sardi di oggi: «Il popolo sardo non ha bisogno che di fiducia in sé, d'amore dato e ricambiato, per essere attivo e capace, fedele all'istinto italiano per sempre. Ho ricordato la gloriosa difesa contro l'invasione francese e ricordo il numeroso contingente di volontari mandato nel 1848 dall'isola: e i giovani sassaresi, ai quali strinsi la mano quando accorsero per far parte della spedizione che noi disegnavamo sull'Umbria e le Marche, [...] e ai loro amici andranno accette, non ne dubito, le mie parole. Tengano viva la sacra fiamma nell'anima, la diffondano, l'accendano dov'è sopita [...]. Dicano a essi che ci aiutino a sbalzare dal seggio il governo della consorteria per restituirgli il governo nazionale [...]. Il giorno in cui la setta materialista e avversa al popolo, che ora usurpa la direzione del nostro moto, avrà cesso il luogo a chi rappresenta meglio il paese, cominceranno i nuovi fasti per la Sardegna».
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