Excalibur blu
SPECIALE
A babbu mortu
Allegato al
n. 120 di EXCALIBUR
ottobre 2020
Sommario
Parte II Parte III Parte IV
a cura di
FAUSTO SARDU

Dopo 22 anni, per la prima volta Excalibur si cimenta nella narrativa

padri e figli
Padri e figli
Ciao babbo,
tante, tantissime volte - dopo che a ventiquattro anni ho lasciato la Sardegna per stabilirmi a Bergamo - ho pensato di scriverti una lettera.
Una lettera come questa, non come quelle che, dopo la partenza, io e te si prese a scriverci da subito, una volta alla settimana; pensavo a una lettera che non fosse l'aggiornamento sullo stato di salute, l'elencazione precisa delle cose successe e delle cose fatte; non una lettera ragionieristica, una lettera calda di sentimenti. Magari in modo confuso, ma pensavo a una lettera anche di pochissime parole, sentite dentro dentro; di parole che dicessero che sarebbe stato bello stare un po' più vicini, a dirci cose che non fossero scontate.
Ma quella lettera non era mai il momento di scriverla e la rimandavo, ogni volta che mi veniva in mente, a momenti più adatti, a tempi in cui sarebbe stato possibile trovare quella forza nei rapporti con te che non riuscivo più a ritrovare; la forza di dire cose semplici, magari stupidaggini, come quelle che ci sapevamo dire quando ero bambino e la domenica pomeriggio giocavamo nel lettone. Quella forza che trovavo quando da bambino tu mi raccontavi cosa avremmo mangiato la prossima volta che saremmo andati in campagna e dimenticavi a bella posta di parlarmi del prosciutto, che a me piaceva tanto. E io cadevo nella trappola e protestavo forte: «... e il prosciutto no?».
Quando ci pensavo, a quella lettera che pure mi ripetevo di volerti scrivere, ci scherzavo un poco tra me e me e pensavo che l'avrei scritta "a babbu mortu" come si dice in Sardegna, ma anche in Maremma, per indicare un tempo indefinito al quale rinviare qualcosa che in realtà non si voleva fare, come pagare un debito incerto. E dire che si sarebbe pagato "a babbu mortu" significava sostanzialmente che non si sarebbe pagato mai, perché babbo non sarebbe mai morto. E invece tu sei morto e ora sento il bisogno di mantenere la parola che mi ero data tra me e me.
Perché finalmente è arrivato il momento di scriverla quella lettera a babbu mortu. Non solo perché dalla tua morte sono passati ormai trentacinque anni, ma perché sono venute meno quelle remore, quei blocchi che per tanto tempo, più o meno dopo i miei quindici anni, avevano impedito non di parlarci, ma anche solo di scriverci come ci parlavamo in quel lettone dei pomeriggi della domenica. Quei pomeriggi a fare la lotta o, a volte, a stare per un po' uno con la mano sulla guancia dell'altro, o a guardarci un poco dolci negli occhi.