EXCALIBUR 100 - ottobre 2017
in questo numero

Catalogna, dove vai?

Anacronistico separatismo o tentativo di liberarsi da una unione livellatrice?

di Angelo Marongiu
Sopra: Mariano Rajoy e Carles Puigdemont: quale Spagna vincerà?
Sotto: una delle tante manifestazioni a Barcellona
Sono passati solo 15 minuti dalle ore 17 ("le cinco de la tarde" della famosa ode di Garcia Lorca) del 10 ottobre scorso, quando dal Palazzo de la Generalitat de Catalunya viene ammainata la bandiera spagnola, tra le grida di esultanza degli indipendentisti catalani.
In cinque mesi si è passati dall'annuncio del referendum alla svolta secessionista, seguendo tappe forzate all'apparenza inimmaginabili. Il 9 giugno il premier catalano Carles Puigdemont annunciava un referendum indipendentista da tenersi all'inizio di ottobre.
Due mesi dopo, il 9 settembre, il Tribunale Supremo di Spagna (l'equivalente della nostra Corte Costituzionale) sospende il voto dichiarandolo illegittimo.
Il 2 ottobre si vota. Non mancano scontri e violenze: Barcellona accusa la Guardia Civil per gli incidenti che causano oltre 500 feriti.
Il giorno successivo il re Felipe esce dal suo silenzio e difende l'unità del paese: «Dalle autorità della Catalogna una slealtà inaccettabile». Il 10 ottobre, infine, Puigdemont al Palamento catalano dichiara l'indipendenza, sospesa per favorire il dialogo.
Mariano Rajoy, capo del governo spagnolo, avvia l'iter per esautorare il governo catalano.
È di sabato 28 ottobre la messa in atto del pugno di ferro voluto da Madrid e da Rajoy, che assume la funzione e i poteri del presidente della Generalitat Catalana, Puigdemont; destituisce dalle loro cariche tutti i consiglieri del governo della Catalogna; scioglie il Parlamento catalano e indice nuove elezioni per il 21 dicembre; rimuove il comandante dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana.
È una situazione intricata che vede da una parte la determinazione catalana, che comunque invita alla calma e alla prudenza, escludendo qualunque protesta violenta, e dall'altra l'altrettanto ferrea determinazione di Madrid che non può certo cedere su una questione di principio così fondamentale per l'intera Spagna, forte oltretutto dell'incondizionato appoggio di tutti i paesi della Comunità Europea.
Ma da dove parte questa pretesa indipendentista della Catalogna?
All'interno della storia della Spagna si verificano delle circostanze particolari che vedono in principio il formarsi di una confederazione aragonese-catalana (il Regno d'Aragona) e il costituirsi, nel XIV secolo, della cosiddetta Generalitat de Catalunya. La Catalogna, florido polo commerciale, soffrì particolarmente dopo la scoperta dell'America e la sua estromissione dai nuovi traffici commerciali per lo spostamento del baricentro mercantile a favore della Castiglia, terra di provenienza della regina Isabella.
Questo fece nascere i primi sentimenti separatisti e anti-castigliani, che culminarono addirittura con l'appoggio alla Francia contro Filippo IV di Spagna. Ma fu la Francia stessa che, da paese per sua natura centralistico, sospese il particolare stato di autonomia della quale godeva la Catalogna. Ciò nonostante i Catalani appoggiarono anche l'arciduca Carlo VI d'Asburgo nella lotta contro Filippo V di Spagna durante la guerra di successione spagnola.
Si deve arrivare al XVIII secolo, al termine di quella guerra, quando Carlo III di Spagna ripristinò gran parte delle prerogative di autonomia e riammise la Catalogna anche al commercio con il Nuovo Mondo.
È comunque tra la fine '800 e inizio '900 che prenderà corpo la nascita del cosiddetto "catalanismo", che propugna l'indipendenza della Catalogna come stato sovrano in virtù della peculiarità della sua storia, della sua lingua e della sua cultura.
L'appoggio dato alla fazione repubblicana all'epoca della dittatura franchista durante la guerra civile spagnola, fa perdere alla Catalogna, ancora una volta, ogni forma di autonomia.
Dopo la morte di Franco, nel 1975, viene adottata in tutta la Spagna una nuova Costituzione democratica approvata con Referendum di ratifica nel dicembre 1978 (per inciso: con una percentuale di adesione dell'87,8% in tutta la Spagna, la Catalogna si distingue con il 90,5% di consensi). Viene previsto un avanzatissimo status di autonomia per tutte le 16 province spagnole e in particolare per la Catalogna.
