EXCALIBUR 128 - maggio 2021
in questo numero

Duecento anni di Dostoevskij

Vita e demoni di uno scrittore da amare (o da odiare)

di Lancillotto
<b>Fëedor Michailovic Dostoevskij</b> (Mosca 1821 - San Pietroburgo 1881)
Sopra: Fëedor Michailovic Dostoevskij (Mosca 1821 - San
Pietroburgo 1881)
Sotto: copertina di un suo libro
copertina di un suo libro
Si potrebbe ricavare un bel corposo volume se si raccogliessero tutte le critiche che la figura letteraria di Dostoevskij ha suscitato.
Forse il più accanito detrattore dell'opera del grande russo fu Vladimir Nabokov (che comunque ce l'aveva un po' con tutti i Russi), che stroncò le sue maggiori opere letterarie; da "Delitto e castigo", definito una spaventosa e truculenta tiritera, a "I fratelli Karamazov", che racchiudeva, a suo parere, tutto il macchinoso congegno narrativo di Dostoevskij, impregnato da una assoluta mancanza di stile e di gusto e da un "perverso piacere nel crogiolarsi nelle disavventure umane".
Anche Anna Achmatova - poetessa, anzi poeta russo, come amava definirsi - sosteneva che i personaggi di Dostoevskij non erano assolutamente originali (sembravano dei personaggi di Puskin, ma invecchiati) e lo scrittore aveva la tendenza agli effetti crudamente sensazionali.
Stefan Zweig - che pure gli dedicò una delle sue splendide biografie - nello stupendo "Il mondo di ieri" lo accusava di eccessiva prolissità. Il controverso Harold Bloom, il più celebre e influente critico letterario americano, lo ha definito «oscurantista religioso, fanatico che non capiva nulla, imbevuto di un cristianesimo che era solo una malattia dell'intelletto».
Bloom rivela comunque la sua riluttanza nelle critiche a Dostoevskij davanti al monumentale "I fratelli Karamazov" e celebra lo scrittore accostandolo al suo adorato Shakespeare. Nel volume "Il Genio" (da me particolarmente amato), nell'esaminare in dettaglio il libro, definisce lo scrittore russo come una figura letteraria indispensabile, capace come Swift di mettere alla berlina il nostro egoismo, la nostra crudeltà, la nostra ipocrisia e soprattutto quella zoppicante coscienza che abbiamo di noi stessi (Harold Bloom, "Il Genio", Rcs-Mondolibri).
Dopo tanti anni, ancora oggi la figura letteraria di Dostoevskij appare controversa: è un autore che non lascia indifferenti; dopo averlo letto o lo si ama o lo si odia. E si continua erroneamente - a parer mio - a metterlo in contrapposizione all'altro monumento della letteratura russa, Lev Tolstoj.
Su questa contrapposizione - dal sapore dicotomico - l'altro critico letterario di eccellenza, scrittore e saggista francese, George Steiner, ha scritto un libro, "Tolstoj o Dostoevskij", nel quale espone l'artificiosità di tale contrasto, sostenendo che la loro differenza di visione del mondo russo e non solo tende a una complementarità, facendo sì che la scuola russa viva con loro il momento più esaltante, portandola ai massimi livelli della cultura letteraria europea. Se Tolstoj ricorda nelle sue opere l'epica omerica, Dostoevskij ci immerge nella tragicità di Shakespeare e dei massimi drammaturghi del canone occidentale (George Steiner, "Tolstoj o Dostoevskij", Garzanti, presentazione).
Dostoevskij non è di facile lettura e la sua prosa non è scorrevole come quella di altri scrittori russi. Ma se la sua lettura richiede impegno, egli restituisce immensamente di più. Ci obbliga a guardare noi stessi in uno specchio impietoso. Nelle sue opere ci sono il tormento, l'enigma morale, c'è l'uomo che cade e pur se pieno di fango desidera il sublime, c'è la disperazione e la santità, la bestemmia e la preghiera.
Se si entra nel mondo di questo scrittore se ne esce diversi. E qualcuno sostiene che bisogna ancorare l'opera di Dostoevskij alla ricerca di Cristo, non di Gesù, ma di Cristo, il Salvatore.
La sua filosofia politica è impregnata di slavofilismo e populismo mistico: la società russa può essere redenta dal contatto con il popolo e dall'accettazione della religione ortodossa perché religione del popolo.
Alcune sue figure enigmatiche, candide, demoniache, lasciano il segno.
Dimitri ("I fratelli Karamazov"), che si dibatte tra degrado ed elevazione, è l'emblema di questa contraddizione assoluta; e altre figure ci colpiscono per il loro aspetto iconico: da Svidrigajlov che si suicida a Raskolnikov che sogna di ripetere il delitto (entrambi in "Delitto e castigo"), fino al tormentato demone Stavrogin ("I demoni").
