EXCALIBUR 51 - novembre 2008
in questo numero

Al verde preferisco il blu

Necessario un deciso mutamento di strategia

di Beppe Caredda
L'acqua è la fondamentale premessa per ogni sviluppo
In Consiglio regionale è iniziata la discussione sul testo di legge concernente la "disciplina per il governo del territorio regionale". In pratica, la sintesi di come questo governo di centro sinistra vede e interpreta oggi la Sardegna e come intende organizzare le strategie di sviluppo del territorio. La discussione è accesa, e comunque vada a finire, con questa nuova legge l'attuale governo muove l'ulteriore passo in avanti, dopo il Piano Paesaggistico, per il controllo centralizzato del territorio. E che si tratti di controllo pare non vi siano dubbi visto quanto rilevato anche dal Consiglio delle Autonomie Locali: «Tutto il testo è permeato da un dirigismo del livello di governo regionale o meglio il testo proposto risulta orientato verso il consolidamento, nelle mani della Giunta regionale pro tempore, di ogni prerogativa in materia paesaggistica e urbanistica».
In sostanza l'orientamento, già anticipato con la legge salva-coste, col P.P.R., la Conservatoria delle coste, è quello di limitare se non di privare i Comuni della possibilità di decidere sulla destinazione d'uso del proprio territorio.
Andrebbe a farsi benedire il principio di sussidiarietà, ma il punto non è solo questo. È che, in controtendenza nazionale, vedo rafforzarsi, qui da noi, quella sorta di presunta supremazia culturale della sinistra che, pur allo sbando, non rinuncia a perseguire i suoi antichi velleitarismi attraverso l'uso minaccioso della vincolistica ambientale.
Perché c'e poco da avere conferme, l'ambientalismo, a cui pure bisogna riconoscere grandi meriti, è infettato di eco-socialismo e le battaglie verdi sull'ambiente sono diventate il cavallo di Troia di una ideologia, erede appunto del social-comunismo, secondo la quale l'uomo, quello capitalista per intenderci, è il cancro del pianeta.
Sintomatico di un certo modo di pensare sono ad esempio le cosiddette tasse sul lusso o, ancor più preoccupante, il forte condizionamento direttamente o indirettamente imposto all'utilizzazione del territorio e delle sue risorse, anche quando ciò è oggettivamente indispensabile per la collettività.
Inutile discuterne, tanto è la solita solfa: a qualunque problema ambientale si applica subito un'analisi socialista e una soluzione statalista.
Prima disegnano scenari catastrofici e t'inducono a pensare che così non si può più andare avanti, poi ti annunciano che però ci sono loro e che risolveranno tutto; come? Con imposizioni, limitazioni, divieti, tasse, balzelli, ecc....
Ma argomenti come la dipendenza energetica, lo smaltimento dei rifiuti, la cronica carenza d'acqua, l'enorme ritardo nell'ammodernamento delle infrastrutture, il pericoloso rallentamento, se non addirittura il blocco, sempre per motivi ambientali, di molte attività imprenditoriali, tanto per fare qualche esempio, tutto ciò lascia sgomenti e richiede un sussulto, uno scatto di ribellione politica.
Ribellione contro questo stato delle cose, contro quella che, a buona ragione, si può definire la politica del non fare per precauzione, in ossequio appunto al cosiddetto Principio di Precauzione posto a fondamento di quel contenitore buono per tutti gli usi che si chiama Sviluppo Sostenibile, i cui effetti però gravano sempre e ovunque sulla pelle prevalentemente della povere gente.
In Sardegna il tasso di occupazione è in discesa, diminuisce il tasso di attività, la disoccupazione è diffusa; 180 mila persone sono senza lavoro, 300 mila i poveri e non è certo privo di significato che a Zuri, questo settembre, si sia tenuto il cosiddetto G8 della povertà in risposta al prossimo G8 dei ricchi a La Maddalena.
Il male, d'accordo, non sta tutto o solo nelle imposizioni e nei vincoli ambientali. Certo, il disagio sociale ed economico in Sardegna è purtroppo storia antica, ma c'era bisogno di aggravarlo, questo disagio, sottraendo il territorio all'impresa, alle attività produttive? C'era bisogno di impedire la realizzazione di tante iniziative pubbliche e private? E per che cosa? E con quali esiti? Ma questo stato delle cose, singolare in Sardegna, ha una sua precisa motivazione che va individuata nella strumentale accettazione delle teorie e supposizioni varie che circolano a livello mondiale, sugli effetti disastrosi dell'attività umana nel determinare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale. Notizie molto ghiotte per i mezzi di comunicazione, tant'è che tutti oramai siamo stati contagiati da questo virus, e ci sentiamo costantemente incriminati... per danno ambientale.
