EXCALIBUR 120 - ottobre 2020
nello Speciale...

Parte III

somiglianze: il brontolare dei padri, il brontolare dei figli...
Somiglianze: il brontolare dei padri, il brontolare dei figli...
Forse ci sarebbe stato da stancarsi di quello stillicidio di critiche e forse, in casa, io no ma mio fratello si stancava proprio e lo faceva vedere e sbuffava e, quel poco tempo che passava in casa, stava da solo in un'altra stanza. Io invece no, io stavo a sentire e tenevo a mente quello che riuscivo; facevo qualche domanda su quello che non capivo, azzardavo anche qualche commento; incominciavo a orientarmi nel mondo intorno, dal pianerottolo all'Oceano Pacifico.
Così verso i tredici anni mi venne spontaneo incominciare a infilare rosari di critiche anch'io e, per essere anche più efficace, a incominciare a occuparmi di politica, prendendo la tessera di un'associazione di opposizione, prima, ed entrando poi nel direttivo. E ancora, nel primo anno di liceo, a scrivere giornaletti, ciclostilati, un numero unico all'anno; e poi anche a incominciare a cercare pubblicità, per poterli stampare in tipografia. Mi piaceva fare i miei giornaletti, perché così anch'io come te, anzi, più di te, potevo dire quello che non mi andava e, visto che in casa non avevo troppo ascolto, scriverlo sul mio giornale. E, quando l'uscita del mio giornaletto era troppo lontana per aspettare, scrivevo lettere al direttore del quotidiano di Cagliari, su questo che non andava e su quello, pure.
Sono decenni, babbo, che ho ben presente davanti agli occhi questo mio modo di essere, quella mia criticità adolescenziale. Ma solo ora, passati i 70 anni, mi viene in mente che quella criticità era figlia della tua, e io non me ne ero mai accorto prima. O forse me ne ero accorto ma non avevo mai saputo né dirmelo né dirtelo, perché la bocca era piena di terra.
Eppure a quella prima scuola di brontolii - iniziata con i giornaletti - era seguita subito un'impostazione analoga di tutta la mia esistenza e, soprattutto, un mio modo di operare sempre con un occhio attento alle cose che non andavano e a quello che si poteva fare per cambiarle.
Sempre, non molto tempo dopo che iniziavo a operare in una realtà nuova, come socio o come collaboratore, incominciavo a studiarla, criticamente appunto, a cercare di capire cosa non funzionava al meglio. Al meglio per me, naturalmente. Ma questo senza eccedere nella critica, senza diventare uno sterile brontolone continuo, come forse tu sembravi a mio fratello. Invece, finito il momento dell'analisi e della critica, mi impegnavo nel concreto, nel pratico, cercando di cointeressare anche altre persone e, magari, quando se ne offriva la possibilità, anche di ribaltare l'organizzazione delle associazioni di cui facevo parte e poi dei posti in cui lavoravo. E, senza false modestie, spesso le mie "battaglie" raggiungevano risultati di efficienza che ancora ora considero strabilianti e che allora mi consolidavano nella prassi di criticare e di portare cambiamenti negli ambienti che frequentavo.
Finché un giorno decisi che era giunto il momento di "fare critica" di professione e di fare, di quei ribaltamenti che tanto mi piacevano, l'oggetto di un'attività imprenditoriale: la consulenza.
Tu, babbo, criticavi tutto quello che non condividevi. Io andavo oltre: criticavo e poi cercavo di cambiare quello che non mi piaceva. Chissà, babbo, se quando ti parlavo degli audit a cui lavoravo per conto dei miei clienti, dei cambiamenti che cercavo di portare nelle organizzazioni di cui facevo parte; se quando ti descrivevo le mie attività di consulenza tu hai mai pensato che dietro dietro c'era il tuo zampino, c'era almeno un po' di quell'avermi proprio tu cresciuto a pane e critiche tutti i santi giorni.
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VICO SAN LUCIFERO