EXCALIBUR 105 - dicembre 2018
in questo numero

Paolo Savona, il ministro che avvelena i pozzi

Chi c'è dietro la manovra espansiva del governo Di Maio - Salvini

di Angelo Abis
L'economista Paolo Savona
Il titolo non è una boutade, bensì una delle frasi, e neanche delle più cattive, pubblicate dal quotidiano "Repubblica" contro Paolo Savona.
Al momento della costituzione, nel maggio scorso, del governo Salvini - Di Maio, destò stupore il nutrito fuoco di sbarramento che accompagnò la designazione a ministro delle finanze di Paolo Savona. Sbarramento apparentemente andato a buon fine visto che alle finanze andò Giovanni Tria, a torto ritenuto uomo di Mattarella, ma in realtà indicato da Savona a cui è molto legato.
Chi pensava di isolare Savona relegandolo al ruolo di ministro per gli affari europei ha commesso un doppio errore. Il primo è che il Ministero delle finanze per certi versi limita l'attività del ministro inchiodandolo a una routine burocratica che lo rende prigioniero dell'apparato amministrativo. Il secondo è che il Ministero degli affari europei in pratica esiste solo sulla carta, ma questo permette al ministro di muoversi liberamente senza condizionamenti di sorta e per giunta in un ambito molto vasto che comprende tutti gli stati e le istituzioni della comunità europea. Un altro grave errore commesso dai nemici del ministro è di aver sottovalutato la formidabile corazza che lo protegge: Savona è Sardo e non tanto perché è nato nell'Isola, ma in quanto sprizza "sardità" da tutti i pori: un linguaggio scarno e concreto, un presentarsi come uomo semplice che si pone sempre sullo stesso piano del suo interlocutore, a prescindere dal suo stato sociale e del suo rango intellettuale o politico: è sprezzante solo chi insinua dubbi sulla sua onestà intellettuale e morale. Te lo dice Savona!
E questo deve bastare. Perché per il sardo onore, rettitudine, coraggio sono garantiti solo dal proprio nome! Ma se questa è, diciamo così, la "sardità" innata, altrettanto presente è una "sardità" esibita con orgoglio come dato di deterrenza nei confronti di certi suoi avversari. Detto questo, riesce difficile capire come mai lobby, poteri più o meno occulti e addirittura stati si siano mobilitati contro un uomo che di potere ha solo quello che gli deriva dalla sua intelligenza e dal suo sapere.
Per capire bisogna andare un po' indietro nel tempo. Sin dal 1992 Savona ha espresso forti riserve sul trattato di Maastricht, visto nel suo complesso come una serie di imposizioni che non hanno nulla di razionale e di scientifico tese a subordinare la politica economica nazionale agli interessi della Germania, vista da Savona come l'eterno amico-nemico: «La Germania non ha cambiato la visione del suo ruolo in Europa dopo la fine del nazismo, pur avendo abbandonato l'idea di imporla militarmente. Per tre volte l'Italia ha subito il fascino della cultura tedesca che ha condizionato la sua storia, non solo economica: con la Triplice Alleanza del 1882, col Patto d'acciaio del 1939 e con l'Unione europea del 1992. È pur vero che ogni volta fu una nostra scelta. Possibile che non impariamo mai dagli errori?».
Non parliamo poi del famoso piano B, interpretato da tutti come il desiderio di abbandonare l'euro. Fintanto che queste idee erano ritenute patrimonio di un vecchio, anche se prestigioso economista, nulla quaestio, ma appena questa concezione economica e il suo ideatore divennero l'arma decisiva con cui il duo Di Maio - Salvini intendevano contrastare la politica europea furono dolori.
I primi a insorgere furono i Tedeschi. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung scrisse: «L'Italia vuole un nemico della Germania al governo». Seguono a ruota gli Italiani. Il 22 agosto "Repubblica" scrive un pezzo intitolato "Vieni avanti Cremlino": «Paolo Savona, attualmente ministro contro le politiche europee, ha finalmente disvelato la raffinata strategia cui l'Italia si voterà una volta usciti dalla moneta unica: farci invadere dalla Russia». Il 7 ottobre Eugenio Scalfari lo insulta: «Il peggio del peggio, vuole fare saltare in aria l'Italia».
