EXCALIBUR 105 - dicembre 2018
in questo numero

"La strana morte dell'Europa" di Douglas Murray

Un altro inascoltato volume sulla nostra inarrestabile agonia

di Angelo Marongiu
Sopra: le copertine del libro nelle edizioni in lingua italiana e inglese (nell'edizione italiana il sottotitole "Immigrazione, identità, islam" è opportunamente scomparso)
Sotto: Anselm Kiefer - "Time out"
"Ubriacone", "Venditore di tappeti": è questo l'attuale livello di discussione tra i politici italiani e gli esponenti delle istituzioni europee.
Ogni giorno l'apertura dei giornali o dei notiziari televisivi e radiofonici, è focalizzata sullo spread, sui livelli di deficit e del debito pubblico; si parla in continuazione dei trattati e degli accordi di Maastricht, di Schengen e di Dublino. Sembra che l'Europa sia solo questo: un immenso e pervasivo portafoglio del quale controllare - novelli Scrooge - le entrate e le uscite.
E l'altra Europa? Quella delle cattedrali e delle cantate di Bach, quella dei diritti dell'uomo e della libertà?
Sta morendo, lentamente e stranamente.
Lo espone con chiarezza l'ultimo libro di Douglas Murray. Che racconta la lenta agonia del nostro continente e della sua civiltà: "La strana morte dell'Europa" è un libro che affronta con coraggio e lucidità, senza timore di essere accusato di xenofobia e tacciato di ricalcare modelli reazionari, il lento e strano declino del nostro Continente.
Anch'egli sostiene che le civiltà possono essere paragonate a un organismo vivente: come gli uomini vivono i loro momenti di splendore e poi invecchiano e muoiono.
È appunto il tramonto dell'Occidente, profetizzato da Oswald Spengler e in tempi più recenti da Oriana Fallaci, Ayaan Hirsi Ali o da Michael Houellebecq. Combattuta e denunciata la prima, ignorata la seconda, ghettizzato il terzo; come i politici Theo Van Gogh o Pym Fortuyn - che addirittura hanno pagato con la vita l'espressione delle loro idee - hanno avuto il coraggio di denunciare, inascoltati, l'inarrestabile crisi e la perdita della nostra identità.
"La strana morte dell'Europa" è la narrazione - quasi in modo di cronaca - del nostro continente e della nostra cultura, osservati nel momento del decadimento e della loro agonia, quasi la cronaca di un suicidio.
Murray è un opinionista britannico (dopo l'uscita del libro è stato subito etichettato dalla sinistra come un neo-con) che appunto elenca, con un po' di malcelato sadismo e molta ostentazione, le più orripilanti notizie relative agli attentati, violenze e stupri dei quali il nostro continente è stato vittima in questi anni.
Il sottotitolo dell'edizione inglese riporta le parole "Identità, immigrazione, islam" (stranamente scomparsi nell'edizione italiana) che sono la lenta cadenza del nostro declino: la perdita della nostra identità dovuta a una immigrazione incontrollata soprattutto di matrice islamica. Sono tre parole scomode che hanno fatto etichettare il volume quale opera reazionaria, ancora una volta da una sinistra non più in grado di controllare l'immane mostro che - con la tesi dell'accoglienza indiscriminata di tutti i migranti - ha scatenato nel nostro continente. Sono gli aspetti fondamentali della nostra crisi dinanzi ai quali la sinistra e il mondo cattolico continuano a chiudere gli occhi e che lasciano libero campo alla reazione dell'altra parte, accusata immediatamente di essere razzista.
Il radicale cambiamento nella composizione etnica, culturale e religiosa a causa dell'immigrazione senza controlli ha decretato il naufragio del multiculturalismo, accettato anche dalla cancelliera Angela Merkel e financo dal nostro illuminato quotidiano "La Repubblica". E infine l'illusione - anch'essa naufragata - che l'elevato livello di benessere del quale gode l'Europa avrebbe in qualche modo favorito l'integrazione, quasi che la dottrina del "libero mercato" avrebbe potuto sostituire quella del Corano.
