EXCALIBUR 131 - agosto 2021
in questo numero

La finanza "plutocratica" ci sommerge

La terminologia anglosassone ha vinto con la speculazione finanziaria

di Ernesto Curreli
la borsa di New York
Due immagini della borsa di New York
la borsa di New York
È inutile recriminare sull'uso esagerato dei vocaboli anglosassoni in materia di economia e di finanza, ed è persino penoso deprecare la servitù culturale degli Italiani sui vocaboli anglosassoni di economia. Perché la verità è che di quella terminologia non se ne può più fare a meno, per il semplice fatto che oramai il mondo occidentale, nella "classi" ricche che contano, vive e specula sugli strumenti finanziari. In Occidente il mondo del lavoro, quello che produce e fatica fisicamente, non conta quasi più niente, sostituito dalla finanza e dalla speculazione che ne rappresenta il necessario corollario. Basta vedere cosa succede quando un'azienda a capitale straniero, dopo aver succhiato risorse pubbliche, con una semplice mail licenzia centinaia di lavoratori.
Fino agli Anni Settanta del secolo scorso non era così. Il valore e il plusvalore marxiano erano misurati sui costi dei prodotti (materie prime) e su quelli necessari alla loro trasformazione (macchinari, energia, lavoro dipendente) da rendicontare e confrontare col fatturato di vendita. Era una cosa abbastanza semplice, priva di fronzoli e di controlli interni (staff aziendale) ed esterni (consumatori, autorità pubbliche, cittadinanza in genere).
Poi qualcosa è cambiato, inesorabilmente. La speculazione ha preso il controllo della produzione e delle monete, guadagnando cifre enormi in borsa. Questo fenomeno si era presentato già negli Anni Venti e Trenta del Novecento, costringendo i governi per obbligare la finanza (le banche in primis) a separare gli assetti tra banche e produttori. L'Italia mussoliniana fu la prima a normare questo aspetto, varando l'Iri, inizialmente proprio per realizzare una effettiva e rigorosa separazione, spezzando gli intrecci tra i due mondi. Le imprecazioni dal balcone di Palazzo Venezia contro le "demoplutocrazie" avevano un fondamento, ma si rivelarono inutili con il prosieguo della guerra, vinta proprio da quel mondo che vanamente si condannava.
Negli ultimi decenni la finanza, con masse enormi di soldi, ha acquisito un sempre maggiore potere nella vita pubblica e privata. Coi soldi si comprano interi comparti aziendali, si creano aggregazioni settoriali, si spostano le aziende da un Paese all'altro, addirittura si controlla il mercato dei farmaci. Poi si specula in borsa oppure si creano nuovi prodotti finanziari con titoli "tossici" (i "derivati") che le banche colluse comprano a prezzi di favore e rivendono a prezzi esagerati alla clientela inconsapevole.
In Italia sono state coinvolte in queste operazioni criminali diverse banche di importanza nazionale che hanno rovinato centinaia di migliaia di risparmiatori ingenui. Un titolo tossico, pensate un po', era basato sulla "scommessa" che il valore del riso thailandese, di cui nessuno sapeva assolutamente niente, sarebbe cresciuto miracolosamente nel giro di pochi mesi.
Nel giro di meno di un anno, invece, decine di migliaia di persone sono state rovinate. Si può credere che non ci fossero intese tra i grandi manager bancari e l'operatore finanziario che proponeva quel prodotto? E si può credere che decine di milioni di euro siano passati da molte mani di risparmiatori in poche mani, quelle di chi firmava il contratto?
A causa di simili frodi, vere ruberie, difficili da individuare, nonché per contrastare il potere corruttivo del mondo della finanza, è nata l'esigenza di incrementare i controlli su finanza, banche e imprese in senso lato.
Con la globalizzazione, che non conosce più confini, tutto l'Occidente è corso ai ripari, creando una ragnatela di controlli che obbedisce a una normativa asfissiante e complessa. Le maggiori regole di controllo sono venute dagli Usa, che hanno realizzato un notevole sistema di controlli con gli Isa (International Standard Accounting), subito adottati dalla Ue con Direttive di volta in volta accettate dall'Italia (Isa Italia).
