EXCALIBUR 91 - aprile 2016
in questo numero

La formazione dell'uomo nello Stato

Nella concezione dottrinaria di Sua Eccellenza il Primo Cavaliere

di Silvio De Murtas
Sopra: l'autorità dello Stato, il suo diritto a usare anche la forza per far rispettare le leggi, ha il suo fondamento nell'ordine morale
Sotto: la plebe si lascia facilmente trascinare dai discorsi dei falsi tribuni, che promettono felicità inattuabili
Per intendere come debba esser concepita la formazione dell'uomo, occorre rendersi conto della maniera d'intendere il fine della vita e i rapporti dell'Individuo con lo Stato. E prima di tutto è bene mettere in rilievo quello che è il carattere essenziale della concezione dell'attività spirituale.
Vi sono varie funzioni e forme dell'attività dello spirito, che tuttavia non è possibile dividere fra loro. Lo "spirito" è tutto presente in ogni momento, e occorre insistere su questa unità ponendo al di sopra di tutto il fine morale.
Tutte le altre funzioni sono soggette al giudizio della coscienza morale. Infatti, la conoscenza, l'arte, la politica, l'economia si accompagnano tutte con azioni pratiche e quindi cadono sotto il dominio della valutazione morale.
Ad esempio, un giudizio estetico certamente si fonda su criteri diversi dalla valutazione etica: un'opera che si proponga fini altamente morali può essere, nella forma in cui si esprime, la negazione dell'arte. Ma questa indipendenza dei due ordini di giudizi (estetici e morali) non dispensa l'artista dal render conto dell'opera sua, oltre che in rapporto alle norme della bellezza (ossia la "unitas", la "integritas", la "proportio"), anche davanti al tribunale della comune coscienza etica. Un romanzo pubblicato, un quadro esposto, sono azioni che si ripercuotono sulle altre anime, e come tali possono essere disapprovate, se incitano al pervertimento dei costumi. E lo Stato - in quanto organo di vita morale - ha il diritto di sancirne la proibizione.
Lo stesso si dica dell'attività economica. Uno speculatore non può trincerarsi dietro il principio generale che l'economia è regolata da proprie leggi, onde far incetta di beni e affamare il popolo. Le azioni del primo cadono anche sotto il dominio della valutazione morale e della sanzione giuridica e sono e debbono esser condannate. Neppure la scienza e la filosofia, pure attività teoriche, secondo un'insufficiente concezione di esse, hanno il privilegio di sottrarsi a ogni giudizio etico. Lo scienziato e il filosofo agiscono sugli altri uomini con le loro scoperte e coi loro libri; possono far molto bene, ma anche molto male. Si ha quindi il diritto di giudicarli anche sotto questo punto di vista. Fra due teorie scientifiche, una delle quali elegante e profonda ma che non abbia alcuna possibilità di applicazione pratica, e un'altra - magari più rozza - che salvi invece migliaia di vite, occorre esaltare quest'ultima; e, con tutto l'amore per la scienza, è senz'altro un degenerato colui che se ne stia freddamente a contemplare, studiare e calcolare, mentre non assiste nemmeno la propria famiglia bisognosa; come è un pessimo cittadino colui che studi al chiuso della sua biblioteca mentre la Patria è in pericolo e ha bisogno del suo braccio e del suo ingegno.
Da qui il fondamento etico dell'autorità dello Stato, che imponga questo primato della coscienza morale. Da qui il primo germe del diritto e di quella che sarà poi la sanzione anche giuridica. Persino nelle civiltà più evolute non tutti sono allo stesso livello di sviluppo etico, e nessuno può sostenere di esser sempre capace di dominare - con la sola energia della propria volontà - gl'impulsi inferiori. Tutti hanno bisogno di un freno esteriore che rinsaldi l'impero della volontà, sia esso il disprezzo sociale, la mancanza di stima, la condanna dell'opinione pubblica, il disonore; sia addirittura la minaccia di una pena sancita dal codice. L'autorità dello Stato, il suo diritto a usare anche la forza per far rispettare le leggi, ha il suo fondamento nell'ordine morale.
È questa volontà superiore ai voleri degl'individui, delle classi, della varie regioni che costituisce lo Stato, in quanto esso ha fini diversi da quelli di ciascun gruppo particolare: la Nazione è soprattutto "spirito" e non soltanto "territorio". Vi sono Stati che hanno avuto territori anche immensi e non hanno lasciato che poche o nulle tracce nella storia umana. Una Nazione è grande quando traduce nella realtà la forza del suo "spirito".