Il nostro è un continente stanco e ormai non ha più la forza di difendere la propria libertà.
La crisi della nostra identità nasce da lontano, dalle due guerre del XX secolo che hanno portato come conseguenza la condanna di ogni forma di nazionalismo e di patriottismo. La soluzione è stata individuata in una unione di stati che - osservata con occhi disincantati - invece di amalgamare identità diverse in "valori" ideali comuni, ha posto l'euro come bandiera dell'unità e nel contempo ha annullato ogni forma di differenza tra i singoli stati.
Il XX secolo ha anche visto un crollo dei valori religiosi e liberali, considerati discriminanti nei confronti di un multiculturalismo assurto a dogma indiscutibile. Nasce da qui la nostra fatiscenza culturale d il nichilismo dell'Europa.
L'apertura indiscriminata delle frontiere e l'accoglimento senza condizioni di masse che ci disprezzano ha posto in evidenza la debolezza del nostro nulla contrapposta alla forza della loro fede.
Non è cero difficile immaginare come terminerà questa partita. E Murray non lo nasconde.
Ma sottolinea che la responsabilità è esclusivamente la nostra. Abbiamo adottato nei confronti dell'immigrazione politiche scellerate, senza distinguere tra chi arriva per motivi esclusivamente economici e tra chi fugge dalle guerre e che hanno - solo loro - il diritto all'accoglienza. Boldrini e Saviano e papa Francesco sono, in Italia, i portavoce acclamati di questa politica scellerata frutto di un buonismo melenso e stucchevole che ci ha portato alla rovina.
Sono scelte che nascono dal disprezzo della nostra cultura e chi si oppone è immediatamente emarginato, tacciato di razzismo e additato al disprezzo di tutti.
Quando nel 1989 fu lanciata una fatwa contro Salman Rushdie e lo scrittore fu condannato a morte per la "blasfemia" del suo romanzo "I versi satanici", ben pochi intravidero quali implicazioni l'accettazione di questo fatto comportasse. Giornalisti e scrittori, non solo Italiani ma di tutto il mondo, accettando questa imposizione firmarono di fatto la resa di fronte alla retriva cultura islamica della nostra libertà dell'uomo in tutte le sue espressioni.
Yuval Noah Harari, uno storico israeliano, nel suo ultimo libro "21 lezioni per il XXI secolo", un libro che analizza in modo distopico il nostro futuro immediato, sottolinea che le condizioni fondamentali per l'immigrazione devono partire dal presupposto che il paese ospite consenta l'immigrazione e che in cambio i migranti debbano accettare le norme e i valori fondamentali del paese ospite, anche se questo significa rinunciare ad alcuni dei loro valori e norme tradizionali.
Non mi pare che in Italia o in Europa nessun governante abbia mai puntualizzato questi aspetti fondamentali. Anzi, rinunciamo alle nostre tradizioni e ai nostri presepi natalizi per non urtare (poveri cari!) la loro sensibilità. Un suicidio.
Non si è voluto capire che può accettare migranti e favorirne l'integrazione solo un paese "forte", cioè una società che abbia principi culturali e religiosi tutt'altro che "liquidi": una società sostenuta da valori, simboli e principi talmente forti da risultare impermeabili ai valori diversi che arrivano da un'altra parte del mondo.
Noi invece continuiamo a crogiolarci sulle nostre colpe, dalla colonizzazione ai massacri e ai totalitarismi del XX secolo. Dimenticando quale patrimonio abbiamo generato: la laicità dello Stato, la libertà d'espressione, la parità tra i sessi. Dubitiamo della grandezza della nostra civiltà che ha dato, a costo di immani sacrifici, grandezza e dignità all'individuo.
È questo il faro che la nostra ignavia e la nostra vigliaccheria sta spegnendo, nell'indifferenza di quanti, governanti, intellettuali, guide religiose, avrebbero invece il dovere di tenere sempre acceso.
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