I suoi romanzi sono colpi al cuore, non tanto e non solo per come sono scritti, ma soprattutto per il loro significato, esistenziale e morale. Il buio dei suoi personaggi non può non restarci addosso.
La vita di Fëedor Michailovich Dostoevskij sembra svolgersi secondo un canovaccio ideato appositamente per i suoi libri. Nasce a Mosca nel novembre del 1821, primo di sette figli, da genitori benestanti ed eruditi. La madre, il padre, la religione hanno certo contribuito a creare lo scrittore.
Ma - secondo alcuni - Dostoevskij è nato una seconda volta, nel dicembre 1849, quando, condannato a morte per fucilazione, accusato di sovversione, sale veramente sul patibolo.
È l'atroce beffa dello Zar Nicola I che commutò la pena in quattro anni di Siberia e creò un nuovo scrittore. I grandi capolavori forse non sarebbero mai nati se non avesse dovuto affrontare l'esilio in Siberia, prima al bagno penale e poi come soldato semplice nella lontanissima Semipalatinov.
C'è un prima e un dopo: quell'esperienza traumatizzante pone lo scrittore a contatto con l'umanità più disperata e illuminante della realtà del popolo russo. Le "Memorie dalla casa dei morti" sono uno specchio di quegli anni e di quella realtà.
La vita di Dostoevskij è una vita di contrasti: il padre si trasforma in un uomo autoritario e dispotico che tormenta il figlio con il suo terribile carattere. Alla notizia della sua tragica morte ha il primo di quegli attacchi epilettici che lo tormenteranno tutta la vita. E il principe Myskyn ne "L'idiota", un uomo positivamente buono, un Cristo del XIX secolo, soffre di attacchi epilettici come il suo autore.
Negli anni giovanili Dostoevskij viveva a San Pietroburgo, allora città piena di fervori culturali e politici. Si avvicina a un circolo nel quale si discute di politica affascinati dalle teorie del filosofo utopista Charles Fourier. L'arresto con l'accusa di stamperia clandestina (un ovvio pretesto) viene aggravata per Dostoevskij a causa del possesso di una famosa lettera scritta da Belinskij a Gogol la cui riproduzione era vietata dalla censura in quanto conteneva una dura accusa all'aristocrazia.
L'atmosfera di cospirazione viene trasfigurata da Dostoevskij nel suo monumentale "I demoni" con al centro la vicenda politica di una cellula anarchica. Il ritorno dall'esilio porta allo scrittore un grande successo letterario, ma non la ricchezza. Soverchiato dai debiti e ai limiti dell'indigenza, egli viaggia in Europa e si dà al gioco. Nasce "Il giocatore", romanzo semi-autobiografico scritto in fretta e furia per saldare i debiti contratti proprio con il giuoco.
L'intreccio inestricabile tra la vita e la letteratura sfocia nell'ultimo capolavoro (un manoscritto di trentadue chili): "I fratelli Karamazov".
Un ultimo romanzo, il più consistente, una sorta di "summa" del suo percorso letterario, che, dopo la condanna a morte e l'esilio, dopo l'amore riscoperto di Anna (sua stenografa e seconda moglie), ritorna alle origini del suo percorso: il contrasto e la morte del padre e la ricerca di Dio. Ma - a rileggerlo alla fine - c'è una sua opera, scritta nel 1848, prima dei suoi tormenti con la giustizia, capace di farci comprendere l'attualità e la classicità di Dostoevskij: "Le notti bianche". È forse la traccia della sua vita.
Quattro notti lunghissime con una voce narrante che descrive i tormenti di un giovane in piena alienazione, incapace di aprirsi spontaneamente alle persone che lo circondano.
«Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani».
Lo scrittore è un fantasma che si aggira a San Pietroburgo, la osserva e tesse la sua trama personale prendendo la realtà e inserendola nei suoi sogni. La solitudine è il motore della sua immaginazione e l'incontro con una giovane donna, Nasten'ka, scatena la sua fantasia: si innamora di lei e si rende conto che qualunque suo sogno non può competere con la realtà della vita. La delusione finale lo riporterà alla sua cupa solitudine.
«Sarà triste restar solo, completamente solo e non aver neppur nulla da rimpiangere, nulla, proprio nulla [...] perché tutto quanto perderò non è stato che nulla, uno stupido tondo zero, nient'altro che sogno!».
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