EXCALIBUR 50 - ottobre 2008
in questo numero

Palestina: una terra troppo promessa

Di Antonella Ricciardi (prefazione di Gilberto Roch)

a cura di Francesco Fatica
La copertina del libro di
Antonella Ricciardi
Antonella Ricciardi, laureata in filosofia, giornalista, è alla sua prima opera. Giovanissima, ma ben preparata e matura, ha affrontato con coraggio e lealtà un tema dibattuto controversamente da saggisti autorevoli, senza lasciarsi intimidire dal peso mediatico di autori paludati e senza farsi ancora meno influenzare dal coro conformistico della folla di opinion makers arruolati al servizio della grande finanza.
Il suo libro è infatti un'opera onesta e puntuale che si sforza di ribattere tesi aberranti e riesce a ristabilire l'obiettività storica in un'esposizione lineare che conduce il lettore a rivivere, con la giusta indignazione, le fasi di una tragedia epocale che ci è stata nascosta per troppo tempo dal soffocante coro mediatico che ha tentato e ancora tenta di svisare quotidianamente la realtà.
Questa meritoria opera si giova di un'agile e chiara prefazione introduttiva di Gilberto Roch, autorevole esponente in Italia della comunità palestinese, che riassume in rapidi, ma essenziali tocchi, le date e le fasi della criminosa pulizia etnica, dei massacri indiscriminati, delle continue violazioni del diritto internazionale, perpetrati contro il martirizzato popolo palestinese. Un genocidio che continua senza che l'Onu e gli altri ipocriti organi internazionali sentano il dovere di intervenire con concretezza.
Il creatore del movimento sionista, Theodor Herzl, autore di un libro e di una insistente campagna per la riunificazione degli ebrei in uno stato ebraico, sull'onda del mito della terra delle proprie origini, trascurava però il diritto dell'elemento autoctono arabo all'epoca maggioritario e saldamente legato alla sua terra, alle sue leggi, alla sua cultura. Inoltre va considerato che quest'opera di confusione delle istanze mitologiche della religione ebraica con il movimento sionista serve alla lobby sionista per mascherare la sua strategia di dominio geopolitico, i suoi preminenti interessi per il petrolio.
Infatti la creazione di uno stato israeliano in medio oriente costituisce un elemento di vitale importanza strategica quale testa di ponte della tirannia globale del cosiddetto Occidente in un ambiente geografico di grande sfruttamento delle multinazionali del petrolio, oltre a costituire un valido elemento di disgregazione e di controllo del mondo arabo, di cui si vuole a ogni costo bloccare la riunificazione. Funzionalmente si insiste a presentare Israele quale oasi democratica nella regio-e, cosa che, se si può in qualche modo concedere nei riguardi del popolo israeliano, risulta però, assolutamente falsa nei confronti del popolo palestinese. E proprio della "esportazione della democrazia" si son fatti carico gli Stati Uniti e i loro alleati nella Nato, scatenando "guerre preventive" per imporre un regime democratico a quei popoli che non lo accettano.
La nostra Autrice non scende a polemizzare su questo piano, ma intendo egualmente inquadrare questa recensione in una visione generale per meglio considerare gli enormi interessi che confluiscono nel settore e i retroscena che ne derivano. Dovrebbe ormai apparire chiaro a chi lo vuol capire, che la tirannia globale della cosiddetta "alta" finanza si è sviluppata ormai pesantemente e spudoratamente, attraverso il braccio armato degli Usa, ancora più trasparentemente dopo la seconda guerra mondiale, imponendo a ogni popolo una "casta" dirigenziale corrotta e manovrabile attraverso flussi stratosferici di denaro, cosicché l'utopia di un tale sistema democratico risulta manifestatamente come un sistema di asservimento inavvertito.
I popoli ridotti in vassallaggio, si illudono di poter influire sulle decisioni della "casta" spostando il loro appoggio elettorale da un partito all'altro, ma le decisioni in campo internazionale, economico e in definitiva geopolitico, rimangono inflessibilmente legate alle imposizioni univoche che giungono d'oltre oceano.
Comunque cambi il colore del governo, i nostri figli sono costretti a combattere per gli interessi del grosso capitale apolide. Basterebbe appena riflettere su quest'ultimo particolare per capire anche il resto.
Schematizzato così lo scenario internazionale dovrebbe essere più chiaro il complesso svolgersi delle operazioni di annientamento del popolo palestinese da parte di uno stato che si dice democratico e che si sforza di apparire ossequiente della forma democratica. Senza mezzi termini, è chiaro che si tratta di un genocidio; non possiamo trascurare di riprovarne le responsabilità.
