EXCALIBUR 90 - febbraio 2016
in questo numero

Di che morte dobbiamo morire?

Province, città metropolitane e altro: marasma continuo senza via d'uscita

di Lorenzo Argiolas
Di che morte dobbiamo morire? È questa la domanda che molti cittadini, amministratori e non, di tutti i territori della Sardegna si pongono davanti a questa riforma degli enti locali che ha assunto più i toni di una battaglia campanilista che di una vera e propria riforma utile alla nostra terra.
Tutto nasce da quel referendum, svoltosi nel 2012, che sanciva l'abolizione delle nuove province (Olbia-Tempio, Ogliastra, Sulcis e Medio Campidano) e metteva in discussione le quattro storiche della nostra isola.
L'esigenza di avere un ordinamento amministrativo che fosse anche un punto di riferimento per il cittadino si è fatta più pressante nel momento in cui le nuove province, commissariate, hanno portato avanti solo l'ordinaria amministrazione.
A livello nazionale la struttura della provincia va pian piano depotenziandosi nell'ottica di una tanto annunciata semplificazione amministrativa che pare esserci solo sulla carta. Sì, perché sulla riforma degli enti locali nessuno pare avere le idee chiare su quel che sarà, né i cittadini né tantomeno i nostri rappresentanti istituzionali.
Non sembra ci sia una visione limpida su chi dovrà avere le competenze nei diversi settori: la manutenzione delle strade, l'agricoltura, gli edifici scolastici, la promozione del territorio, ecc.. E allora tutti a litigare su dei riconoscimenti come quello di città metropolitana, se Cagliari, Sassari o entrambe.
Ma perché se la città metropolitana di Torino conta 316 comuni e due milioni di abitanti e l'intera Sardegna conta poco più di un milione e mezzo di abitanti sparsi in 377 comuni dovremmo avere addirittura due città o reti metropolitane? Non potrebbe considerarsi l'intera regione, pur se con le dovute forzature del caso, un'area metropolitana?
Ci sono poi le Unioni dei Comuni o le associazioni delle Unioni dei Comuni, le quali ancora non abbiamo capito bene che ruolo debbano avere. Quali sono effettivamente i benefici che hanno le singole comunità da questo "accentramento" di poteri e servizi che talvolta va a delegittimare i tanto bistrattati Consigli Comunali, che dovrebbero essere i rappresentanti delle cittadinanze.
Un marasma dal quale non se ne esce più, che rende ancor più complessa la matassa di un ordinamento amministrativo incomprensibile.
D'altronde siamo per eccellenza il Paese della burocrazia e se anche qui in Sardegna non ci allineiamo al resto d'Italia, facendo anche peggio, non siamo contenti. E allora alla domanda iniziale si può solo rispondere con un'altra domanda: Ma non è che si stava meglio quando si stava peggio?
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