EXCALIBUR 134 - novembre 2021
in questo numero

"Solenoide" di Mircea Cartarescu

Un libro che è una sfida che lascia stremati

di Lancillotto
<b>Mircea Cartarescu</b> (Bucarest, 1956)
Sopra: Mircea Cartarescu (Bucarest,
1956)
Sotto: copertina del "Solenoide" (ed. Il
Saggiatore, 2021)
copertina del 'Solenoide' (ed. Il Saggiatore, 2021)
Sono novecentotrentasette pagine: è questa la lunghezza dell'ultima opera del poeta, saggista, scrittore e giornalista rumeno Mircea Cartarescu.
Ogni anno, insieme a De Lillo, McCarty, Murakami (Philiph Roth non più perché ormai è morto) entra nell'elenco virtuale dei papabili al premio Nobel per la letteratura. Anche quest'anno è finita nel solito modo: il riconoscimento è andato al famosissimo scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Non poteva andare che così: due anni orsono il premiato era Peter Handke, Austriaco e uomo, lo scorso anno avevano premiato una donna, come tre anni fa. Quindi giocoforza doveva essere un uomo, non occidentale.
Ma torniamo a "Solenoide".
Alla fine di questo immenso volume resta un assoluto senso di smarrimento. Inconsciamente tra il lettore e lo scrittore si stabilisce una specie di accordo: il volume spazia tra periodi diversi della vita del personaggio - senza nome - e tra piani della realtà o presunta tale differenti. L'infinito monologo dell'io narrante si muove tra la realtà quotidiana, i suoi sogni e i suoi ricordi e infine le sue allucinazioni, con un continuo rimando tra l'uno e l'altro che lascia storditi.
L'accordo è quello di non resistere alle parole, di non cercare di distinguere tra realtà e finzione (tutto è realtà) e di lasciarsi trascinare dal ritmo musicale delle frasi.
La storia è oltremodo banale: siamo di fronte a uno scrittore fallito (ma c'è un'analisi parallela dello stesso scrittore - alter ego del protagonista - baciato invece dal successo) che rinuncia ai suoi sogni di gloria letteraria e sceglie la carriera di insegnante di scuola. Non smette però di scrivere e riempie pagine e pagine di quaderni nei quali annota minuziosamente i fatti della sua vita, i ricordi e i sogni (tantissimi, descritti con una minuzia certosina) e le sue ossessioni.
Si dipanano così le vicende anonime di un anonimo professore di rumeno all'interno di un anonimo istituto scolastico, il numero 86, alla periferia di Bucarest.
Cartarescu discende all'interno del personaggio, una sorta di cuore di tenebra, alla ricerca perenne di una verità assoluta, che nel libro di volta in volta assume aspetti diversi: dal cosmo infinito della quarta dimensione alle equazioni matematiche dell'infinitamente piccolo, alle scoperte scientifiche, alle opere letterarie.
Il personaggio, essere grigio immerso in uno scenario triste e livido, sembra trovare una via di fuga esclusivamente nella scrittura - destinata a sé stesso - e nelle sue allucinazioni, accompagnate comunque dalla consapevolezza della loro insussistenza.
"Solenoide" non è che la normalità quotidiana della quale non si vede la fine, ma è resa con una scrittura che si attorciglia attorno al lettore e non lo lascia libero.
La sua scrittura piana e ricca (occorre un dizionario per le numerose parole raffinate), perfetta nella traduzione di Bruno Mazzoni, ricorda Kafka (al quale l'autore confessa di essere debitore) o Borges per il suo mondo fantastico o Pynchon dell'"Arcobaleno della gravità" o ancora David Foster Wallace di "Infinite Jest" per lo sforzo nella lettura.
Il nostro personaggio acquista una casa dalle dimensioni interne incomprensibili (dall'esterno sembra una barca) costruita per sé da un ingegnere che nelle fondamenta ha sotterrato un solenoide.
L'attivazione del solenoide - in grado di generare alterazioni della realtà, modificando ad esempio i campi gravitazionali - gli permette di levitare e unirsi con la sua Irina, un'insegnante di Fisica nella sua stessa scuola della quale è innamorato.
