EXCALIBUR 79 - maggio 2014
in questo numero

Palmiro Togliatti: il leader comunista prediletto da Stalin

Storia di un comunista divenuto cittadino sovietico, che come pochi ha inciso profondamente sulla politica italiana del secolo scorso

di Angelo Abis
Sopra: Palmiro Togliatti (Genova, 1893 - Yalta, 1964)
Sotto: la morte di Togliatti, il 21 agosto 1964, gettò nella disperazione milioni di comunisti italiani
Esattamente cinquant'anni fa moriva a Yalta, in Crimea, colpito da un ictus, Palmiro Togliatti, capo assoluto del Partito Comunista Italiano e membro autorevolissimo di quell'internazionale comunista (prima Komintern e poi, nel dopoguerra, Kominform) che gli affidò missioni non proprio commendevoli, non tanto contro gli anticomunisti, quanto, come vedremo in seguito, contro alti esponenti comunisti in odore di eresia.
Togliatti nasce a Genova nel 1893, lo troviamo, nel 1908, studente al liceo classico "Azuni" di Sassari: è il migliore allievo dell'istituto, tanto da ottenere la "licenza d'onore", titolo che lo esonerava dal sostenere l'esame finale di maturità. Nel 1911 sostiene gli esami per ottenere una borsa di studio per l'università di Torino: si classifica secondo, mentre Antonio Gramsci nello stesso concorso arriva al nono posto. Nel 1915 conseguì la laurea in giurisprudenza discutendo con Luigi Einaudi la tesi "Il regime doganale delle colonie".
Della laurea, che invece Gramsci non riuscì a conseguire, Togliatti, che aveva un po' la spocchia dell'intellettuale, se ne fece vanto, soprattutto nei confronti del pensatore sardo.
I due, però, sono amici e socialisti. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale e, soprattutto dopo l'espulsione di Mussolini dal partito socialista per la sua posizione a favore dell'intervento, Gramsci e Togliatti strappano la tessera del partito e seguono Mussolini nella sua azione interventista: il primo scrivendo un articolo sui pastori sardi per il quotidiano di Mussolini "Il popolo d'Italia", l'altro arruolandosi volontario nell'esercito, pur essendo riformato.
Su questa pagina la storiografia di sinistra ha sempre glissato, non tanto sulle motivazioni che spinsero i due sul fronte interventista, quanto sul come e sul perché Gramsci dopo pochi mesi e Togliatti dopo cinque anni siano rientrati nell'ovile socialista. Togliatti, non pago di stare al fronte come addetto alla Croce Rossa, chiese e ottenne di poter frequentare il corso ufficiali. Gli esami di fine corso lo vedono tra i primi. Ma una funesta o provvidenziale, vedete voi, malattia gli impedisce di portare a termine l'addestramento pratico e quindi la promozione a ufficiale. Certo, se l'avesse conseguita, gli sarebbe stato impossibile il rientro nel socialismo.
Togliatti a partire dal '20 inizia la sua attività politica prima nel partito socialista e poi, dopo la scissione, nel partito comunista. Col fascismo, viene arrestato nel '23, ma scarcerato quasi subito a seguito di una amnistia.
Da allora si renderà uccel di bosco muovendosi tra Russia e mezz'Europa a servizio del Komintern, ma tenendo sempre saldamente in pugno il pur clandestino partito comunista d'Italia.
A tal proposito ci piace riportare una informativa di un delatore della polizia: «È il despota del Partito Comunista d'Italia. Unico e assoluto Membro del Comitato Esecutivo [...]. Tutto era nelle sue mani. Denaro, ordini, cifrari, ecc.. Lo segnalai ripetutamente ma sempre riuscì a sfuggire [...]. Degli arrestati odierni è il più scaltro e il più agguerrito. Lo conosco perfettamente da molti anni e posso affermare e fargli l'onore di riconoscerlo come il più furbo dei comunisti italiani».
Per l'attività svolta da Togliatti all'estero negli anni '30, ma soprattutto per farci una idea della personalità dell'uomo, riportiamo quanto narrato in una intervista dal suo ex segretario Massimo Caprara, deputato comunista passato nel 1969 col gruppo eretico de "Il Manifesto" e infine approdato ai lidi di "Comunione e Liberazione":
E il suo ripudio del comunismo quando sopraggiunse? - «La crisi cominciò nel febbraio di quell'anno (1964, dopo la morte di Togliatti, n.d.r.), all'uscita di "Togliatti 1937", un libro, subito fatto sparire dagli scaffali, scritto da Renato Mieli, padre di Paolo, l'ex direttore del Corriere della Sera. Un Ebreo perseguitato che era stato capo della divisione esteri del Pci e responsabile milanese de "L'Unità". L'avevo conosciuto a Napoli nel 1944, dov'era giunto da Gerusalemme col nome di maggiore Merryl al seguito dell'Armata inglese e mi aveva assegnato la carta razionata per stampare "Rinascita". Eravamo diventati amici. In quel libro Mieli parlava per la prima volta di Togliatti negli anni della guerra civile in Spagna. Dopo averlo letto, io e Marcella Ferrara, la madre di Giuliano, che era segretaria di Rinascita, ci stropicciammo gli occhi e ci dicemmo: non può essere vero, sono tutte menzogne».
Che cosa non poteva essere vero? - «Che Ercoli, alias Togliatti, spedito in Spagna dal Komintern, avesse collaborato al massacro di 600 anarchici e all'eliminazione di Andrés Nin, uno dei fondatori del partito comunista spagnolo, già segretario di Trotzkij a Mosca. C'è una dichiarazione giurata in cui Aleksandr Orlov, famigerato emissario di Stalin, attesta che egli a Barcellona prendeva ordini dal compagno Ercoli. Togliatti e Orlov assoldarono Ramón Del Rio Mercader, il sicario che nel 1940 a colpi di piccozza fracassò il cranio a Trotzkij rifugiato in Messico. Lo sa chi era questo Mercader?»
No - «Il fratello della moglie di Vittorio De Sica. A incarico concluso, avrebbe dovuto tornare in Russia. Venne liquidato prima, in un albergo in Olanda. All'improvviso mi fu chiaro perché il Migliore (sopranome di Togliatti, n.d.r.) non parlasse mai della sua vita serpentina durante la guerra di Spagna. Antonio Gramsci diceva che Togliatti "anguilleggiava", procedeva come procedeva Stalin. Non aveva trovato in Stalin il suo dittatore preferito: era Stalin lui stesso. E soprattutto taceva e mentiva su un altro crimine orrendo».
Quale? - «Il 1º agosto 1937 era stato prelevato a Barcellona da un aereo militare sovietico e condotto a Mosca perché, come vicecapo dell'Internazionale comunista, doveva firmare la condanna a morte dell'intera dirigenza del partito operaio polacco. Quindici persone, trotzkisti ed Ebrei. Tutti ammazzati. Per cui un giorno, mentre scendevo con lui in ascensore a Botteghe Oscure, gli chiesi: "Scusa Togliatti, ma secondo te che cosa avrebbe fatto Gramsci se si fosse trovato nelle tue stesse condizioni?". Mi fissò algido, lo ricordo come se l'avessi ancora qui davanti. Senza volerlo, l'avevo posto di fronte al suo vero problema: il confronto col maestro. Rispose: "Gramsci sarebbe morto". Lì per lì non capii. Ma poi, ripensandoci, compresi che cosa intendeva dire: Gramsci avrebbe pagato con la propria vita piuttosto che firmare quell'ordine atroce. Togliatti s'era dato la patente di assassino. Non c'entrava più la politica, ma l'umanità».
Il comunismo è davvero morto? - «Direi di no. È fallito».
Un capitolo a parte meriterebbe il rapporto tra Togliatti e il fascismo, innanzitutto sul piano culturale. Perché se è pur vero che il Togliatti comunista ha scritto tutto e di più contro il fascismo e Mussolini, è altrettanto vero che il suo volume "Lezioni sul fascismo", una raccolta dei testi delle lezioni sul fascismo, tenute da lui a Mosca nel 1934 agli attivisti comunisti, rappresenta un contributo acuto e di spessore alla comprensione del fascismo, del suo respiro sociale, della sua intima connessione con la società italiana.
Come del resto ci sarebbe ancora molto da indagare sulla genesi e sulle finalità del famoso messaggio "Ai fratelli in camicia nera", lanciato dal partito comunista al fascismo nel 1936, dopo la conquista dell'Etiopia.
Togliatti rientrò in Italia nel 1944 grazie a una manovra, tanto astuta quanto povera di risultati, posta in essere dall'ambasciatore sardo Renato Prunas, il quale riuscì a far sì che l'Unione Sovietica riconoscesse il Regno del Sud, cosa questa che rappresentava una violazione delle clausole dell'armistizio che imponevano all'Italia di non intrattenere rapporti con altri stati senza l'assenso degli alleati. Il bello fu che gli alleati considerarono l'operazione una perfidia sovietica e non una furbata italiana.
Il rientro di Togliatti e la cessazione della campagna anticomunista furono il pegno che il Regno del Sud pagò all'Urss per il suo riconoscimento.
Il seguito lo conosciamo. Togliatti, nel '44, prende in mano un partito di poche migliaia di aderenti, peraltro attestati su posizioni fortemente antimonarchiche e antibadogliane.
Si racconta che, quando alla direzione del partito annunciò la famosa "svolta di Salerno" con cui si stabiliva l'appoggio al Re e al governo Badoglio, Velio Spano, l'ex senatore sardo, gli avesse lanciato un calamaio.
Nel giro di qualche hanno il Pci diventa quell'enorme apparato efficientissimo che riesce a mobilitare milioni di persone, che monopolizza di fatto la lotta armata della resistenza, che è determinante, con metodi più o meno leciti, nella caduta della monarchia e nella vittoria della repubblica.
Ma il successo di Togliatti, e non fu poco, si fermò lì non tanto per merito degli avversari, che Togliatti tentò in ogni modo di neutralizzare, in primis i cattolici, promuovendo l'inserimento dei patti Lateranensi nella costituzione, e poi persino i fascisti, promulgando nel '46, in veste di ministro di grazia e giustizia la cosiddetta "Amnistia Togliatti" e permettendo nello stesso anno la nascita del Msi.
Chi determinò il suo en pass fu la scelta obbligata che egli fece quando scoppiò il contrasto tra Russi e Americani. Schierarsi con Stalin portò tutta la società italiana, salvo buona parte della classe operaia, peraltro minoritaria, a compattarsi intorno alla Dc e a determinare nell'aprile del 1948 la sconfitta sonora del fronte popolare.
Da allora il Pci accantonò ogni speranza di poter arrivare al potere senza il consenso della Dc.
tutti i numeri di EXCALIBUR
VICO SAN LUCIFERO