Ulteriori margini di autonomia furono concessi alla Generalitat de Catalunya nel 2006, soprattutto per quanto riguarda l'autonomia fiscale e nelle aree giudiziarie e amministrative. Si completa così l'ambito autonomistico oltre alle già preesistenti competenze su educazione, sanità, trasporti, assistenza sociale e ambiente.
La Catalogna incassa l'imposta patrimoniale e di successione, la tassa sugli alcolici, il 50% dell'Iva e una quota variabile dell'Irpef. I Catalani indipendentisti sostengono che il loro "deficit fiscale" sia attorno all'8% del Pil regionale, mentre gli unionisti catalani affermano che esso oscilli tra il 2% e il 6%. Da questi conteggi sono ovviamente escluse le spese centrali sostenute per difesa, istruzione e altre spese indivisibili.
Comunque la Catalogna è la terza regione per reddito pro capite e contribuisce al 20% del Pil nazionale, seconda dietro la Comunità di Madrid. Questo è il passato e il presente della Catalogna.
E il futuro?
La domanda sulla scheda referendaria era: "Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?" ed è stata rivolta ai 5,5 milioni di Catalani.
Il Tribunale Supremo di Spagna aveva sospeso il referendum per dubbi di costituzionalità, sostenendo inoltre che il diritto internazionale prevede il ricorso all'autodeterminazione solo in caso di dominio coloniale o occupazione straniera.
La partecipazione al Referendum si è svolta in un clima caotico, con la Guardia Civil che ha arrestato alcuni responsabili dell'organizzazione, sequestrato schede elettorali, chiuso seggi, vietato l'accesso ad alcuni luoghi pubblici.
Sono state conteggiate alla fine oltre 2,2 milioni di schede, pari al 42,2% degli aventi diritto, con una ovvia schiacciante maggioranza a favore dell'indipendenza. Gli unionisti sostengono che i non partecipanti al voto erano i contrari all'indipendenza.
L'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione prevede il commissariamento della comunità catalana "ribelle" ed è ciò che il governo di Madrid ha applicato, con lo scioglimento del Parlamento e l'indizione di nuove elezioni.
Ma sono i passi successivi quelli più determinanti per il futuro della Spagna.
Sulla base del diritto Rajoy può chiedere l'arresto di Puigdemont e dell'intera Assemblea catalana, che rischiano di vedersi comminare, in caso di condanna, 15 anni di detenzione. Ma ciò significherebbe troncare ogni dialogo o forma di mediazione, mentre la strada da percorrere non è quella dell'assoluta intransigenza ma della riconciliazione. Qualsiasi scontro farebbe il gioco degli oltranzisti, felici di radicalizzare il problema, ben consapevoli che il 42% dei consensi li pone comunque in una posizione minoritaria. Lo scontro servirebbe solo ad acquisire altri consensi e Madrid ben lo sa. Ci sono poi i 15.000 agenti dei "Mossos d'Esquadra", che non si sa quanto siano pronti a sfidare eventualmente la Guardia Civil se questa dovesse essere inviata a presidiare le sedi istituzionali catalane.
È uno scenario confuso nel quale Mariano Rajoy è chiamato a muoversi con cautela e fermezza, senza mostrare cedimenti ma pronto al dialogo. Il suo è un governo di minoranza che si regge sull'astensione dei socialisti e un errore nella strategia adottata potrebbe indurre questi ultimi a portare i loro 68 voti all'opposizione, con conseguenze catastrofiche.
Infine l'Europa: già martoriata da par suo, dilaniata da divisioni, spinte al decentramento e assoluta mancanza di credibilità, piena solo di vuoti proclami screditati, come reagirebbe di fronte a una repressione troppo dura, a scontri di piazza o addirittura a spargimento di sangue?
Finora è stata ai margini del problema, manifestando una solidarietà obbligata nei confronti di Madrid, mettendo in evidenza le conseguenze economiche di una separazione della Catalogna dalla Spagna e quindi dall'Europa. Questo atteggiamento fa ben capire quali sono gli ideali alla base della Comunità: l'economia innanzitutto, il resto - identità, autonomia, cultura - sono solo orpelli.
Ma non chiediamo a questa Comunità Europea manifestazioni chiare e ferme: non ne ha la capacità.
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VICO SAN LUCIFERO