EXCALIBUR 89 - dicembre 2015
in questo numero

Letteratura e Grande Guerra

Il diario di guerra di Benito Mussolini

di Angelo Abis
Sopra: Mussolini convalescente per le ferite riportate il 23 febbraio 1917, ricoverato presso l'Ospedale di Doberdò in Friuli
Sotto: copertina del volume "Il mio diario di guerra" in una edizione del periodo fascista
Parlare oggi di Mussolini come letterato e uomo di cultura potrebbe facilmente indurre se non proprio al sarcasmo, quantomeno all'ironia.
Eppure il curriculum letterario del capo del fascismo è costellato, sin dalla sua giovinezza, di importanti opere quali "Il Trentino visto da un socialista", "Giovanni Huss il veridico", "Il mio diario di guerra", pubblicato a puntate a partire dal 1915 su "Il Popolo d'Italia", e persino di un romanzo: "Claudia Particella, l'amante del cardinale", di cui Mussolini parlava malissimo, ma che pure nel 1910, al momento della sua pubblicazione a puntate sul quotidiano di Trento, " Il Popolo", ebbe uno strepitoso successo.
La critica post-fascista su queste opere è in gran parte negativa. Però su "Il mio diario di guerra" c'è il giudizio positivo di un personaggio al di sopra di ogni sospetto: «È molto interessante da studiare il diario di guerra di Benito Mussolini per trovarvi le tracce dell'ordine dei pensieri politici, veramente nazionali-popolari che avevano formato, anni prima, la sostanza ideale del movimento che ebbe come manifestazione culminante il processo per l'eccidio di Roccagorga e gli avvenimenti del giugno 1914».
Queste note sono state espresse da Antonio Gramsci nei quaderni dal carcere (Q. n. 6), dove, tra l'altro, per la stessa materia vengono stroncati scrittori del calibro di Curzio Malaparte e Ardengo Soffici. Sintomatico è poi il riferimento del pensatore sardo all'eccidio di Roccagorga, un borgo del basso Lazio ove una manifestazione di circa 400 contadini, scesi in piazza il 6 gennaio del 1913 per protestare contro le malversazioni del sindaco e dell'ufficiale sanitario, fu duramente repressa dalle forze dell'ordine e si concluse con 7 morti, fra cui un bambino di 5 anni, e 23 feriti. I contadini facevano capo alla società agricola apolitica "Savoia" ed erano scesi in piazza col tricolore.
Mussolini, allora direttore del quotidiano socialista "L'Avanti", bollò con parole di fuoco l'atteggiamento delle autorità. Per questo motivo l'anno successivo venne processato. Mussolini allo scoppio della guerra venne richiamato e inviato al fronte nell'agosto del 1915 come soldato semplice nel corpo dei bersaglieri. Venne congedato nell'aprile del 1917 in seguito alle ferite riportate a seguito dell'esplosione di un lancia-bombe, col grado di sergente. Gli fu anche riconosciuta la pensione in qualità di invalido di guerra.
Il suo diario, che fu uno dei primi sulla grande guerra, pur conservando un quadro d'insieme interventista e ostile agli imperi austro-ungarico e germanico, rifugge dai toni bellicisti e fortemente nazionalisti per focalizzarsi, appunto, sul carattere nazional-popolare della guerra, attento più alle condizioni morali e materiali dei soldati che ai grandi disegni strategici e politici.
Ecco un resoconto del 25 ottobre 1915: «Tutte le mattine, al momento della distribuzione del caffè, sorgono discussioni e battibecchi... Strano! Sono uomini che potrebbero morire da un momento all'altro e si bisticciano per un sorso di caffè. Ma il fatto si spiega, quando le razioni non sono uguali per tutti, si grida: "Camorra! Non fare camorra!". Purtroppo la camorra... c'è. Al soldato che sta nelle prime linee [...] non giunge che la minima parte di ciò che gli spetta, giusta il regolamento di guerra. Caffè, cioccolata, vino, grappa passano per troppe mani [...]. La "camorra" sembra essere un fatto normale, ma irrita grandemente i soldati [...]. C'è il caso di sentirli dire: "Governo ladro!"«. E ancora, il 2 novembre del 1915: «Amano la guerra, questi uomini? No. La detestano? Nemmeno. L'accettano come un dovere che non si discute».
Non mancano neppure i ritratti dei soldati sardi, rispettivamente il 19 settembre e il 24 ottobre del 1916: «Tenente Cauda, dei carabinieri, venuto a combattere volontario. È un Sardo. Coraggio e sangue freddo eccezionali. Parla lento, all'inglese», «Sono chiamato alla tenda del tenente Giuseppe Pianu, comandante interinale della ottantaduesima compagnia alpini [...]. Il Pianu è un Sardo e non gli mancano le qualità fisiche e morali dei Sardi».
Singolare è poi la descrizione che si fa del nemico in data 8 dicembre 1916: «Ma, fra noi e i Tedeschi è convenuto una specie di tacito accordo, per cui non ci spariamo. Noi li vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili, essi ci vedono [..] ed essi non tirano«.
E ancora, in data 27 dicembre 1916: «Ci sono là, a poche decine di metri, due soldati austriaci che conversano tranquillamente in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non meno tranquillamente, la sua toilette mattinale, si leva la giubba, il corpetto, la camicia, si spidocchia».
In data 5 novembre 1915 vi sono poi delle valutazioni fatte a seguito dei racconti di suoi commilitoni emigranti, rientrati in Italia per partecipare alla guerra, che ci fanno comprendere le basi della politica estera del futuro duce: «I milioni e milioni di Italiani, in particolar modo meridionali, che negli ultimi venti anni hanno battuto le strade del mondo, sanno, per dolorosa esperienza, che cosa vuol dire appartenere a una nazione politicamente e militarmente svalutata».
Il 3 maggio 1916 riporta nel diario alcune considerazioni politiche di Giuseppe Mazzini, che egli sottoscrive incondizionatamente: «Le grandi cose non si compiono coi protocolli, bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto della potenza è nella volontà».
E più oltre nello scritto mazziniano intitolato "D'alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia": «Mancano i capi, mancano i pochi a dirigere i molti, mancano gli uomini forti di fede e di sacrificio, che afferrassero intero il concetto fremente delle moltitudini; che ne intendessero a un tratto le conseguenze; che, bollenti di tutte le generose passioni, le concentrassero in una sola, "quella della vittoria"; [...] che scrivessero sulla loro bandiera "riuscire o morire", e mantenessero la promessa».
Non c'è, in questi brani, la divinazione degli eventi odierni? Quale meraviglioso viatico per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini!
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