EXCALIBUR 68 - marzo 2012
in questo numero

La "coerenza" di Giorgio Bocca

Il "campione" degli antifascisti zittito da Pietro Ciabattini. E il Presidente fa le orecchie da mercante...

di Filippo Giannini
Sopra: Giorgio Bocca (Cuneo 1920 - Milano 2011)
Sotto: Pietro Ciabattini (Siena 1925 - Firenze 2010)
Premessa essenziale: coerentemente all'educazione avuta abbiamo il massimo rispetto per i morti. Quindi il trapasso di Giorgio Bocca verrà trattato da noi con parole di giustificazione.
Entriamo nel merito.
Il giorno di Natale del 2011, Giorgio Bocca ha cessato di vivere. Nel commemorarlo, il Presidente Napolitano attestò di apprezzare la sua coerenza. D'accordo, come sostenevano i Latini, mors omnia solvit, quindi dei morti si dovrebbe dire tutto il bene possibile.
Il quotidiano "Libero" di qualche tempo fa scrisse: «Giorgio Bocca - È un ex fascista. Non mi fido di Gianfranco Fini. Giorgio Bocca apprezza Fini, ma non si fida». Da vecchio partigiano, non scende dalle metaforiche montagne della resistenza dura e pura contro l'ex (post) fascista. «Bocca non riesce a fidarsi di uno che, potendo scegliere tra democrazia e Repubblica di Salò (???), sceglie Salò e i nazisti e diventa missino».
Veniamo al personaggio Giorgio Bocca.
Allora chi era questo mangiafascisti? Risposta: era un fascista, un super fascista, un fascistissimo. Poi le cose cominciarono ad andar maluccio e il superfascista si trasformò in super antifascista. Qualcuno osserverà: sempre super è stato (questa è la coerenza?).
Cosa aveva scritto il Nostro? Da "Italia Fascista in piedi", pag. 188: «Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell'Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù», articolo pubblicato poi sul giornale della Federazione Fascista di Cuneo il 4 agosto 1942.
Il protagonista passò in un lampo, con sorprendente disinvoltura, dallo sfrenato fascismo all'antifascismo, dall'odio per gli Ebrei alla loro esaltazione. Si dirà che Giorgio Bocca aveva solo 22 anni e, come tanti altri, era un ragazzo, non capiva, era appena svezzato, quasi ancora con il ciuccio in bocca, così, dopo la sconfitta dell'Asse in Africa e a Stalingrado, dopo lo sbarco dei liberatori in Sicilia, il Nostro venne illuminato e... toh! L'intelligenza si sveglia, via il ciuccio, la guerra, quella che sino ad allora era ineluttabile, si trasforma in crudele aggressione ed è, oltretutto, persa; e da lì a trasformarsi in antifascista e divenire partigiano è cosa altrettanto ineluttabile.
Fu sempre Lui, il Bocca in Camicia Nera, che il 5 gennaio 1943 denunciò alla polizia fascista l'industriale Paolo Berardi, il quale in treno nel tratto Cuneo-Torino, conversando con altri passeggeri, ebbe l'infelice idea di sostenere che la guerra era ormai perduta. Per l'infelice industriale fu una mazzata: il destino volle che in quello scompartimento viaggiasse anche un fascista tutto d'un pezzo, un ragazzo ventitreenne, segretario del Guf (Giovani Universitari Fascisti) di Cuneo, il quale appioppò uno schiaffone al povero Berardi. Non solo, appena sceso a Torino lo denunciò alla polizia quale disfattista, ostentando il gesto e riportandolo sul suo giornale "La Provincia Grande" dell'8 gennaio 1943.
Ecce homo, amici miei. Il Nostro divenuto in poche settimane intelligente e maturo, salì in montagna a combattere coloro che diverranno "I rottami di Salò" (L'Espresso - 12 maggio 1995) nella formazione "Giustizia e Libertà", con conseguente e inevitabile medaglia d'Argento al valore resistenziale. Combatté a fianco degli Alleati, i quali hanno nutrito verso i loro associati un vizietto: non hanno mai voluto riconoscere loro alcun merito, non solo nelle vittorie contro il Fascismo, ma addirittura provavano un non mai celato disprezzo, come si espresse, ad esempio, un alleato dei resistenti, l'inglese Amery nel suo libro "Of Resistence" (1949), nel quale, fra l'altro, si può leggere: «Le finalità della Resistenza non furono né la vittoria né la liberazione, ma il riacquisto o la conquista del potere». Opinione non dissimile da quella del colonnello Stevens, già capo della missione inglese presso il Comando partigiano del Piemonte, al quale i partigiani davano l'impressione «di rappresentare il braccio armato dei politicanti ambiziosi e di avventurieri facinorosi». A salvare parzialmente le suddette sentenze, possiamo citare l'ufficiale inglese J.R. Rejnold, il quale nel suo libro "Amgot in Italy", raccontò: «Fra i partigiani ho incontrato talune persone realmente bene educate e unità ben disciplinate, ma di gran lunga la maggioranza erano gangsters che perseguivano vantaggi personali». Rejnold, con gran senso profetico, continua: «Essi stanno costruendo intorno a sé stessi una mitologia ricca e completamente falsa che verrà poi insegnata per sempre nelle scuole italiane [...]. I partigiani sono pronti a far rivivere la vecchia e nobile tradizione del brigantaggio italiano».
Il Presidente Napolitano conoscerà il rispetto che gli Anglo-americani riconoscevano - invece - ai rottami di Salò, da loro riveriti come true soldiers (veri soldati)?
Il Nostro sempre più indomabile soccorritore dei vincitori fu uno dei firmatari di quel documento (che definire ignobile è riduttivo) del 1971 e pubblicato su "L'Espresso" (sempre quello), nel quale il commissario Calabresi veniva definito commissario torturatore e «responsabile della fine di Pinelli».
Alcuni anni fa fummo invitati ad assistere a una trasmissione televisiva imperniata su una sfida dialettica fra Giorgio Bocca e Pietro Ciabattini. Quest'ultimo era uno scrittore, storico ed ex combattente della Repubblica di Salò, nella realtà una Repubblica mai esistita, chiamata così con fare provocatorio e stupidamente ridicolarizzante per indicare quella che realmente era la Repubblica Sociale Italiana. Aggiungo che, purtroppo, alcuni mesi fa Pietro Ciabattini ci ha lasciati, ma non rinnegò mai il suo passato di fascista e tale rimase sino alla fine (roba da matti, vero signor Presidente?). Ebbene, nella trasmissione televisiva Giorgio Bocca sferrò con la sua usuale arroganza un attacco al Fascismo e ai fascisti. Ciabattini, caricando la sua cadenza toscana, rispose. «'O stai zitto tu che eri più fascista di me! 'O che mi prendi per bischero?». Bocca assorbì l'inaudita offesa in silenzio e non replicò.
Siamo sempre contrari a parlare di personaggi saliti in cielo, ma dato che la morte di Giorgio Bocca ha rialimentato ingiurie e condanne senza appello verso coloro che non hanno possibilità di difesa alcuna, abbiamo sentito, di conseguenza, il dovere di trasgredire al nostro modo di intendere l'etica.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO