EXCALIBUR 81 - ottobre 2014
in questo numero

Vittorio Dan Segre: l'uomo che morì più volte

Si è conclusa la vita avventurosa di uno splendido italiano

di Angelo Marongiu
Vittorio Dan Segre (Rivoli, 1922 - Torino, 2014)
Nel suo ultimo libro di racconti, pubblicato lo scorso anno, "Frammenti", l'incipit del primo racconto recita: «So che alla fine di questo scritto, o di un altro, mi aspetta la morte».
Da quel racconto, scritto nel 1987, alla sua morte, avvenuta lo scorso 27 settembre, all'età di 92 anni, sono trascorsi 27 anni. Ma Vittorio Dan Segre era un uomo che la morte l'aveva sfiorata così spesso che alla fine essa era diventata una sua compagna di strada. Nei suoi tanti anni egli ha vissuto molte vite: è stato giornalista, diplomatico, scrittore, soldato, uomo d'azione.
La sua capacità di analisi della realtà di un'area turbolenta quale quella del Vicino Oriente e di Israele in particolare lo portava a delineare chiaramente nei suoi articoli e nei suoi libri i complessi rapporti tra gli eventi, gli attori e le dinamiche che si intrecciavano in una delle aree più nevralgiche del mondo.
Fu consigliere personale di Ben Gurion e di Golda Meir e compagno d'armi di Rabin e con loro contribuì alla nascita dello Stato di Israele. Faceva yoga con David Ben Gurion e fu reporter di Indro Montanelli (con il quale partecipò alla fondazione de "Il Giornale"); con la divisa della Brigata Ebraica salvò molti orfani della Shoah in Italia e dalle cattedre di Haifa e Lugano ha avvicinato l'Europa a Israele e viceversa. Insegnò nell'Università di Haifa, al Mit, a Oxford e fondò presso l'Università di Lugano l'Istituto di Studi Mediterranei, dal quale continuava a volgere il suo sguardo lucido e disincantato verso la sua amata seconda terra.
Piemontese schivo ma determinato, visse la splendida avventura dei kibbutz quando si rifugiò nella Palestina del mandato britannico per sfuggire alle leggi razziali nel 1938 e partecipò in prima linea alla prima guerra, quella della sopravvivenza d'Israele.
La vita l'ha rischiata tante volte: aveva nove anni quando un proiettile, partito accidentalmente dalla pistola del padre che la stava pulendo, gli sfiorò i capelli. Ne aveva trenta quando finì in un burrone con la sua auto, e ancora trenta quando ebbe un incidente aereo durante le prove di lancio della neonata Brigata Paracadutisti dello Stato d'Israele, da lui fondata. E poi un infarto che gli bruciò un quarto del cuore e un tumore solitamente fulminante ma che invece lo ha risparmiato per diversi anni.
I suoi ultimi libri - che raccontano la sua vita - hanno due titoli significativi: "Storia di un ebreo fortunato" e "Storia dell'ebreo che voleva essere eroe". Un autoritratto perfetto.
Negli ultimi anni della sua vita ha cercato nell'ebraismo della tradizione più nobile - nella "Kabbalah" - le risposte desiderate per tutta la vita.
Aveva in fondo al cuore uno strato di inquietudine segnata dalla morte della sua amata Rosetta: una sorta di distacco, di lontananza che non riusciva più a sciogliere.
È morto nel sonno, nel giorno del riposo ebraico, con il cuore pieno di ricordi meravigliosi. L'addio perfetto di un grande uomo, di un Uomo Giusto.
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