EXCALIBUR 50 - ottobre 2008
in questo numero

Solzenitsyn: la scomparsa di un gigante

Muore il cantore di una Russia scomparsa

di Angelo Marongiu
Sopra: una recente foto di Alexander Solzenitsyn
Sotto: la prima versione russa di Arcipelago Gulag
La notte di domenica 3 agosto, da tempo gravemente ammalato e costretto a muoversi su una sedia a rotelle, è morto, in una dacia isolata alle porte di Mosca, lo scrittore Alexander Solzenitsyn. Aveva 89 anni. Il volto scavato, la barba lunga e incolta, gli occhi quasi spiritati, uno sguardo da patriarca di altri tempi, profetico, pervaso da una coerenza antistorica, pessimista, incompreso, corrosivo, visionario: si è spento con lui uno dei più autorevoli testimoni del XX secolo.
Coerente alla sua professione di fede "Non vivere secondo menzogna", egli segnò la sua epoca con un indomabile coraggio e una limpida moralità civile e religiosa. La sua vita fu una testimonianza di coerenza intellettuale e morale.
L'opera che lo fece apparire nel mondo letterario e politico, non solo sovietico, fu un romanzo breve "Una giornata di Ivan Denisovic", pubblicato su iniziativa di Alexandr Tvardovskij e con il permesso dell'allora leader del Pcus Nikita Krusciov. Era il 1962, nel pieno del processo di destalinizzazione. Il romanzo descriveva, con un incedere realistico e scabro che richiamava Tolstoi e Cechov, una giornata trascorsa in un lager da un semplice contadino ed ex soldato che riesce a sopravvivere alle fatiche e agli stenti del lavoro forzato, mantenendo intatta la propria coscienza in un mondo di soprusi e violenze.
Da molti questo romanzo fu considerato il primo colpo di piccone contro l'ideologia comunista: l'uomo che resiste all'estrema degradazione, neanche il lager può eliminare la persona umana; l'uomo, pur con tutte le sue speranze deluse e i suoi affetti, può sconfiggere ogni ideologia. È il primato della persona su ogni forma di potere. L'opera era naturalmente una diretta testimonianza degli anni trascorsi in un lager sovietico nel quale fu inviato per otto anni a causa di una ingenua lettera scritta a un amico mentre era sul fronte della Prussia orientale durante la seconda Guerra mondiale. Aveva osato criticare, pur senza nominarlo, Stalin e la sua condotta delle operazioni militari. Fu rilasciato nel 1956, riabilitato e autorizzato a riprendere il suo insegnamento della matematica e alla scrittura.
Quel piccolo libro, scritto di notte, clandestinamente, con la convinzione che nessuno lo avrebbe mai letto, svelava ai sovietici e al mondo occidentale, per la prima volta, l'infamia e l'orrore dei campi di prigionia, dove la gente veniva torturata, lasciata morire di fame, costretta a vivere e lavorare nel gelo. Era finalmente una voce libera quella che traspariva dalle pagine del libro, distante dalle costrizioni del Partito Comunista.
Solzenitsyn divenne un simbolo, una speranza.
Dall'esperienza dei lager trassero ispirazione altri due poderosi romanzi, "Divisione cancro" (1967) ed "Il primo cerchio" (1968). Ma l'opera alla quale stava lavorando e che lo impegnò segretamente per oltre dieci anni fu la monumentale descrizione, basata su oltre duecento testimonianze, di un universo allora sconosciuto, il complesso sistema concentrazionario sovietico chiamato "Arcipelago GULag". L'acronimo GULag (Direzione Centrale dei Lager) è diventato il simbolo più conosciuto e onnicomprensivo dell'intero sistema sovietico degli anni di Stalin. Fu pubblicato alla metà degli anni settanta, in Europa, dopo una serie di avvenimenti che mutarono la sua vita: dopo la caduta di Krusciov, l'avvento di Breznev e la fine del periodo del "disgelo", cadde in disgrazia, i suoi manoscritti confiscati, fu espulso dall'Unione degli scrittori, nel 1970 fu insignito del Premio Nobel che non andò a ritirare per il timore di non poter ritornare nella sua terra, ma fu comunque espulso dall'Urss nel 1974.
L'opera gigantesca inchioda alle sue immani responsabilità il sistema totalitario sovietico creato da Lenin e da Stalin.