Antonella Ricciardi, nella sua esposizione obiettiva e documentata dei fatti, ci conduce a considerare le tappe di questo percorso, partendo dalle premesse che resero possibile giungere al tracotante colpo di stato del 1948, di cui - voglio sottolineare - si è voluto celebrare spudoratamente in Italia il sessantesimo anniversario, quasi a sottolineare un vassallaggio che non è limitato ormai soltanto a qualche partito politico, si è voluto produrre in una passerella ossequiente perfino un presidente di repubblica.
I sionisti fondatori di Israele, come correttamente ha messo in luce la Ricciardi, basavano il loro "diritto" sulla pretesa fondamentalista del mito della terra promessa, basato sulla protezione di Dio per il "popolo eletto". Una concezione a ben guardare, razzista direi. E razzista incontrovertibilmente va considerata l'operazione dell'espulsione dei primi 900 mila profughi scacciati dalle loro case nel 1948. Nessuno della "casta" dirigenziale italiana ha ricordato questo crimine, primo di una serie drammatica, che ha contaminato ignominiosamente la fondazione di Israele.
Abbiamo celebrato il sessantennio, fingendo di non ricordare che si è trattato di un sessantennio di stragi orrende, di villaggi distrutti, di case abbattute addirittura con gli abitanti disperatamente asserragliati dentro. Ben cinque guerre hanno insanguinato la terra promessa, una terra troppo promessa, come appunto ironizza tragicamente il titolo del libro.
Bisogna leggerlo il veritiero libro di Antonella Ricciardi per ricordare le fasi epiche della resistenza ostinata ed eroica dei palestinesi, che invece il coro del pensiero unico, imposto dal Grande Fratello finanziario, ci aveva fatto dimenticare. Bisogna leggerlo il libro di Antonella Ricciardi, dobbiamo ricordarci di quei primi 530 villaggi, città e perfino cimiteri distrutti, dobbiamo apprendere dallo stesso primo presidente del consiglio di Israele Davide Ben Gurion queste parole di fuoco: «Noi dobbiamo espellere gli arabi e prendere i loro posti». Parole di fuoco prima accuratamente nascoste e che ci vengono rivelate da questa giovane custode della verità, questa coraggiosa vestale della verità, che documenta e riporta obiettivamente e documentatamente tutti gli episodi del genocidio che è stato consumato inarrestabilmente dal fondamentalismo ebraico. Infatti all'inizio, nonostante la massiccia immigrazione ebraica, gli israeliti erano soltanto il 30% della popolazione e possedevano appena il 6% delle terre. I palestinesi erano il 70% della popolazione.
Si capisce quindi che si doveva creare un regime di terrore per arrivare all'espulsione e all'eliminazione fisica dei Palestinesi.
L'Autrice ad esempio, usa parole scarne, scevre da retorica, per descrivere il massacro di Deir Yassin, a ovest di Gerusalemme: il 9 aprile 1948 l'Irgun Zwai Leumi, una delle organizzazioni terroristiche attraverso le quali operava lo stato di Israele, attaccò il villaggio mentre i più giovani e forti erano al lavoro nei campi, e lo devastò, uccidendo tutte le persone che riuscì a rastrellare: Ci furono anche degli stupri. 254 palestinesi, soprattutto donne e bambini, furono massacrati e i loro corpi vennero gettati in un pozzo.
Con la stessa obiettiva e corretta esposizione la Ricciardi ci accompagna in sessant'anni di lento, tragico, inesorabile genocidio, fino ai giorni nostri. Un massacro più progredito e sofisticato con l'esercito, con i carri armati, con le ruspe, e con i bombardamenti. È ancora la lotta eroica del sangue contro l'oro. Ma forse proprio Ben Gurion aveva capito ed espressa una chiara, asciutta, incontrovertibile percezione della realtà: «Perché gli arabi dovrebbero fare la pace? Se fossi un dirigente arabo non la firmerei con Israele. È normale: abbiamo preso il loro paese. Certo, Dio ce lo ha permesso, ma il nostro Dio non è il loro. È vero che siamo originari di Israele, ma la cosa risale a 2000 anni fa: in che cosa li riguarda? Ci sono stati l'antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma è stata colpa loro? Loro vedono una cosa sola: siamo venuti e abbiamo preso il loro Paese. Perché dovrebbero accettare questo fatto?».