Lo Stato, così inteso, non elimina affatto la libertà dell'individuo; esso invece, regolando i rapporti fra le varie attività, impedisce le ingiuste violenze. La forza di cui si serve lo Stato deve esser messa al servizio del diritto e della morale.
Non sono perciò giustificati gli arbitrii del dispotismo, che della violenza si serve pel trionfo di privilegi e di abusi, come nelle forme assolutistiche di governo. Non è giustificato neppure l'Anarchismo, i cui seguaci - alla fine contraddicendosi - riconoscono prima o poi la necessità dello Stato, specie laddove propugnano una "società di eguali" ovvero una "unione o federazione spontanea", che sono in fondo forme diverse di Stati, che dovranno esser comunque regolate da norme obbligatorie per tutti, altrimenti le singole libertà - urtando disordinatamente le une contro le altre - finiscono con l'annullarsi a vicenda.
Ma è insufficiente persino il cosiddetto Liberalismo, che si fonda sopra un falso postulato, ossia sull'assurdità dell'individuo posto come fine o scopo della vita. La Società non è affatto la semplice somma di individui, ma è un insieme organico che - per la sua vita, per la sua coscienza, per i suoi ideali - trascende l'individuo. Il liberalismo, inoltre, pretenderebbe di ridurre il concetto sociale a quello di "felicità economica", ossia il "benessere": tale equazione convertirebbe gli uomini in animali ben pasciuti, ridotti infine a una pura e semplice vita vegetativa.
È insufficiente e addirittura perniciosa - per una Nazione - persino la concezione del cosiddetto Socialismo scientifico o marxiano: si pretese che esso avesse un fondamento nello sviluppo reale delle società umane in dipendenza dalle forme di produzione. Materialismo storico sarebbe appunto la teoria che pretende di spiegare i fatti storici con l'azione delle sole forze economiche, le quali agirebbero meccanicamente e la storia sarebbe l'unico prodotto necessario di queste cause. Gl'individui non potrebbero nemmeno mutare il corso degli eventi, essendo i primi solo delle "comparse" della storia. Le vicende dell'economia sono certo importanti, ma esse da sole non bastano a spiegare la storia umana, escludendone tutti gli altri fattori. Neppure le forme di cosiddetta Democrazia moderna si sono rivelate capaci di elevare il popolo: tali regimi in realtà danno - di tanto in tanto - l'illusione che il popolo sia sovrano, mentre la vera sovranità sta in altre e ben più occulte forze, segrete e irresponsabili. La democrazia è un regime senza re, ma con molti tiranni, talora più esclusivi e rovinosi di un solo re.
Il "numero" - per ciò solo - non può dirigere le attività umane, nemmeno attraverso una consultazione periodica; il numero dei voti non è affatto una sicura garanzia della scelta dei migliori pel governo; non tutti sono egualmente capaci di comprendere quali siano i veri interessi di una Nazione. Non tutti gli uomini hanno lo stesso grado di coscienza morale. Del resto, che nei governi cosiddetti Democratici si esprima la volontà del popolo è un'illusione: quelli che realmente governano sono pochi facinorosi che fanno servire il popolo alle loro ambizioni. La plebe si lascia facilmente trascinare dai discorsi dei falsi tribuni, che promettono altrettanto falsamente felicità inattuabili e che una volta raggiunto il potere divengono più tiranni di altri.
L'unica concezione eticamente e politicamente valida è quindi quella delineata nella teoria generale propugnata e attuata da Sua Eccellenza "il Primo Cavaliere", ancora prima del suo raggiungimento del potere, che avvenne (come tutti sanno, tranne coloro che lo dovrebbero sapere...) in forma pienamente democratica e costituzionale.
E si trattò di un "caso unico" nel corso della Storia, sol che si consideri che - all'epoca - "tutto, compreso il Partito, era posto al servizio dello Stato (etico)", la qual cosa mai avvenne - né prima né dopo - in nessun'altra concezione, laddove invece "tutto, compreso lo Stato, fu ed è tuttora al servizio del Partito ovvero dei Partiti di governo".
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