EXCALIBUR 115 - giugno 2020
in questo numero

C come "coronavirus", c come "comunismo"

C'è una pandemia ideologica difficile da debellare

di Angelo Marongiu
<b>Slavoi Zizek</b>: filosofo, sociologo, politologo (Lubiana, 1949)
Sopra: Slavoi Zizek: filosofo, sociologo, politologo
(Lubiana, 1949)
Sotto: non tamponi nè mascherine: solo falce e martello
non tamponi nè mascherine: solo falce e martello
Quanto dura una pandemia?
Quella sanitaria sembra ormai in fase decisamente discendente: i numeri sembrano sorridere e prefigurare un giorno nel quale non saranno più significativi.
Certo, ancora adesso le cautele non devono cessare: mascherine, gel disinfettante, distanziamento sono lì a ricordarci che quel maledetto virus non è certo da sottovalutare.
Ma l'emergenza sembra terminata.
Ma c'è un'altra pandemia che - al diminuire di quella sanitaria - sembra invece prendere sempre più corpo ed è quella politica.
Un periodo di solenne ubriacatura dell'esecutivo, una sorta di "orgia del potere", sembra non voglia essere abbandonata. Questi mesi nei quali, tra conferenze stampa notturne a reti unificate e Dpcm uno dietro l'altro, la consapevolezza di essere sempre al centro dell'attenzione è difficile da abbandonare da un momento all'altro e allora si è sempre alla ricerca di pretesti per essere sempre in primo piano. Partendo da questa sensazione inebriante del potere assoluto (il «vi consento» del premier Conte ne è un chiaro esempio) è difficile ipotizzare un ritorno alla normalità.
«Non esiste un ritorno alla normalità, la nuova normalità dovrà essere costruita sulle rovine delle nostre vecchie esistenze, o ci troveremo immersi in un nuovo barbarismo i cui segnali sono già chiaramente intuibili adesso».
Sono parole di Slavoi Zizek, studioso di marxismo, di idealismo tedesco e di psicanalisi lacaniana, prontamente riprese da "L'Osservatore Romano". Egli sostiene che il sorgere del coronavirus abbia funzionato come amplificatore di alcune tendenze positive e altre negative. Sul fronte negativo, l'attuale diffusione del coronavirus ha portato a una vasta epidemia di virus ideologici dominanti nella nostra società: fake news, teorie cospiratorie, paranoia, razzismo; sul fronte positivo il sorgere di una nuova solidarietà.
Affermazioni contestabili da tutti i punti di vista, che risentono di una deformazione ideologica palese. Razzismo e fake news non sono certo frutto del coronavirus (ne avevamo già in abbondanza) e per quanto riguarda la solidarietà, non mi pare che la nostra società o qualunque altra comunità toccata dalla pandemia siano da prendere a modello di virtù. Egoisti eravamo ed egoisti siamo rimasti.
Per quanto riguarda i virus ideologici ha invece ragione, visto che lui per primo sostiene che «dobbiamo fare la scelta definitiva: o mettiamo in atto la logica più brutale della sopravvivenza del più adatto o qualche tipo di comunismo reinventato con coordinamento e collaborazione globali».
La vecchia utopia è sempre più viva e quella parolina magica "comunismo" viene riproposta di nuovo.
Partendo dal fatto che il forte approccio alla crisi da parte della Cina (comunista) abbia funzionato e che invece in Europa predomini la posizione di "ogni paese per sé", sostiene che «una sospensione della socialità è qualche volta il solo accesso all'alterità».
Un modo contorto, ma sinuoso, di dire che le restrizioni legate alla pandemia che ci impediscono di stare vicini a chi ci è caro sono il solo modo per sentire vicine tutte le persone isolate sulla terra. Questa tesi - prettamente cristiana - ha mandato in visibilio "L'Osservatore Romano".
È la solita affermazione buonista e universale che nessuno si preoccupa di indicare in che modo possa essere attuata, così come quando parla di nuovo comunismo con "coordinamento e cooperazione globale" non riesce a calarsi nella realtà: chi coordina questa sorta di mondo meraviglioso di solidarietà? Un uomo, una nazione?
Ma, tralasciando i sogni utopistici e globali di Zizek e qualificandoli come un virtuosismo accademico, gli assaggi di un virus comunista sono stati e sono ben presenti in Italia.