Insieme ai due romanzi prima citati, viene sviluppato il tema etico che pervade ogni sua opera: la responsabilità di ogni uomo, individuo semplice o intellettuale, singolo o parte di una collettività, contro il potere; lo scontro tra l'individualismo libertario ed egualitario e la infame realtà del sistema autoritario-burocratico, della sua violenza e dei privilegi della "nuova classe". Una feroce denuncia che lo innalzò a icona dell'anelito di libertà del mondo sovietico, ma che fu vista con estrema freddezza dai nostri comunisti. L'Unità del 13 febbraio 1974 stroncò i giudizi dello scrittore e giudicò la revoca della cittadinanza e l'espulsione dall'Unione Sovietica come una ragionevole soluzione. La firma era quella di Giorgio Napolitano.
Dopo due anni di esilio in Svizzera, Solzenitsyn si trasferì negli Stati Uniti e trascorse oltre 15 anni in una fattoria isolata del Vermont, tra la neve e le foreste,in un paesaggio che richiamava sicuramente quello della sua terra.
La sua visione polemica è, in quegli anni, diretta contro tutti. Se critica violentemente la filosofia illuminista e radicale, anteponendo loro i valori della tradizione e della religione, in modo ancora più violento si scaglia contro il sistema mediatico, il consumismo sfrenato e l'onnipermissivismo occidentale, criticandone anche il sistema democratico. È il succo del suo controverso "Discorso di Harvard", tenuto quando, nel 1978, gli fu conferita una laurea ad honorem. Era una radicale sfiducia nell'umanesimo che aveva negato la presenza del male all'interno dell'uomo, ponendo alla base della civiltà occidentale moderna la tendenza a prosternarsi davanti all'uomo e ai bisogni materiali.
Con l'avvento di Gorbaciov anche Solzenitsyn ritorna nella sua Russia, nel 1994, ma questa volta come un vero trionfatore. Dopo essersi inimicato i circoli liberal americani, oltre a quelli sempre ostili di tutte le sinistre europee, fu la volta dei circoli liberali del post-sovietismo. Il suo giudizio su Gorbaciov fu critico: lo definì un ingenuo. In un discorso alla Duma definì poi "oligarchico" il sistema instaurato da Eltsin, sotto il cui regime vedeva i pochi che si stavano spartendo le ricchezze del paese, in un quadro di miseria generalizzata.
Crebbe intorno a Solzenitsyn un muro di ostilità e feroce indifferenza. Pochi condividevano le idee sviluppate nel suo pamphlet "Come ricostruire la Russia?". La sua visione vedeva la costruzione graduale di un sistema politico basato su un diffuso autogoverno locale e di un'economia mista, di ispirazione solidaristico-cristiana. Era una riscoperta dell'antico, del diritto solidale delle comunità locali: una teoria improbabile e romantica, con al centro la grande necessità di affrontare l'era della globalizzazione senza perdere di vista l'uomo e il suo destino, legato indissolubilmente alla terra, alla famiglia, alla religione, alla cultura.
In una delle ultime interviste concesse a Der Spiegel - quasi un ultimo colpo inferto a tutti i circoli liberali russi e occidentali - Solzenitsyn attribuì a Putin l'innegabile merito di "una lenta e graduale ripresa della Russia... dopo aver ereditato un paese saccheggiato e disorientato, con un popolo davvero demoralizzato...". Disse queste cose pur non approvando la Russia putiniana, ricca, consumistica, sempre più simile nello stile di vita al mondo occidentale. Per quanto riguarda la democrazia, in un'intervista del giugno 2005, disse: "Non c'è rischio per la democrazia in Russia, perché non c'è democrazia...".
Come aveva fatto per tutta la sua vita, forte solo dei suoi convincimenti, sempre fermi e severi, Solzenitsyn non ebbe paura - fino alla fine - di andare contro la corrente imperante, guidato esclusivamente da una visione mistica e ideale di una Russia che poteva risorgere e risplendere come nel passato.
In un mondo che sempre più facilmente cade nell'inganno e nella menzogna, Solzenitsyn emerge come una figura antica, un ideale: nessuno come lui ha saputo amare il suo paese e attraverso di esso il mondo intero, nel secolo breve delle tragedie e delle nefaste ideologie. Per vivere senza menzogna bisogna saper rinunciare a tutto, e - nudo come l'uomo del lager - riscoprire il volto di Dio nella malattia, nella sofferenza, nella solitudine e nell'umiliazione.
Ma, "anche se la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno" , questo è l'unico modo per ritrovare l'amore per la vita.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO