EXCALIBUR 70 - ottobre 2012
in questo numero

Deutschland uber alles

Perché noi non amiamo i Tedeschi e perché loro non ci stiman

di Angelo Abis
Sopra: la Germania si muove nell'Unione Europea come se fosse sua proprietà
Sotto: l'eurodeputato socialista tedesco Martin Schulz, noto in Italia per un vivace battibecco al Parlamento europeo con Berlusconi
«Germania al di sopra di tutto» (e di tutti).
Questo l'incipit dell'inno nazionale tedesco, inno che, si badi bene, non fu creato nella Germania nazionalsocialista, bensì nella democratica Repubblica di Weimar.
Hitler ne mantenne solo la prima strofa, aggiungendovi poi un inno nazista. Ciò non impedì, nel '45, agli Alleati di proibire detto inno.
Costituita nel 1950 la Repubblica Federale Tedesca come stato indipendente, dopo aver sopportato per due anni un nuovo inno nazionale a loro poco gradito, i Tedeschi occidentali ritornarono, nel '52, all'antico canto, con l'accortezza, però, di adottarne solo la terza strofa che ha come titolo "Concordia, Giustizia e libertà".
Già, perché, giusto per rimanere nella prima strofa, titolo a parte, si recita che la patria tedesca va «Dalla Mosa fino alla Memel, dall'Adige fino al Belt».
Un po' troppo per non risuscitare risentimenti e timori negli stati di mezza Europa.
Questa breve premessa canora per arrivare a capire il perché, quasi all'improvviso, sia sorto nell'opinione pubblica italiana un sentimento fortemente antitedesco, condito di molti luoghi comuni: la Merkel come Hitler, i Tedeschi, i soliti arroganti e prepotenti che lungi dal dimostrare solidarietà nei confronti dei fratelli europei, pensano solo ai propri interessi: "Deutschland uber alles", appunto.
Pare che sia tutta colpa dello spread (differenziale tra il rendimento dei buoni del tesoro italiani e quello dei buoni del tesoro tedeschi). Il quale spread, a partire dall'estate del 2011, incomincia paurosamente a salire per una serie di manovre speculative rese possibili dal fatto che il nostro debito pubblico non è più garantito, come in passato, dalla Banca d'Italia e dalla sua riserva aurea. Logica vorrebbe che il compito sottratto alla Banca d'Italia, venisse assunto dalla Banca Centrale Europea (leggi Germania). Manco per niente!
«;Se il vostro spread sale», affermano i Tedeschi, «;non c'entra niente la speculazione. La colpa è del vostro debito pubblico enorme, della vostra allegra finanza, delle mancate riforme, della poca credibilità della vostra classe politica (leggi Berlusconi). Ecco la ricetta per rimettervi in sesto: riforma delle pensioni, pareggio del bilancio entro il 2013, dimezzamento del debito pubblico in vent'anni, revisione dell'art. 18 dello Statuto del Lavoratore, ecc.».
La prescrizione è ottima, ma è come mettere a dieta un malato anoressico.
La proposta fu inizialmente accolta con entusiasmo dal nostro establishment, segnatamente per la parte, più o meno tacita, che riguardava l'eliminazione di Berlusconi. L'On. Udc Buttiglione, che parla, scrive e pensa in tedesco, non si peritò di dire che con le dimissioni di Berlusconi lo spread sarebbe calato di 300 punti! Abbiamo visto come è andata.
Ma perché i Tedeschi non possono vedere Berlusconi?
Andiamo indietro nel tempo: 2 luglio 2003, aula del parlamento europeo. Il presidente del gruppo socialista Martin Schulz si rivolge al presidente di turno del consiglio dell'Unione Europea, Silvio Berlusconi, in termini sprezzanti e offensivi per lui e per l'Italia, ricevendone in cambio l'appellativo di "Kapò" (in genere un criminale comune che nel campo di concentramento collaborava con le S.S. per il controllo dei deportati).
Non è immaginabile un insulto peggiore per un Tedesco, tant'è che Schulz ne fu così scosso che non riuscì neppure a replicare.
L'episodio fu la spia che l'Italia mal si acconciava a subire le imposizioni dell'asse Franco-Tedesco, che sino allora aveva dettato legge in Europa.
Da quel momento Berlusconi brigò per mettere in piedi un asse alternativo composto dall'Italia, dall'Inghilterra di Tony Blair e dalla Spagna di Aznar. Il nuovo asse, complice anche un Bush irritato perché Francia e Germania si erano messe di traverso per il conflitto in Iraq, mise per molto tempo in un cantuccio lo strapotere delle due nazioni.
Nel 2005, la Germania, in vista di una ineludibile riforma del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, avanza la sua candidatura a membro permanente del consiglio, insieme a Giappone, India e Brasile, con i quali costituisce il cosiddetto gruppo dei G4. La cosa sembra fatta: la Germania ha l'appoggio di Francia e Inghilterra, nonché degli Stati Uniti di Clinton.
Ma l'Italia non ci sta, non solo perché preferirebbe che il seggio venisse assegnato alla Comunità Europea, ma anche perché una costante della politica estera italiana, sin dai primordi dello stato unitario, è quella di pretendere che l'Italia venga considerata alla pari con le altre tre grandi nazioni europee e cioè Francia, Inghilterra e Germania.
In fondo tutte le nostre fortune e disgrazie sono spiegabili col raggiungimento o meno di questo obbiettivo.
Fatto sta che non solo l'Italia di Berlusconi, ma anche quella di Prodi, con un paziente e discreto lavoro diplomatico riesce a creare nell'assemblea generale dell'Onu una maggioranza che boccia irrevocabilmente l'aspirazione tedesca. Noi Italiani di questo episodio ce ne siamo dimenticati, ma i Tedeschi no.
E infatti ce la stanno facendo pagare, mostrando che in Europa comandano loro, per cui o si fa come dicono o si va a ramengo. Se pensano di avere l'Italia in pugno perché c'è Monti, vuol dire che non hanno capito niente degli Italiani. Monti non è altro che un paravento, dietro il quale si stanno preparando le artiglierie che daranno filo da torcere ai Tedeschi: e l'azione di Draghi non è che un inizio.
Statene certi: le prossime elezioni politiche saranno un referendum tra chi con la Germania vorrà rivedere tutto, trattando su un piano di parità, e chi invece si mostrerà rassegnato.
Su chi vincerà non abbiamo dubbi.
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