I piani della sua scrittura sono una specie di levitazione dal mondo reale e la sua vita interiore con i sogni e le visioni si muove su un universo parallelo. La fuga dalla realtà - fisica e mentale - non è altro che un'enorme protesta contro la morte della coscienza o, come direbbe Dylan Thomas, citato nel testo, «la morte della luce».
"Solenoide" diventa così una riflessione sulla vita e sul tentativo di trovarle un senso nella scrittura, in questo caso minuziosa, del suo diario.
Nella realtà che si mescola in continuazione con un universo onirico, si dipana un affresco che allude al mondo dominato dal comunismo rumeno (la vicenda si svolge alla fine degli anni '80, prima della caduta di Ceausescu): nella scuola dove insegna il protagonista si vive nella paura e nell'obbedienza cieca alla burocrazia politica, dove ogni anno si assegna ai bambini il premio per l'"Ateo migliore" («una radiolina a transistor, con una bellissima custodia marrone»).
Nel suo diario folle il protagonista vaga per una Bucarest allucinata, quasi un ectoplasma. È descritta come una città dalla «grandezza malinconica... la più brutta, la più triste, la più miserevole... città della rovina, delle malattie, dei calcinacci e della ruggine... uno spazio costruito a immagine e somiglianza dei suoi abitanti... dove si continuano a produrre, in un silenzio e un isolamento sovrumano, la paura e la pena, l'infelicità e l'agonia, la malinconia e il tormento della nostra vita in terra».
È questa la lotta che conduce il nostro personaggio. Attraverso una sua collega, Caty, conosce il movimento clandestino dei "manifestanti" che si ritrovano davanti a cimiteri e obitori per protestare contro morte, dolore e sofferenza.
E il dolore è il concetto centrale del libro: da quello fisico (con i ricordi ossessionanti della sua infanzia, dei suoi anni in un sanatorio dal quale fugge e con la presenza costante di una poltrona da dentista, simbolo della sofferenza umana della quale si nutre chissà quale divinità sotterranea) a quello della realtà quotidiana di una vita che non ha uno scopo.
I cartelli innalzati dai "manifestanti" - «Abbasso la morte», «La sofferenza è un peccato», «Non vogliamo morire» - non sono altro che un tentativo di fermare l'ineluttabile.
«Tutti veniamo al mondo da un terrificante abisso senza memoria, soffriamo terribilmente sopra un granello di polvere del mondo infinito e periamo poi, in un nanosecondo, come se non fossimo mai vissuti, come se non fossimo mai esistiti».
"Solenoide" è pieno di descrizioni di parassiti, acari, insetti: l'inizio del libro è la minuziosa descrizione della ricerca dei pidocchi nella sua testa al ritorno dalla scuola dove insegna e nella sua testa di bambino. Gli acari, "gli insetti degli insetti", così piccoli che non possono essere visti a occhio nudo, sono il simbolo dell'umanità che vive su un granello di polvere nell'infinito dell'universo, senza speranza e senza futuro.
Lo scrittore mancato che continua a scrivere nel suo diario ci trascina dentro il suo labirinto, dal quale tenta disperatamente di uscire per sfuggire alla tirannia della realtà, per giungere a un'altra dimensione dell'esistenza.
Ci sono nove pagine del libro nelle quali è ripetuta per duemilaquattrocentottanta volte (qualcuno le ha contate!) la parola "aiuto!": «la sola parola che accoglie in sé tutto il fallimento della nostra solitudine».
Alla fine, sei solenoidi interrati nelle viscere della città fanno levitare l'intera Bucarest, spingendola nell'etere, sospesa sopra una buca infernale, una sorta di collettore delle sofferenze umane.
«Reale è anche il sogno, reali sono anche i primi ricordi, reale (quanto reale!) è anche la finzione».
Nel finale del libro il protagonista si rifiuta di salvarsi da solo davanti al mondo in rovina e preferisce restare accanto a quelli a cui vuole bene. La morte si può sconfiggere solo da parte di chi ha un'anima viva accanto a sé.
«Lì sospingerò il mio capo, il più a fondo possibile, nelle acque del sogno, e Irina si fonderà come il crepuscolo nel mio petto. Resteremo per sempre, al riparo dalle agghiaccianti stelle».
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