Non è un paradosso costruito ad arte: Antonella Ricciardi ce lo ha documentato citando Nahum Goldmann, Le Paraddoxe Juif, (The Jewish Paradox) e Curzio Nitoglia, Sionismo e fondamentalismo, Dalla Shoah allo Stato d'Israele, al razzismo e oltre, Controcorrente, Napoli, 2000. Ma aver capito le ragioni dei palestinesi non è servito a salvarne nemmeno uno. Forti dell'appoggio dei plutocrati di Wall Street, gli israeliani continuano, implacabili e fanatici fondamentalisti, la pulizia etnica nel nome del loro Dio apocalittico e settario. Come sempre fuori dal coro, "Controcorrente" coraggiosamente ha pubblicato un altro libro che si deve assolutamente leggere: è l'unica onesta, rispettosa celebrazione dei caduti di un sessantennio che non passa.
Palestina: un libro e la sua recensione
di Angelo Marongiu

Dell'annosa questione Israele-Palestina è stato scritto di tutto, da decenni: si spera sempre che appaia qualcosa di nuovo, fuori dai logori schemi oppressore-vittima o buoni-cattivi, ma sono pochi i coraggiosi capaci di uscire dai soliti clichè.
Anche questa volta viene presentato un libro che rivela una realtà che "ci è stata nascosta da troppo tempo dal soffocante coro mediatico che ha tentato e ancora tenta di svisare quotidianamente la realtà". Sembra quasi che Antonella Ricciardi, autrice del libro "Palestina, una terra troppo promessa", e il recensore, Francesco Fatica, non abbiano tenuto conto della consistente letteratura che questa realtà l'ha già affrontata a narrata con ben altro coraggio (V.D.Segre, Morris, Segev, Shlaim, o il palestinese E.W.Said).
Mi limito ad alcune considerazioni sulle innumerevoli che la presentazione del libro della Ricciardi meriterebbe.
L'origine della tragedia palestinese è ricondotta dall'autrice, con un ormai logoro riflesso, all'origine del movimento sionista. Il sionismo fu originato dalle persecuzioni degli ebrei nella Russia zarista, dall'affare Dreyfus che in Francia dimostrò a Theodor Herzl, l'impossibilità di un'assimilazione all'interno dei nazionalismi che emergevano in Europa; su di esso hanno scritto Herzl, Jabotinsky, Buber, Ha'am, Alkalai, Hess, Pinsker: con toni mistici, rifacendosi alla Bibbia o con toni laici, vedendo semplicemente in uno stato ebraico nascente, un luogo dove fuggire dalle persecuzioni e dallo sterminio.
Invece si afferma che "il movimento sionista serve alla lobby sionista per mascherare la sua strategia di dominio geopolitica, i suoi preminenti interessi per il petrolio". E il nuovo stato diventa una "testa di ponte della tirannia globale del cosiddetto (sic) Occidente in un ambiente geografico di grande sfruttamento delle multinazionali del petrolio...".
Ancora il petrolio! E questo avveniva nell'ultimo decennio del 1800! Che lungimiranza!
Tra l'altro la nascita di Israele viene definita definita "colpo di stato", con assoluto disprezzo di ogni logica semantica e politica, affermazione degna di un leader di Hamas.
Sul cruciale elemento della questione territoriale si omette di dire che che oltre il 70% del territorio era di proprietà del governo ottomano e che i grandi latifondisti che vendettero le terre agli ebrei risiedevano a Gerusalemme, Damasco, Baghdad e Parigi: gli arabi che coltivavano la terra erano semplicemente dei braccianti sottopagati (vedi S. Della Seta, La situazione socio-territoriale in Palestina, Storia Contemporanea, aprile 1984).
Deir Yassin fu uno dei tanti massacri che insanguinarono quella terra: ma occorrerebbe ricordare che da quel villaggio partivano le incursioni contro gli ebrei di Gerusalemme est e che gli incursori - con tecnica rimasta ancora oggi immutata - ritornavano a nascondersi tra la popolazione civile. E il 9 aprile 1948 lo Stato d'Israele non era ancora stato costituto, quindi nessuna banda operava per "conto dello Stato d'Israele".
Sul conflitto arabo palestinese non sono concesse ambiguità: o si immagina una terra nella quale i due popoli devono imparare a convivere - e allora il libro della Ricciardi e la sua presentazione sono perfettamente inutili - oppure si vagheggia una soluzione nella quale per Israele non c'è più posto e allora sono sufficienti i discorsi di Ahmadinejad.
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