EXCALIBUR 56 - ottobre 2009
in questo numero

Libri: "L'ultima frontiera dell'onore - I Sardi a Salò"

La recensione del libro di Angelo Abis

a cura di Francesco Fatica
Sopra: la copertina del libro di Angelo Abis e lo stemma della Repubblica Sociale
Sotto: anche la stampa parla del libro!
Un libro avvincente e molto interessante, che mette in luce personaggi noti e meno noti, ma degni di essere tutti ricordati per l'impegno sostenuto nel testimoniare la loro Fede, quando ormai si sapeva che tutto era perduto.
Un'opera di documentazione storica accurata e obiettiva, corredata anche dell'elenco dei Caduti Sardi per la R.S.I., di cui sono riassunti date, gradi militari, modalità della morte.
Si resta stupiti nel constatare l'alto numero di Sardi che aderirono alla R.S.I. e che furono coinvolti in una guerra civile atroce, sottoposti agli agguati e alle sevizie più spietate della strategia basata sulla provocazione più atroce della rappresaglia, perché, secondo quanto ammette lo storico antifascista e partigiano Giorgio Bocca: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell'odio. È una pedagogia impietosa, una lezione feroce».
Nella Repubblica Sociale Italiana i Sardi, come pure gli altri Italiani che scelsero di continuare a combattere per Mussolini, non erano animati da odio verso gli sbandati, essi volevano riscattare l'onore, volevano lavare la vergogna lancinante del modo infame in cui si era giunti al cosiddetto armistizio (che fu invece una resa senza condizioni); volevano riaffermare la fedeltà all'alleato; volevano ribadire l'attaccamento ai princìpi del fascismo e in particolare erano animati dall'aspirazione di testimoniare il riemergere finalmente libero delle più profonde pulsioni sociali del fascismo movimento.
Il professor Giuseppe Parlato, che ne ha scritto la prefazione, ritiene che: «al di là di questo elemento comune alla maggior parte di coloro che fecero tale scelta, si riconosce un sottile filo rosso che unisce - e motiva - molte delle scelte. Il sottile filo rosso si può sintetizzare con due termini: autonomia e antiborghesia. Si può obiettare che molte delle scelte che portarono a Salò comportavano almeno la presenza del secondo dei due termini».
Fa bene Giuseppe Parlato anche a ricordare che De Felice ebbe modo di mettere in evidenza che la R.S.I. apparve come l'inveramento finale del fascismo dal punto di vista sociale, in qualche modo il suo riscatto quando ormai non c'era più nulla da vincere, ma solo molto da testimoniare, anche se la "sinistra fascista" non ebbe il tempo e il modo di determinare in maniera più concreta la politica sociale della Repubblica.
E - aggiungo io - anche se Angelo Abis non lo dice e forse non lo pensa, fu la continuazione disperata, pur sapendo di non poter vincere, de "la guerra del sangue contro l'oro", la disperata continuazione della guerra contro il capitalismo mondiale. E pertanto non si può accettare la distinzione de "la parte sbagliata" volutamente inflitta dai "vincitori" ai combattenti della Repubblica Sociale Italiana. Anzi debbo mettere in risalto che i "vincitori" si illusero di vincere e restarono invece irrimediabilmente inviluppati in una rete di formalità democratiche manovrate dal capitale. Loro dunque davvero erano "dalla parte sbagliata".
Ma a questo punto, debbo ammetterlo, non ci arrivano né Angelo Abis, né Parlato e tantomeno De Felice. Tuttavia, se anche non mi vedo confortato dalle opinioni di storici tanto stimati, mi pare onesto mettere ugualmente nella giusta luce l'operato di chi si è battuto fino alla fine per difenderci dalle ingerenze dei cosiddetti "poteri forti". Certo è più facile oggi constatare l'aderenza di questo giudizio alla realtà, di fronte alla tangibilità di oltre 120 basi militari americane installate in Italia e alle spese smisurate, di cui non si vede l'origine, che partiti e uomini politici sono costretti a versare per conquistare il potere nella cosiddetta prassi democratica. Di quale libertà o "liberazione" ci hanno voluto... liberalmente gratificare?
Ma doverosamente sottolineato questo, torniamo al libro in questione.
Nella variegata prospettiva che Angelo Abis ci propone sfila un alto numero di intellettuali, che fanno emergere vivamente tali orientamenti con la loro personalità prorompente.
