Excalibur rosso
SPECIALE
150º anniversario dell'Unità d'Italia

Tre ricorrenze nella memoria collettiva: Giornata della Memoria, del Ricordo e dell'Unità d'Italia

di Ernesto Curreli
Il generale del Genio Navale Umberto Pugliese
Nei primi tre mesi di quest'anno si accavallano tre ricorrenze di rilievo. A gennaio la "Giornata della Memoria", istituita all'unanimità dal Parlamento italiano il 20 luglio 2000, ricorda l'abbattimento dei cancelli di Auschwitz avvenuto il 27 gennaio 1945. Il 10 febbraio si commemora invece il "Giorno del Ricordo", istituito nel 2005 nella ricorrenza della firma del Trattato di Parigi del 1947 che assegnò definitivamente alla Jugoslavia le terre italiane giulio-dalmate occupate dall'esercito partigiano jugoslavo di Josip Broz Tito e mai più restituite. Nel mese di marzo, infine, si celebra il "150º Anniversario dell'Unità d'Italia".
Sono date importanti, che hanno lasciato nella memoria collettiva tracce profonde. Non mancano, bisogna dirlo, dissensi e distinguo, ma nella generalità sono ricorrenze in larga parte condivise.
Le rivelazioni sulla persecuzione degli Ebrei hanno toccato gli animi fin dall'immediato dopoguerra e le immagini dei campi di sterminio sono rimaste nella memoria di tutti. Alcuni studiosi sostengono che le cifre relative allo sterminio non siano reali, altri affermano addirittura che questo non avvenne affatto. L'imponente documentazione, tuttavia, non lascia spazio a dubbi o a minimalismi azzardati. Per combattere il fenomeno del revisionismo storico, che nega l'Olocausto ebraico, molti Paesi d'Europa hanno introdotto legislazioni che colpiscono il cosiddetto "negazionismo", e alcuni studiosi ne hanno fatto le spese con il carcere o con l'allontanamento dalla carriera accademica. D'altra parte, ciò che deve essere condannato non riguarda tanto il numero delle vittime, quanto il sistema organizzato a livello scientifico con ricadute sull'economia di guerra della Germania esausta: Ebrei, disabili e zingari erano destinati all'eliminazione, mentre i "sottouomini", le popolazioni "inferiori" dei Paesi dell'Est, erano destinati al lavoro schiavistico, fino all'esaurimento fisico.
Gli Italiani hanno avuto poco o nulla da spartire con l'Olocausto. Finché ci fu un governo nazionale in grado di esercitare i poteri della sua funzione, non vennero mai adottati né consentiti provvedimenti di sterminio. Le testimonianze in merito provengono dalla stessa Israele e tra i "Giusti tra le Nazioni", emergono diversi Italiani che rivestivano importanti incarichi statali. Presso l'Ufficio Storico delle Forze Armate italiane, d'altra parte, sono custodite le relazioni di servizio degli ufficiali italiani che durante la guerra, applicando le direttive governative, impedirono severamente ogni persecuzione contro gli Ebrei che vivevano nei territori della Francia, della Jugoslavia e della Grecia occupate dalle armate italiane. I noti episodi dei rastrellamenti in Italia e nei territori esteri abbandonati dalle truppe italiane avvennero, per l'appunto, quando ci fu il vuoto di potere a seguito dell'armistizio e della fuga delle nuove autorità che subentrarono al regime fascista. I rastrellamenti, seguiti dagli immancabili trasferimenti verso i campi di concentramento del Nord Europa, purtroppo non cessarono con la ricostituzione del governo italiano al Nord, malgrado le autorità nazionali, con gravi difficoltà, tentassero di limitarle. Giorgio Pisanò, nel suo "La guerra civile", ha documentato il trasferimento nei campi tedeschi di circa ottomila Ebrei italiani, di cui soltanto settecento sopravvissero allo sterminio.