A parte i tre mesi di dittatura dell'esecutivo e la completa estromissione del Parlamento (mandando a quel paese il bilanciamento dei poteri, simbolo massimo di una democrazia), l'idea di più Stato nell'economia, nelle nostre vite private, nella delimitazione dei nostri confini di libertà è ben presente nel nostro governo. L'ultima ricetta sovietica è quella proposta da Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, il quale in un'intervista sostiene che «se lo Stato finanzia le aziende deve avere un posto nel consiglio di amministrazione», riferendosi agli aiuti anti-crisi per il post-coronavirus. Insomma statalizzare a oltranza e ancora poltrone da spartire: e addio all'imprenditoria privata. Prodi redivivo ha recentemente ribadito che lo Stato deve sovraintendere al perseguimento delle finalità sociali delle imprese.
Lo stile è quello dell'Unione Sovietica.
Si sono invocate misure di "stampo cinese", si invocano sanzioni durissime per i trasgressori degli obblighi stabiliti dal governo (e la delazione è considerata un valido strumento per raggiungere tale fine), si invocano maggiori controlli, inventandosi l'assunzione di non so quanti "controllori di distanza" tra le persone e poi denunciare i trasgressori.
Tutto questo è un invito a ripensare l'economia, il modello di sviluppo, il nostro stile di vita, per immergerci in una dimensione ancora più pubblica, dimenticando la lezione sempre più attuale che "lo Stato non è la soluzione, lo Stato è il problema".
A parer mio in Italia ci stiamo avviando verso una società illiberale, che può spingerci lentamente a vivere un'esistenza come se fossimo nella scomparsa Germania dell'Est o nella sempre più presente Cina comunista.
L'art. 16 della Costituzione recita: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza».
La limitazione di una delle nostre libertà fondamentali è stata stabilita non da una legge, discussa e votata dal Parlamento, ma da un provvedimento amministrativo, un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che - nella "gerarchia delle fonti" - è un atto inammissibile. Eppure lo abbiamo supinamente accettato, così come abbiamo accettato il divieto di andare nelle seconde case - limitazione dell'uso della proprietà privata - sempre con un provvedimento amministrativo. Abbiamo altresì accettato la chiusura delle Chiese - e quindi la rinuncia alla professione pubblica e palese della fede - sempre in nome di un'emergenza stabilita da un Dpcm.
Siamo stati ostaggio di scienziati, esperti e intellettuali che - invece di esprimere pareri - si sono sostituiti al Parlamento nel decidere i comportamenti della nostra vita quotidiana.
Abbiamo assistito alla demonizzazione dell'iniziativa privata e rinunciato forzatamente alla autoregolamentazione rapida che la caratterizza (l'esempio classico è la buffonata del prezzo imposto sulle mascherine).
Di contro si divinizza la mano pubblica che ormai deve essere presente in tutti gli ambiti: nella famiglia, nell'istruzione, nell'occupazione, nel settore finanziario e ora - in modo sempre più pressante - nel sistema sanitario.
Certo, nel sistema privato ci sono state delle mancanze: era inevitabile. Ma queste mancanze sono state artatamente enfatizzate e denunciate. Ma è vietato parlare dei fallimenti clamorosi e gravi della sanità pubblica, con medici e infermieri mandati allo sbaraglio, senza istruzioni e senza protezioni. Fallimenti organizzativi che vengono costantemente mascherati dalla "perenne mancanza di risorse economiche", ignorando il fatto che ci sono differenze enormi di costi per i presidi sanitari da regione a regione, problema che nessuno ha mai affrontato seriamente, perché scomodo e perché intacca sacche oscure di potere.
È comunismo la continua propaganda politica incanalata attraverso i mezzi di comunicazione di stato, stigmatizzando chi come Mentana si rifiuta di farsi asservire da tale propaganda stile Goebbels.
Del resto una serie di menzogne ripetute ossessivamente diventano una verità.
Da questo terrificante caos continua a risuonare il solito ritornello nel quale lo Stato è presentato come "buono", incessantemente volto al raggiungimento della "giustizia sociale" per porre fine alle disuguaglianze.
È questo il virus più letale, questa sorta di socialismo utopico che ha già rovinato il mondo.
Francis Fukuyama ha torto, non siamo arrivati "alla fine della Storia". Speriamo però di non essere all'inizio.
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