La risposta di Savona non si fa attendere, ed è tutta sarda. Il 9 ottobre, parlando alla stampa estera, all'accusa di essere "un inquinatore di pozzi" replica: «Ho la pelle dura, da buon Sardo abituato negli ovili». Sottintendendo che la "filosofia" dell'ovile non contempla la paura, né tanto meno il porgere l'altra guancia, non contempla la resa ma la lotta sino all'ultimo sangue.
Lo spessore dell'uomo emerge chiaramente dal dialogo tra lui e un giornalista. Savona: «Ulisse per me è il mito più utile che si possa immaginare in un momento complesso come questo», giornalista: «Perché?», Savona: «In primo luogo perché è l'eroe dell'intelligenza: poi perché resiste al canto delle sirene, e come lei sa, mai come in queste ore il loro coro è stato così intenso e ingannevole [...]. Perché il viaggio di Ulisse è il viaggio del coraggio e della conoscenza», giornalista: «Sta parlando del "folle volo" immaginato da Dante nell'inferno?», Savona: «A me che sono Sardo piace pensare che quest'ultima meta di Ulisse, le colonne d'Ercole, non sia Gibilterra, ma le bocche di Bonifacio, a nord dell'isola», giornalista: «Un teatro di mare, come sanno i naviganti, burrascoso e impervio?», Savona: «Non auguro a nessun velista di ritrovarsi da quelle parti sotto una maestralata. Ma proprio per questo io, conoscendo bene quei luoghi, posso dire di essere pronto a tutto».
Il finale va svolgendosi sotto i nostri occhi: Savona, diventato il vero artefice della politica economica del governo, si muove come un carro armato, tetragono a tutti gli allarmismi, ironico verso le cassandre nostrane che si strappano le vesti per qualche decimale di deficit in più. Snobba le autorità europee tacciate di incompetenza e miopia, dimostra conti alla mano che la manovra finanziaria, seria e accorta proprio perché fatta in deficit, non solo promuoverà crescita in termini di investimenti e di occupazione, ma soprattutto darà maggior benessere a milioni di cittadini distrutti da un decennio di politiche fatte di tagli alla spesa pubblica, di tassazioni eccessive, di fallimenti bancari.
Fulminanti le sue risposte a chi contesta il fatto che il governo, a fronte di una carenza di investimenti pubblici e privati, privilegi spese considerate non produttive, per favorire il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni.
Savona ribatte che nella pubblica amministrazione giacciono decine di miliardi di euro, stanziati nel corso degli anni, che non vengono spesi perché mancano i progetti attuativi, perché mille impedimenti di natura burocratica, vedi patto di stabilità, il codice degli appalti, i tanti contenziosi che sorgono in corso di attuazione delle opere pubbliche, agiscono da freno.
Stesso discorso vale per gli investimenti privati: le imprese sono pronte a immettere subito sul mercato molti miliardi di euro solo se venissero a cessare i veti che molti enti locali, sobillati da un certo ambientalismo terrorista, pongono all'insediamento di molti tipi di industria segnatamente quelli più legati alla ricerca e allo sfruttamento delle fonti energetiche.
L'assillo del governo è, secondo Savona, non tanto quello di reperire nuovi capitali, quanto quello di eliminare, in tempi brevissimi, lacci e laccioli che impediscono ai capitali esistenti di poter essere impiegati al meglio.
Siamo in buone mani e, come ha detto parlando alla commissioni della camera e del senato: «Il meridione è arretrato economicamente rispetto al nord, ma non certo culturalmente, visto che io provengo da una regione del sud».
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