EXCALIBUR 76 - febbraio 2014
in questo numero

27 Gennaio e 10 febbraio: due date, una memoria

Le due celebrazioni non possono essere tra di loro antitetiche

di Angelo Abis
Sopra: corteo per le vie di Cagliari e commemorazione dei Martiri delle Foibe nel Parco delle Rimembranze
Sotto: 16.10.1943, rastrellamento degli Ebrei nel ghetto di Roma
Iniziamo dal 10 febbraio.
Come i nostri lettori sanno, è una vita, molto prima che venisse istituita la giornata del ricordo, che l'Associazione "Vico San Lucifero" ed "Excalibur" si occupano della questione delle Foibe e dell'esodo delle popolazioni giuliano-dalmate. Anzi, a voler essere pignoli, possiamo far risalire al 1995 la prima grande manifestazione tesa a portare alla ribalta sarda un tema allora poco sentito anche dalla "nostra" opinione pubblica.
Tenemmo una convegno all'hotel Mediterraneo avendo come oratori e ospiti d'onore Guido Cace, presidente dell'associazione giuliano-dalmata e Roberto Menia, istriano, allora giovanissimo deputato di An. Ricordo anche che proiettammo alcuni documentari pressoché inediti sul recupero dei cadaveri degli Italiani gettati, spesso ancora vivi, in quelle profonde cavità carsiche chiamate Foibe.
A partire dal 1999 è stato un susseguirsi di iniziative, tutte coronate dal successo, che portarono all'intitolazione di strade, alla deposizione di lapidi, alla creazione di un parco, con l'unico fine di onorare il sacrificio di quegli sventurati Italiani.
Ci fu poi la scoperta, anche per noi, che alcune centinaia di Sardi, militari e civili, furono trucidati dagli Slavi e che migliaia di profughi giuliano-dalmati trovarono accoglienza e calda ospitalità in Sardegna.
Eppure, ancora oggi, il ricordo di quei fatti ci offende, e non tanto per la mattanza perpetrata dagli Slavi, esecrabile quanto si vuole, ma ascrivibile al modo barbaro, come anche avvenimenti recenti hanno dimostrato, che questi popoli hanno di concepire la guerra, ma perché questa tragedia è stata mistificata, ignorata e confinata nell'oblio per un motivo abbietto: essa era un pugno nell'occhio di quanti (purtroppo molti) pensavano che, in fondo, perdere la guerra fosse stata una mezza vittoria: non fummo, infatti, "liberati" dalla dittatura, dalla mania di grandezza e soprattutto dal dovere, come popolo, di conservare un minimo di dignità e di onore?
Quelle centinaia di migliaia di profughi, gli unici o quasi, che non avevano accolto il nemico come "liberatore", erano la cartina di tornasole di come la guerra l'avessimo perduta e perduta male. Quei profughi preferirono rinunciare alla propria terra e ai propri beni piuttosto che abiurare all'essere Italiani. Per questo motivo furono umiliati, derisi, accolti con sputi e insultati al grido di "fascisti", facendo riemergere un antico vezzo nazionale: quello che ti definisce per la tua appartenenza municipale, ideologica o partitica. L'essere Italiani lo consideriamo quasi un optional.
Non abbiamo mai considerato tutto questo "cosa nostra", magari da usare contro qualcuno, né abbiamo mai permesso che su una tragedia che fu nazionale, e che quindi riguardava tutti, venisse in qualche modo sfruttata per fini di parte o peggio per fini elettorali.
Nel febbraio del 1999, l'allora direttore di Excalibur, Roberto Aledda, ebbe a scrivere, a proposito di maldestre strumentalizzazioni per fini politici: «La nostra è una associazione fondata da ex militanti di destra che, pur avendo vissuto sulla propria pelle i tempi oscuri della repressione "antifascista", hanno sempre combattuto per raggiungere la pacificazione nazionale e il diritto di tutti gli Italiani di essere ricordati allo stesso modo. Non abbiamo mai permesso e non permetteremmo mai a nessuno, che siano uomini o partiti, di strumentalizzare iniziative come questa sulle foibe».
Venne poi, nel 2004, la giornata del ricordo, istituita con votazione pressoché unanime dal parlamento nazionale con le relative commemorazioni ufficiali che si tengono ogni anno il 10 febbraio. In proposito, non possiamo non registrare con soddisfazione che a tali manifestazioni siano presenti, con spirito partecipativo, chi pure è a noi politicamente e culturalmente avverso.
Detto questo veniamo alla "giornata della memoria", istituita egualmente nel 2004 per ricordare la tragedia delle comunità ebraiche deportate e pressoché eliminate nel corso della seconda guerra mondiale, ovvero la "shoah".
Premessa: sull'antisemitismo nazista, sulla shoah, sulle leggi razziali, sul rapporto tra Ebrei, fascismo e Mussolini, Excalibur si è sempre espresso molto chiaramente, senza se e senza ma, avendo come punto di riferimento la verità storica e null'altro (vedi gli articoli "Sì a un giusto revisionismo" del n. 22, "Antisemitismo tra revisionismo e propaganda" del n. 27, "Fini, gli Ebrei, il fascismo" del n. 44).