Peraltro non si può tacere il fatto che anche l'Italia si dotò di una legislazione razziale, soprattutto per motivi di politica internazionale. Le leggi discriminatorie furono varate tra l'indifferenza della popolazione, ma salvaguardando l'aspetto umanitario che caratterizza la nostra cultura. Nessuno tra gli Ebrei italiani pagò con la vita per provvedimenti statali. Diverse migliaia di persone persero invece il posto pubblico di lavoro pur conservando il patrimonio e le risorse materiali di sopravvivenza. Fu una politica dannosa, contraria al sentire degli Italiani, motivata da ragioni di alleanza con la Germania. Alcuni scienziati, Enrico Fermi emerge tra tutti, abbandonarono l'Italia per sottrarsi a un clima divenuto ostile. Anche molti militari, che pure avevano profuso sangue e fatiche nelle guerre italiane dei primi decenni del XX secolo, furono allontanati dalle forze armate.
Documento di "non annotazione razziale" del 1941
Le leggi razziali prevedevano diverse eccezioni: se solo il padre era di stirpe ebraica, i figli non potevano essere discriminati in nessun modo, e questo in considerazione che l'allora vigente tradizione ebraica, che aveva valore di legge - oggi la norma è cambiata - ammetteva il riconoscimento di razza soltanto se la madre era di origine ebraica. L'origine del padre era ininfluente o, più saggiamente, incerta. Altra eccezione era riservata ai soldati che si erano distinti durante la Prima Guerra Mondiale, che mai subirono privazioni di sorta. Quanti potevano vantare "semplici" meriti di italianità conobbero comunque l'ingratitudine e l'amarezza.
Emblematico è il caso del generale del Genio Navale Umberto Pugliese, insieme all'ammiraglio Brin il maggior esperto di costruzioni navali italiano. Aveva inventato il celeberrimo "cilindro Pugliese", una sorta di assorbitore d'urto dei siluri realizzato sulla carena della nave e capace di assorbire l'energia di penetrazione dell'arma subacquea. Grazie a questa struttura ad assorbimento le grandi navi italiane erano praticamente inaffondabili per l'offesa sottomarina. Ideò anche il moderno torrione di comando delle navi militari, subito imitato dalle marine straniere, presiedendo inoltre alla progettazione delle nuove unità militari, per le quali escogitò sistemi di corazzatura, di triplo fondo e di tenute stagne che permisero alla maggior parte delle navi italiane, colpite pesantemente durante gli scontri, di raggiungere le basi con ampie possibilità di recupero.
Nel novembre 1938, con la promulgazione delle norme per la difesa della razza, fu allontanato dal servizio con un laconico comunicato del Sottosegretario alla Marina Cavagnari, con preavviso di un solo giorno.
Esattamente due anni dopo, quando nella "Notte di Taranto" le navi in porto vennero colpite e semiaffondate, le gerarchie militari della Regia Marina chiamarono in soccorso il generale Pugliese per i lavori di recupero, naturalmente con il pieno consenso del capo del governo. L'alto ufficiale non mostrò alcun risentimento, ma pretese di indossare la divisa da ufficiale della Marina. Tre navi da battaglia giacevano inclinate ma non affondate e Pugliese riuscì in pochi mesi a rimettere in servizio la Littorio, la Duilio e la Cavour. Rientrò immediatamente in servizio attivo grazie alle "eccezionali benemerenze" previste dall'art. 14 del R.d.l. n. 1728 (cosiddetta "discriminazione" per alcune categorie speciali contenuta nella "legge in difesa della razza").
Arrestato nel gennaio 1944 a Roma dalla polizia tedesca, venne subito rilasciato su pressione delle ricostituite autorità italiane. Si rese allora irreperibile e si recò nell'Italia settentrionale, alla ricerca della sorella Gemma, che sapeva essere stata arrestata a Sanremo nel novembre 1943 e che invece, deportata ad Auschwitz, vi trovò la morte.
La vicenda di Pugliese, insomma, morto a Sorrento nel 1961, è il classico esempio della stupidità umana.
La stupidità della burocrazia, invece, sempre pronta ad autoalimentarsi, rese ancor più ridicola l'applicazione delle leggi razziali in Italia. Bastava andare al comune, dichiarare la propria purezza "razziale", ritirare il certificato che subito veniva rilasciato dall'anagrafe senza troppi controlli e, con quello, recarsi in tribunale, dove veniva apposto l'immancabile "timbro", che in Italia, anche allora, non veniva negato a nessuno.