EXCALIBUR 92 - giugno 2016
in questo numero

Storia Militare: l'8 settembre in Sardegna

Quando la storia della Sardegna la scriviamo noi

di Angelo Abis
Sopra: lo studioso Emilio Belli, esperto di storia militare
Sotto: la flotta italiana internata a Malta
Storia militare è senz'altro la più prestigiosa rivista italiana che si occupa di cose militari.
Fondata nel 1993 da Erminio Bagnasco, ex ufficiale di stato maggiore della marina e autore di una ventina di volumi di storia della marina militare, la rivista si avvale della collaborazione di un mix di storici e di militari esperti per i quali il rigore scientifico e la preparazione sono gli elementi essenziali che hanno fatto sì, pur essendo venduta al non modico prezzo di 7 euro a numero, che la rivista, diffusissima, la si trova in tutte le edicole d'Italia.
Nel fascicolo di aprile (n. 271) di quest'anno, sulla copertina appare il titolo di un articolo: "Regio Esercito: l'8 settembre in Sardegna", opera dell'amico nonché collaboratore di Excalibur, Emilio Belli, uno dei maggiori esperti di storia militare della Sardegna.
Nel sommario, il saggio di Emilio Belli viene così presentato: «L'articolo di apertura di questo fascicolo n. 271 di "Storia Militare" è dedicato alle vicende che coinvolsero, nell'ambito dei fatti armistiziali, la Sardegna e le truppe italiane e tedesche dislocate nell'isola. Per la prima volta, riteniamo, viene dato risalto a un corso di eventi poco noto e approfondito, la cui trattazione si concluderà nel prossimo fascicolo di maggio, con la pubblicazione della seconda parte dello studio».
Cosa ha significato l'8 settembre nella storia lo ricorda Emilio Belli come preambolo al suo saggio: «Le vicende legate all'armistizio dell'8 settembre del 1943 sono conosciute, almeno per quanto concerne il trasferimento del sovrano, del governo e dei vertici militari da Roma a Brindisi, l'accentramento della flotta a Malta e la dissoluzione delle forze armate, che portarono come conseguenza all'occupazione del territorio nazionale da parte dei Tedeschi e degli Alleati e alla disgregazione dello Stato».
Sulla valutazione di quella tragica giornata, è pressoché unanime il parere degli storici, i quali, però ignorano o quantomeno sottovalutano il fatto che la cosiddetta "morte della patria", sintesi di tutte le tragedie e i lutti che colpirono l'Italia, in qualche modo non toccò la Sardegna, che fu l'unica parte del territorio nazionale che non fu occupata o, se si preferisce, liberata dagli eserciti alleati, i quali, tra l'altro, si guardarono bene dall'intervenire militarmente nell'isola fintantoché tutte le truppe tedesche non furono trasferite nel continente. Anzi, il primo "atterraggio" degli Alleati sul suolo sardo incappò in una sgradita sorpresa.
La mattina del 22 settembre del 1943 alcune decine di aerei si apprestavano ad atterrare nell'aeroporto di Decimomannu. L'accoglienza non fu certo amichevole, perché il benvenuto fu dato con un intenso fuoco di sbarramento della contraerea che colpì anche un velivolo americano. Si era certamente trattato di un equivoco, infatti il colonnello comandante del campo si scusò con i funzionari inglesi e americani appena arrivati.
E pur tuttavia, l'episodio era la spia di una situazione peculiare solo alla Sardegna. Si può tranquillamente affermare che il termine "armistizio", nel suo significato classico di "cessazione delle ostilità fra eserciti belligeranti", trovò pratica, anche se non totale, applicazione solo nell'isola. Nella quale, peraltro, a parte qualche marginale defezione, rimasero intatte ed efficienti tutte le forze armate, milizia fascista compresa, le uniche rimaste in piedi in tutto il Regno del Sud.
Non si assistette nell'isola al triste e squallido spettacolo del "tutti a casa", al saccheggio delle caserme e dei depositi militari, a qualche pattuglia tedesca che disarmava un intero reggimento di soldati italiani. Questo stato di grazia di cui beneficiò la nostra terra fu opera di due generali, uno tedesco e uno italiano.