Abis ci presenta un Edgardo Sulis che già nel 1930 aveva scritto pagine veementi di polemica antiborghese e che in R.S.I., insieme con Ottavio Dinale, tentò, col consenso di Mussolini, la costituzione di un movimento rivoluzionario repubblicano; ci presenta sindacalisti del Ventennio come Ugo Manunta, uno dei fautori della socializzazione in R.S.I.; vecchi sindacalisti rivoluzionari come Paolo Orano, rettore dell'Università di Perugia nella Repubblica Sociale, intellettuale riottoso a ogni lusinga dell'invasore e pertanto di ostacolo al Grosso Capitale che imponeva l'asservimento dell'Italia, nel quadro di un progetto psicologico generale di "lavaggio del carattere" di un popolo da colonizzare; è arrestato dagli Alleati appena occupano Perugia e, scaraventato nel campo di concentramento di Padula, sottoposto alle angherie dell'occupante inglese, che voleva debellare lo spirito indipendente di un Italiano fascista indomito fino all'ultimo: vitto debilitante, messo a dormire per terra in un gelido stanzone, stenti, umiliazioni cocenti, nessuna assistenza medica per un vecchio spossato e ammalato, è lasciato morire per un'emorragia da ulcera perforata nell'autoambulanza che ipocritamente l'Inglese occupante aveva concesso, per salvare la faccia, quando era chiaro a tutti che ormai era troppo tardi. Fu gettato, avvolto in una coperta in una fossa comune. C'è chi si ostina a scrivere che Paolo Orano sia sopravvissuto alle angherie del campo di Padula. A smentirli, oltre la testimonianza del diario di Valentino Orsolini Cencelli, riportata da Abis, esiste una dignitosa tomba del senatore Paolo Orano nel cimitero di Padula, dove le spoglie del martire furono composte da mani rispettose e riparatrici.
Ma Abis descrive anche le vicende del maestro Ennio Porrino, musicista lirico affermato in Italia e all'estero, che compone il nuovo inno della R.S.I., o l'adesione di Cipriano Efisio Oppo che fa parte dell'Accademia d'Italia in R.S.I.; Abis riferisce di futuristi come Gaetano Pattarozzi, di giornalisti come Stanis Ruinas.
Ha scritto l'autore: «Ma ciò che desta maggiormente meraviglia, e che ci ha spinto a questo studio, è la partecipazione qualitativa: che il più grande musicista e il più grande pittore sardo del Novecento siano convintamente con quel regime comporta qualche interrogativo, così come pure lo comporta l'adesione del generale Solinas, comandante della divisione Granatieri di Sardegna, uno dei pochissimi generali che dopo l'8 settembre non solo non si dà alla fuga, ma affronta e mette in grosse difficoltà i Tedeschi che tentano di occupare Roma». Una pagina trascurata della storia nazionale che è invece importante conoscere.
Tra i personaggi citati giganteggia la figura di Francesco Maria Barracu, di cui Abis evita di fare il panegirico, riportando perfino le critiche feroci che si dice gli siano state rivolte, ma lasciando al lettore la possibilità di trarre un giudizio autonomo proseguendo la lettura dei fatti concreti che seppe condurre.
L'anima sarda di tanti protagonisti appare esente da tanti vizi italici, ma nella sua obiettività Angelo Abis non si esime dal denunciare episodi che nei vizi italici fanno ricadere anche certi Sardi, in un'unità d'Italia progressivamente sempre più vicina ai tempi contemporanei.
Tra i Sardi in Repubblica ci fu anche qualche partigiano tra i più faziosi.
Ma voglio nominare anche alcuni dei protagonisti militari: il generale Adami Rossi, il capitano Guido Alimonda, Giovanni Biggio e Luciano Tului, mutilati che non si rassegnano a stare in ospedale, ma vogliono rendersi utili ancora ed entrano, per svolgere attività straordinarie, nella X Flottiglia Mas; il colonnello Giovanni Cabras, comandante provinciale della G.N.R. a Torino, che organizzata una colonna di 20 mila uomini, parte il 27 aprile 1945 per la Valtellina travolgendo ogni resistenza di partigiani, arriva il 5 maggio nei pressi di Ivrea, dove si arrende agli Americani con l'onore delle armi.
Debbo fermarmi e lasciare nel libro di Abis tante avvincenti storie di Sardi che si batterono per l'onore d'Italia.
Un libro scritto con passione, ma con stile asciutto e pulito per «dare più luce a quei dannati della storia che sono i Sardi della R.S.I.».
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