Qui entriamo nel rompicapo delle sigle e dei vocaboli stranieri. Proprio non se ne può fare a meno, ma il nostro mondo è così e forse cambierà soltanto con l'affacciarsi sulla scena internazionale della Cina, destinata a primeggiare nel XXI secolo con la sua cultura e i suoi schematismi del capitalismo marxista.
Gli auditors americani, bisogna riconoscerlo, sono stati gli apripista. L'Unione Europea, anche a causa dell'intrecciarsi sempre più marcato delle economie avanzate, da diversi decenni ha cominciato a imporre uno schema di bilancio Ue uguale per tutti gli Stati. Lo schema della Ue, dominata dalla finanza centroeuropea, prevede che per la buona metà del formato del bilancio si debbano elencare puntigliosamente notizie di carattere finanziario (rapporti con società collegate e controllate, disponibilità liquide, debiti finanziari, ecc.), lasciando poco spazio a quelli che noi pensiamo siano ancora i valori che contano (merci, produzione, dipendenti).
Così, agli auditors d'oltreoceano si sono affiancati quelli europei, che in italiano si chiamano, più comprensibilmente, revisori contabili. Anzi, da pochi anni si chiamano "revisori legali" perché alle loro figure professionali si sono voluti attribuire compiti che lo Stato non è più in grado di svolgere: monitoraggio della incipiente crisi di impresa, continuità aziendale, vigilanza sul mantenimento dei livelli occupazionali, controlli sulle dinamiche aziendali, manageriali e simili. Sono compiti titanici che lo Stato, nella sua impotenza, scarica loro addosso.
Più difficile da capire, per molti, è la terminologia che si tenta di inculcare loro in ogni corso di aggiornamento. Volete ridere? In fin dei conti, perché mai si devono effettuare i controlli sui bilanci? Per gli "stakeholders", perbacco, che sono tutti quei soggetti interessati alla lettura di un bilancio: persone che hanno già investito o che vogliono investire in quell'azienda, i suoi dipendenti, lo Stato e gli Enti locali che devono drenare risorse d'imposta e, infine, i dipendenti. Sembrava grezzo chiamarli "soggetti interessati" o anche "portatori di interessi".
I controllori devono fornire, conclusi i controlli, una "accountability", vocabolo che fa paura ma che significa soltanto "rendere conto" in generale. Le aziende, peraltro, devono continuare nelle loro attività sviluppando il proprio "know-how" perché, a fronte degli strumenti della finanza innovativa quali fondi di "private equity" e "private debt" che hanno accumulato capitali massicci, devono saper fronteggiare gli attacchi dei concorrenti o degli accaparratori con la loro solidità finanziaria. Ma fare i controlli non è cosa facile, perché si devono esaminare centinaia di elementi diversi all'interno di una azienda.
E allora? Niente paura, ci sono tecniche selettive che ti fanno risparmiare tempo. Ad esempio, puoi utilizzare il Mus, che è solo il "Monetary Unit Sampling", cioè il campionamento di un gruppo simile di valori. Scegli quello e sei a posto. Quando invece ti devi occupare del gruppo di manager, spesso composto da furbacchioni infedeli, attivi il "Control governance", cioè controlli le loro deliberazioni e i loro comportamenti. È un gioco. Magari in azienda c'è già uno che fa un controllo simile, si chiama "internal audit", che spesso collabora con la governance al fine di fornire una ragionevole sicurezza per raggiungere gli obiettivi aziendali, però sempre all'interno delle regole internazionali e nazionali, cioè al "Coso Internal Control - Integrated Framework" del 2013.
Però Coso è una cosa seria: si tratta del Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission, che periodicamente pubblica delle cose importanti: "Enterprise Risk Management" o anche il più recente "Enterprise Risk Management - Integrating with Strategy and Performance - 2017".
Poi bisogna controllare ogni tanto i "reporting" periodici, frugare nel software aziendale per capire se cela qualche operazione in violazione dell'ufficiale "policy" aziendale, magari relativa al "fair value" di un determinato prodotto finanziario o di un bene della produzione, che ha il significato internazionale di "valore corretto", troppo brutto per essere usato in italiano.
Quando il povero malcapitato si imbatte invece in un "embedded" è davvero perduto, non tanto per il termine che in italiano ricorda un pochino il termine di imbevuto o di rimbambito e che invece significa semplicemente che sei di fronte a un prodotto finanziario tossico incorporato in un altro prodotto tossico (derivato), difficilissimo da stimare e valutare.
