Excalibur rosso

La guerra santa dei vecchi e nuovi democristiani

La guerra santa dei vecchi e nuovi democristiani

di Angelo Abis
Il nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
A larghissima maggioranza il Parlamento ha eletto, il 31 gennaio, il nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
E fu subito incenso da parte della stampa e delle televisioni: è bravo, riservato, ha la Panda grigia e veste grigio, è cattolico come Papa Francesco.
Non prendetevela con i giornalisti e con i media... in fondo è dall'unità d'Italia che provano a costruire padri della patria da far digerire a un popolo che è tutto genio e sregolatezza, che, nella sostanziale indifferenza, col potere ha un rapporto che oscilla tra la scettica e interessata adesione e una altrettanto scettica e interessata contestazione, per cui, come diceva Mussolini, governare gli Italiani non è difficile, è inutile.
Pertanto viva Mattarella! Piacerà al popolo perché si guarderà bene dal dire qualcosa che possa urtarne la suscettibilità. Piacerà alla classe dirigente perché si barcamenerà tra l'esigenza di non accontentare troppo le maggioranze e di non scontentare più di tanto le opposizioni. D'altronde la storia d'Italia iniziò con la fatidica frase impropriamente attribuita a Cavour: «Fatta l'Italia, bisogna fare gli Italiani».
Poi è successo che gli Italiani, più sfatti che fatti a causa di una tragica e rovinosa sconfitta militare, si ritrovarono con una Italia distrutta. Per cui nel 1945 il fatidico motto divenne «Fatti gli Italiani occorre (ri)fare l'Italia>».
Questa volta non si partiva più dall'alto con re, generali e padri nobili o meno nobili. Il potere doveva sorgere dal basso, ovvero dal popolo, come si diceva allora. E il popolo creò un nuovo Stato a sua immagine e somiglianza; ovvero una Repubblica dove coabitano in conflitto perenne istanze laiche e cattoliche, democratiche e anarchiche, liberiste, corporativiste e stataliste, individualiste e comunitarie, fasciste e antifasciste, garantiste e forcaiole, ecc..
Governare un amalgama del genere è impresa ardua, tanto più che tutte queste istanze sono equamente rappresentate anche nel Parlamento. Impossibile, in una situazione del genere, eleggere un presidente che piaccia non dico a tutti, ma anche solo alla metà degli elettori.
Infatti (nelle segrete stanze) nessuno lo pretende: l'importante è che non dispiaccia a nessuno, a prescindere dal fatto che poi lo si voti o meno, perché questa è premessa indispensabile affinché il presidente possa svolgere il suo ruolo di garante dell'unità nazionale e di arbitro imparziale.
Ma queste sono quisquilie. Non ce ne rendiamo conto, ma siamo in guerra, ancora una volta per la Libia.
E forse in quest'ottica sarà opportuno ricordare che Mattarella è stato ministro della difesa nel corso del conflitto contro la Serbia e, stando ai "si dice", nel trattare col suo omologo statunitense, oltre a una competenza straordinaria, si mostrò particolarmente tignoso, senza tanti timori riverenziali.
Del resto Mattarella deriva da mattarello che è un diminutivo di "mattero", micidiale arma celtica simile al giavellotto. Il fatto che entriamo in guerra con un Presidente della Repubblica, del Consiglio e il ministro degli Esteri democristiani (come dire processioni contro cannoni) non ci spaventi.
Riportiamo testualmente da un rapporto del 1948 del nostro ambasciatore a Parigi, Quaroni: «Secondo gli Inglesi non ci si poteva fidare ancora della nuova Italia, non nel senso comunista, ma nel senso nazionalista. La Democrazia Cristiana aveva un fortissimo substrato nazionalista e quanto al ministro degli esteri Sforza, sotto le sue apparenze internazionalistiche nascondeva un nazionalista arrabbiato».
Auguri signor presidente e buona guerra!