Excalibur blu
SPECIALE
Quelle strane elezioni politiche del 15 maggio 1921

La prima volta del Partito Sardo d'Azione nel Parlamento nazionale

<b>Giovanni Giolitti</b>
Giovanni Giolitti
Giovanni Giolitti, il grande vecchio dello stato liberale, dopo anni vissuti nell'ombra, nel giugno del 1920 fu richiamato al governo per gestire il grave stato di instabilità in cui era venuto a trovarsi lo stato liberale dopo il pur vittorioso primo conflitto mondiale.
L'irrompere, con le elezioni del 1919, nella scena politica italiana di un fortissimo partito socialista, rinnovato nella teoria e nella prassi dal mito della rivoluzione bolscevica e del partito popolare di don Sturzo, ben deciso a far pesare nell'agone politico la forza delle masse cattoliche, avevano costretto l'élite liberale a mettersi nelle mani dell'esperto e collaudato Giolitti, senz'altro lo statista più rappresentativo, dopo Cavour, che abbia espresso lo stato liberale dall'unità d'Italia.
E in effetti lo statista piemontese seppe disinnescare le mine più pericolose che tra il '19 e il '20 apparvero minacciose nell'orizzonte della società italiana: l'occupazione delle fabbriche posta in essere dai socialisti e l'impresa fiumana capeggiata da D'Annunzio. Giolitti, respingendo la richiesta degli industriali di procedere con la forza per salvaguardare il sacro diritto della proprietà privata e, anzi, accogliendo almeno in parte le richieste degli operai, non solo risolse positivamente la vertenza, ma gettò pure lo scompiglio tra le file socialiste, acuendo lo scontro tra l'ala riformista e quella rivoluzionaria, tanto da determinare l'uscita dal partito, su richiesta sovietica, dell'ala comunista, che il 21 gennaio del 1921, a Livorno, fondò la sezione italiana dell'internazionale comunista.
Nello stesso modo Giolitti, stipulò con la Iugoslavia, il 12 novembre del 1920, il trattato di Rapallo, con il quale rinunciando ad alcune zone della Dalmazia ottenne che Fiume fosse riconosciuta come città libera, depotenziando così la carica antigovernativa dei legionari fiumani. D'Annunzio non accettò il trattato, ma a colpi di cannone dovette abbandonare la città nel famoso "Natale di sangue".