Lo racconta da par suo Emilio Belli: «Fra la proclamazione della resa italiana e il 18 settembre (giorno in cui si conclusero le operazioni di sgombero delle forze germaniche) non si verificarono né scontri di rilievo, né esecuzioni sommarie, né disarmo in massa di militari italiani, come invece era avvenuto in molte località della penisola, in Egeo e nei Balcani. Naturalmente le contrapposizioni non mancarono, ma la contrapposizione - anche armata - fra Italiani e Tedeschi si mantenne a livello locale senza trasformarsi, come sarebbe stato possibile, in conflitto generalizzato. Si deve quindi al senso di responsabilità del generale Antonio Basso, che era a capo delle forze armate della Sardegna, e del generale Carl Hans Lungershausen, che comandava la 90 Panzergrenadier Division, se la fase armistiziale si concluse in maniera pressoché incruenta».
Per inciso il generale Basso, in ringraziamento per aver risparmiato alla Sardegna lutti e distruzioni e per aver tenuto alto l'onore delle nostre forze armate tra il disonore generale, fu fatto arrestare nell'ottobre del 1944 da suoi superiori felloni, che l'8 settembre si erano dati alla fuga e si erano nascosti abbandonando i propri reparti, con l'accusa di non aver ottemperato all'ordine di attaccare i Tedeschi in ritirata.
Perché il generale Basso non ritenne opportuno attaccare i Tedeschi lo spiega bene Emilio Belli: «La sera dell'8 settembre, i generali Basso e Lungershausen ebbero modo di valutare le rispettive posizioni; l'armistizio, sostanzialmente, costringeva Italiani e Tedeschi a schierarsi in campi opposti e, stando agli ordini del Comando Supremo, la più potente unità germanica presente in Sardegna andava eliminata; l'eventualità di combattimenti, però, perse di significato quando Basso apprese che il Feldmaresciallo Kesserling aveva disposto il trasferimento della grande unità tedesca sul continente passando per la Corsica. L'esigenza germanica, non essendo riconducibile ai presupposti della Memoria O.P.44 (disposizione del Comando Supremo in previsione di un attacco tedesco, n.d.r.), fu recepita con favore dal comandante italiano, offrendogli l'opportunità di sbarazzarsi rapidamente dell'ormai ingombrante presenza dell'ex alleato. Si giunse quindi a un'intesa sulle modalità di sgombero».
La narrazione di Emilio Belli prosegue poi con la descrizione dei piccoli e grandi episodi di guerra in cui Italiani e Tedeschi, ormai divenuti nemici, furono coinvolti. Fra tutti quello più importante e più tragico per gli Italiani, l'attacco da parte di aerei tedeschi della squadra navale comandata dall'ammiraglio Bergamini al largo dell'arcipelago della Maddalena, che portò all'affondamento della corazzata Roma e alla morte di 1.253 marinai.
Pur tuttavia, seppure con vari contrattempi e con alcuni conflitti a fuoco di scarsa importanza, lo sgombero delle truppe tedesche fu pressoché totale, senza che la popolazione subisse un pur qualche minimo danno da un esercito che pure ci era diventato nemico.
Basandosi su documenti tedeschi Emilio Belli ci dà un quadro esatto di uomini e mezzi trasferiti in pochi giorni, via mare, in Corsica, mentre non dà cifre esatte del pur imponente trasferimento di truppe effettuato con un ponte aereo che collegava l'aeroporto di Venafiorita con il Lazio e la Toscana: «28.500 uomini, 3.850 automezzi, 4.765 tonnellate di rifornimenti vari, 1.130 mitragliatrici, 281 fuciloni anticarro, 49 mortai, 6 cannoni controcarro di medio calibro e 78 di grosso calibro, 12 cannoni per fanteria di piccolo calibro e 12 di grosso calibro, 62 carri armati, 37 cannoni semoventi, 23 veicoli trasporto truppe, 2 obici di piccolo calibro e 8 di grosso calibro, 4 cannoni da 100 mm, 119 cannoni da 88 mm, 147 pezzi di artiglieria da 200 mm e 30 cannoni contraerei quadrinati da 20 mm».
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