Ma non vogliamo nasconderci dietro un dito: la giornata della memoria non l'abbiamo mai sentita come nostra, anzi l'abbiamo accolta sempre con un certo fastidio. Complice certamente il martellamento ossessivo teso a dimostrare "l'unicità" di quel genocidio, quasi che gli altri genocidi di cui è sparsa la storia fossero un minus di poco conto, e il "male assoluto", rappresentato dai responsabili della shoah, in qualche modo rendesse meno eclatanti le colpe per gli altri genocidi. Tra l'altro "male assoluto" significa male ineluttabile e in nessun modo emendabile, paradossalmente un tutt'uno con la teoria nazista dell'intrinseca e incorreggibile "perversione" dell'Ebreo.
Ma ciò che proprio non riusciamo a digerire sono certe equazioni e certi sillogismi, invero pi? opera di certi "ariani" che degli Ebrei, del tipo "fascismo = nazismo", leggi razziali del '38 propedeutiche allo sterminio degli Ebrei.
Per comprendere la falsità di questi assunti è sufficiente leggere gli articoli di Excalibur citati, i quali si basano sopratutto su fonti ebraiche.
Tutto ciò, però, non ci esime dal dire che il considerarci estranei alla shoah è un grave errore, e non certo perché non ci adeguiamo al politicamente corretto, anzi, al contrario, perché veniamo meno a quelli che sono i nostri doveri nei confronti di chiunque, proprio in quanto facente parte della comunità italiana, seppure di origine ebraica, ha conosciuto angherie, deportazione e morte, né pi? e né meno di ciò che ebbero a subire i Giuliano-Dalmati, con l'aggravante che tali azioni riguardarono non solo persone adulte, ma anche bambini, vecchi e malati, senza che ci fosse stato da parte di costoro il pur minimo gesto di ostilità nei confronti delle truppe germaniche, le quali operavano, si badi bene, agli ordini di uno stato che si proclamava nostro alleato.
Dopo l'8 settembre del '43, nell'Italia occupata, la principale preoccupazione dei Tedeschi fu quella di rastrellare quanti pi? Ebrei possibile. Ecco i testi di due telegrammi riportati nel volume "Salò-Berlino - L'alleanza difficile", a pagg. 179-180, curato da due storici d'area, Cospito e Neulen: «Telegramma Nr. 192 - Da trattarsi solo come affare segreto - Roma li 6 ottobre 1943 - Personale per il sig. Ministro del Reich. L'Obersturmbamfuhrer Kappler ha ricevuto da Berlino l'incarico di arrestare ottomila Ebrei residenti a Roma e di trasferirli nell'Italia settentrionale dove saranno liquidati. Il comandante della città di Roma, generale Stahel, mi comunica che consentirà tale operazione solo se essa corrisponde ai desideri del sig. Ministro degli Esteri del Reich. Personalmente sono dell'avviso che sarebbe cosa migliore impiegare gli Ebrei, come a Tunisi, nei lavori forzati e ne parlerò insieme a Kappler e al feldemaresciallo Kesserling. Chiedo istruzioni. Moellhausen».
La risposta non si fa attendere: «Dispaccio telegrafico del Westfalen - N. 1645 del 9/10/1943 - Affari segreti del Reich - Solo per l'ufficio del Ministro. Il sig. Ministro degli Esteri del Reich prega di comunicare all'ambasciatore Rahan e al console Moellhausen che sulla base di una disposizione del Fuhrer, gli ottomila Ebrei residenti a Roma devono essere trasportati a Mauthausen come ostaggi. Il sig. Ministro degli Esteri prega di far presente a Rahan e Moellhausen di non immischiarsi nella faccenda, ma di lasciarla alle SS Sonnleithner».
Secondo Giorgio Pisanò (cfr. "Storia della guerra civile") di quegli ottomila se ne salvarono circa settecento, mentre, sempre secondo Pisanò, dei 250 mila Ebrei che alla data dell'8 settembre si trovavano nei territori occupati dagli Italiani, scamparono alla morte un paio di migliaia.
E non ci si venga a parlare di opposizione degli Ebrei al fascismo o peggio della loro estraneità alla comunità nazionale. In proposito ci limitiamo a riportare quanto pubblicato subito dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938 dal giornale "Israel": «la discriminazione potrà avere dolorose conseguenze: sopportarle virilmente sarà nuovo segno di dignità, di fede al proprio dovere e al proprio essere e di vero amore per l'Italia, che i cittadini ebrei continueranno a servire con abnegazione illimitata in ogni campo, in ogni condizione, in ogni contingenza comunque e dovunque sia il loro posto».
Questo è il motivo per cui è identica la tragedia degli Italiani "giuliano-dalmati" e degli Italiani "ebrei". E per questo non accettiamo che la giornata del ricordo e quella della memoria siano considerate, in una macabra par condicio degli orrori, l'una ricorrenza dei filofascisti, l'altra degli antifascisti. È forse il caso di considerare la shoah anche cosa nostra e il 27 gennaio una data che ci deve far meditare sulla nostra storia. Il revisionismo storico è come la morale: non basta sbandierarlo! Occorre metterlo in pratica, a cominciare da noi stessi.
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