EXCALIBUR 90 - febbraio 2016
in questo numero

Presente ad Acca Larentia 2016

Il racconto dei Sardi che hanno partecipato

di Vittorio Susinno
La lapide in ricordo dei tre morti assassinati nel 1978
Ore 18:00: appuntamento in Via Napoleone III sotto la scritta di marmo. Arriviamo qualche minuto prima e vediamo affluire i camerati a decine. In mezz'ora la strada è occupata da diverse centinaia di persone.
Il clima è disteso; incontriamo ragazzi di tutte le città d'Italia e non mancano Svizzeri, Spagnoli, Francesi, Greci. Conosciamo anche Newton, viene dal Brasile e ci racconta, in un Italiano quasi perfetto («imparato da autodidatta»), di come abbia varcato l'oceano per conoscere il fenomeno Casa Pound; è stupito del fatto che in questa strada di Roma tutti ci conosciamo e ci scambiamo notizie dalle varie regioni da cui proveniamo. I nostri capi sono davanti al portone.
Ora si muovono alla testa del gruppo che nel frattempo si è spostato sul marciapiede di fronte al palazzo per consentire il passaggio di auto e tram. Si parte. È già in rete la foto che dall'alto di un palazzo ci ritrae inquadrati quando iniziamo a muoverci verso la metro.
Al passaggio delle oltre 500 persone, la gente ci guarda meravigliata dalle macchine, dagli autobus. Alcuni ci riconoscono e ci lanciano uno sguardo di approvazione, altri lo abbassano.
Saliamo sulla metro. Metà del gruppo deve aspettare il prossimo treno, tanti siamo. «Scendiamo a Colli Albani» è il passaparola che dai capi raggiunge i ragazzi dell'ultimo vagone. Usciti dalla metro torniamo a formare un serpentone in attesa degli altri. Si chiacchiera ancora, ma il tono e la frequenza delle voci sono più bassi man mano che ci avviciniamo al luogo che stiamo per raggiungere. Procediamo in Via Numitore. Ci fermiamo. «File da sei!»
Ci allineiamo con i camerati accanto. Di colpo nessuno scambia più una parola. Tutti assumiamo un atteggiamento marziale, militare. Sentiamo di dover rivolgere il nostro pensiero, la nostra attenzione a ciò che ci sta intorno. Ognuno di noi percepisce la gravitas che dal 1978 si è impadronita di queste strade, di questo quartiere.
Il silenzio viene interrotto solo dai passi che scandiscono il nostro incedere verso un luogo sacro. Gli abitanti del posto, tutt'intorno, sgranano gli occhi al passaggio dell'imponente corteo afono. Dai balconi, dai negozi, dalla strada tutti gli occhi ci scrutano e le iniziali espressioni di meraviglia si tramutano in un atteggiamento di rispetto, di partecipazione non appena viene colto il nesso tra la nostra presenza e la notte di 38 anni fa. In via Evandro il silenzio contagia chiunque attorno a noi e diventa ancor più eloquente.
«Via i cappelli, spegnete i cellulari» è il nuovo passaparola appena bisbigliato giunti a un incrocio. Le file si stringono.
Dietro l'angolo la piazza sulla quale furono assassinati Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchion: i camerati non ancora ventenni colpevoli di aver creduto in un Ideale, quello Fascista, che costò la vita a migliaia di Italiani prima del '45 e centinaia ancora dal dopoguerra a oggi.
Fila dopo fila, entriamo nella piazza. Il marmo bianco di cui è rivestita, assieme al palazzo che la sovrasta, riflette la luce fioca che, sola, dalla vecchia sezione dell'Msi, illumina i nostri volti. I colori, spenti, entrano in contrasto come il bianco e il nero della grande bandiera che svetta sopra le nostre teste allineate, esaltando la geometria delle nostre schiere e della croce celtica disegnata sul drappo.
Lenti passano i minuti di profondo silenzio nella contemplazione dei nostri caduti. Una voce divampa ferma come un tuono: «Camerati, attenti!». Tutti assumiamo la posizione e il fragore del gesto simultaneo scuote la quiete densa di tensione.
«Per tutti i camerati caduti», «Presente!», «Per tutti i camerati caduti», «Presente!», «Per tutti i camerati caduti», «Presente!».
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