Quanta acqua consumi, non sprecare energia, non toccare questo, lascia stare quello, non usare i detersivi, fai la raccolta differenziata...
Insomma, la nostra quotidianità è posta costantemente sotto osservazione, prima dalla nostra coscienza astutamente manipolata, poi da chi ha pensato bene di lucrare sulla denuncia dei nostri comportamenti cosiddetti antiambientalisti.
Siamo a questo punto. All'attuale Governo nazionale i cittadini italiani hanno espresso il desiderio di avere un più aperto e razionale approccio alle problematiche ambientali e bene fa l'Italia a mettere in discussione in sede europea il cosiddetto "pacchetto clima-energia" messo a punto (senza tener conto dei grandi produttori di CO2, Stati Uniti e Cina in primis) per contrastare gli effetti del riscaldamento globale.
Anche questo c'interessa perché l'attuazione degli obiettivi di tale "pacchetto" passa anche per il sistema industriale isolano, già fortemente penalizzato e in crisi.
È di questi giorni il blitz della nota associazione ambientalista "Greenpeace" alla centrale elettrica di Fiume Santo per protestare contro l'utilizzo del carbone, a favore dell'energia eolica. Saranno contenti i produttori e gli installatori di pale eoliche, specie dopo che il nostro assessore della difesa dell'ambiente ha promesso che la Regione s'impegnerà a rispettare i parametri del suddetto pacchetto energia. Forse non poteva fare altro per evitare il blocco degli impianti, ma l'episodio è sintomatico: della forza degli ambientalisti verdi e dell'acquiescenza di questo potere politico. Si può continuare così, con le intimidazioni e il terrorismo ecologico?
O non è giunto il momento di sostenere il cambiamento, il ribaltamento dei valori e delle priorità imposte dall'eco-socialismo verde? Ma l'ambientalismo ha intanto bisogno di cambiare colore e non si tratta banalmente di una questione di gusto cromatico, semmai di realismo e di libertà.
Dal "verde" si passi al "blu" che è il simbolo dell'acqua e preoccupiamoci di orientare le nostre attenzioni soprattutto su questa risorsa che, non è il caso di ricordarlo, richiama alla mente i sacri valori della Vita e della Libertà.
Fissando l'attenzione sulla risorsa-simbolo "acqua" cambierebbe anche l'ottica e la prospettiva dell'azione ambientalista. Cambierebbe l'approccio alla visione delle cose.
L'acqua è, nell'immaginario collettivo, simbolo del benessere, dello sviluppo, della sicurezza. La sua mancanza o l'inutilizzabilità sono sinonimi di povertà, malessere, disagio sociale, carestia, guerre.
Dove non c'è disponibilità di acqua c'è povertà. Dove c'è povertà anche le condizioni ambientali tendono a peggiorare e sono difficilmente migliorabili per l'assenza appunto di ricchezza sufficiente.
Indicando il blu come simbolo del primato "dell'acqua" nel nostro ambiente naturale si potrà contribuire ad affermare quelle condizioni assolutamente ineludibili per lo sviluppo autentico della natura umana: la libertà, l'iniziativa personale e la creatività. Con il blu si rappresenti la consapevolezza del collegamento tra povertà e ambiente, affinché sia chiaro che il benessere è assai più fortemente correlato alla ricchezza che non all'evoluzione climatica o territoriale (paesaggio, coste e... vari beni identitari compresi).
Tutto ciò richiede però un nuovo realismo, una visione non ideologica delle cose. Si ponga allora il problema della conoscenza oggettiva, scevra di pregiudizi, dello stato dell'ambiente, delle sue risorse e dei suoi beni, e si pretenda che il processo di sviluppo socio-economico sia sempre sostenuto e accompagnato da un'adeguata informazione, scientificamente attendibile e socialmente responsabile, per chiarire sia gli aspetti che impongono denunce di rischio effettivo, sia quelli che richiedono valutazioni e segnali rassicuranti. È così che le analisi e le conclusioni dell'eco-socialismo, comunque contraddette dai fatti, saranno anche politicamente smascherate come false.
Tutta l'intelligenza verde di sinistra preferisce punire il cittadino con il linguaggio del pessimismo catastrofico; vietano e pongono limiti a tutto; il loro assurdo messaggio è: fermiamoci.
Non in Cina e India, non in Russia, Brasile o Venezuela, ma in Europa, in Italia e particolarmente in Sardegna dove di tutto si ha bisogno tranne che di imbalsamare il territorio, impedire il lavoro e criminalizzare il capitale.
Con quale prospettiva? Mah...
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