Bisogna dare qualche ragione a Silvio Berlusconi, quando disse che gli Italiani non avevano comprato "derivati" perché non capivano i termini inglesi che li accompagnavano. La massa non li aveva acquistati, ma molte aziende importanti e molti Enti locali si erano fatti incantare e li avevano comprati, rovinando le loro magre risorse finanziarie. D'altra parte, il cash-flow è sempre un problema per tutti. Se non hai flussi di cassa sei messo male, peggio ancora se hai in cassaforte titoli derivati.
Ora ti serve un "hedge accounting", cioè un altro titolo che sia di copertura al rischio che corri col derivato, sempre che la copertura sia solida, perché potrebbe essere una fregatura. Comunque non lo puoi nemmeno utilizzare per altri scopi, te lo devi tenere inchiodato nella speranza che non esploda il derivato e che il tuo hedge funzioni davvero. A questo punto per tenere tutto sotto controllo, dovresti crearti le Lead Schedule e le Sublead Schedule (riepiloghi) così sei più tranquillo.
Se sei abile e vuoi monitorare l'azienda, ti puoi divertire con uno dei programmini che sono usciti recentemente per il controllo dello stato di pre-crisi aziendale, molto di moda in questi tempi di epidemia da Covid-19. Dovresti valutare, insomma, se l'azienda è in grado di assolvere i debiti contratti, altrimenti arriva alla chiusura.
Ebbene, si tratta del Dscr, il famoso Debt Service Coverage Ratio, cioè, in altre parole, lo strumento col quale puoi misurare il cash flow che ti dovrebbe consentire di pagare i debiti aziendali e le obbligazioni contratte, in italiano è nient'altro che il rapporto di copertura del servizio del debito. Semplice no?
Per noi Latini è una fortuna che i Normanni, accasati per diverse generazioni in Normandia tanto da dimenticare la lingua madre perché usavano il neolatino franco, abbiano portato in Inghilterra moltissimi vocaboli latini, considerato che la lingua francese fu usata per secoli nelle corti inglesi. Perciò, con un pochino di fantasia, spesso azzecchiamo al volo il significato di tanti vocaboli.
Comunque, se sei sopravvissuto a tutte queste cosine e non hai bisogno di "hoter information" che riguardano le questioni finanziarie diverse dal bilancio e sei quasi sicuro di possedere le appropriatezze probative, che però si chiamano "appropriateness of audit evidence" e addirittura la Direzione aziendale, del resto sempre ferocemente restia, ti ha rilasciato le attestazioni per cui dichiara che il bilancio da questa predisposto è corretto, dette altrimenti "assertions", su carta intestata (written representations), puoi quasi concludere. Magari considerando, per tua discolpa (ma il giudice se sbagli non sente ragioni e ti condanna) che il controllo amministrativo è carente (Deficiency in internal control). Ti cauteli infine chiedendo ai soggetti esterni (clienti, fornitori, banche, legali, ecc.) di scriverti quali siano i saldi debitori/creditori in loro possesso in modo che tu li possa verificare con i saldi che risultano nella contabilità aziendale, non si sa mai, cioè una "External confirmation".
Conservi questa marea cartacea e digitale (Audit documentation) e quindi esprimi parere favorevole sul bilancio. Poi corri in Cattedrale invocando il Signore affinché ti salvi da ogni possibile errore tenendoti lontano dai giudici, che prendono sempre di mira gli auditors e non chi davvero ha commesso i reati.
In questi giorni stiamo assistendo alle vicende del Monte dei Paschi di Siena e di altre importanti banche coinvolte in un oscuro passaggio di denari e di personaggi che prima erano banchieri, poi sono diventati politici e quindi nuovamente banchieri. Sempre nel giro della Goldman Sachs e di altre grandi organizzazioni finanziarie: Romano Prodi, Mario Monti, Mario Draghi, Siniscalco, Padoan, ecc.. Tutti intoccabili, i tg ne fanno un timido accenno, ma tutti sanno come i banchieri abbiano utilizzato la politica per coprire ingenti buchi finanziari, per "spese" finite chissà dove, risanati con denaro dell'Erario dello Stato, cioè con i soldi che ogni mese lo Stato ci spilla.
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