EXCALIBUR 137 - febbraio 2022
in questo numero

Sogno di una notte di mezzo inverno...

Sogno o incubo in una stagione terribilmente fredda

di Lancillotto
la forza della tradizione, nulla è cambiato
Sopra: la forza della tradizione, nulla è cambiato
Sotto: inizia un nuovo giorno
inizia un nuovo giorno
Non è un periodo molto buono, questo di mezzo inverno. Mi addormento sempre molto facilmente, ma la notte è spesso attraversata da sogni molto strani.
Una notte ho sognato che era stato eletto il nuovo Presidente della Repubblica. Finalmente, ho pensato, è finita quella specie di farsa inscenata da una classe politica incapace di darsi non solo un capo del Governo ma anche un Presidente della Repubblica che sia espressione di una scelta matura e consapevole. Hanno finito di giocare e di fare i ragazzini.
È finalmente finito il teatrino dei veti incrociati, di coalizioni che si spaccano, di nomi fatti a casaccio «per vedere l'effetto che fa», di persone serie buttate allo sbaraglio e affossate da chi invece doveva votarle: insomma la solita rappresentazione della nostra classe politica assurda e incoerente, ma - rispetto ad altre volte - enfatizzata da un desiderio spasmodico di esserci: e allora interviste, tweet, facebook e tutto l'armamentario tecnologico necessario ad apparire.
Nel sogno - accompagnato dagli applausi dei mille "grandi elettori" (costo circa 15 milioni al mese) - è apparso Giuliano Amato, il nuovo Presidente. La notizia non mi ha certo fatto piacere.
Fin dai tempi tristi di Craxi e del suo "voltafaccia", Amato (novello Pietro nell'orto del Getsemani) non godeva della mia stima - tralasciando il prelievo subdolo nei nostri conti correnti: e poi, mi dicevo, era stato appena nominato presidente della Corte Costituzionale e ora anche Presidente della Repubblica?
Un po' troppo - a mio parere - per una figura come la sua. L'unica nota positiva, in questo frangente, era che avrei scritto un articolo per Excalibur dal titolo: "Drago o Caimano? Ha vinto il topo!", canzonando il nostro direttore.
Il sogno ha continuato il suo incedere e mi sono accorto che il nuovo Presidente eletto non era Amato, ma la figura restava comunque indistinta.
Aveva i capelli bianchi (o almeno apparivano tali) e mi sono detto: «Casini!». Ma indossava una gonna o un tailleur pantalone, insomma un abbigliamento tipicamente femminile e quindi mi sono detto: «Casellati, Cartabia, Rosy Bindi!». Insomma non era chiaro.
Poi ha cominciato a parlare: c'era molto riverbero acustico (Glenn Gould sarebbe impazzito) e non si capiva ancora se era un uomo o una donna.
Ma ha cominciato a tuonare contro il nostro sistema giudiziario e le sue nefandezze. Ho pensato che era giunto il momento nel quale il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura denunciasse chiaramente lo sfacelo evidente a tutti, senza lasciare ai politici o ai giornalisti l'onere di interpretare le sue parole o ipotizzare il suo disappunto dalle pause o dalle cose non dette (i suoi profondi silenzi!) o dal tono della sua voce monocorde.
Ha parlato chiaramente di un sistema ormai non più credibile, completamente allo sbando. Ha parlato di una macchina ormai uscita dai binari della credibilità: di carriere mercanteggiate, di correnti che si spartiscono le cariche, di sentenze squisitamente politiche, di nomine ai vertici decretate illegali e poi ripristinate non si sa bene perché. Ha minacciato - così come fece Cossiga - di far arrivare i Carabinieri con i pennacchi sotto il Palazzo dei Marescialli. Tutto ciò per ricordare che i poteri e gli ordini dello Stato hanno dei limiti precisi che non possono essere superati e che lui - suprema figura dello Stato - aveva il dovere di far rispettare.
E ha elencato - con enfasi e tristezza - nominandoli uno per uno, tutti coloro che, a causa di una giustizia mal amministrata, avevano perso carriera, beni, famiglia o anche la vita. «È la Cartabia», mi sono detto, ma non ero sicuro. E il sogno è continuato, ma con un cambio di scenario.
La situazione è diventata confusa, c'è stato un salto all'indietro: ho capito che la nostra classe politica era in una situazione di stallo.
Era appena caduto il governo e non si riusciva a trovava un accordo per formarne un altro. In Parlamento c'era una situazione confusa e i sondaggi, così come i risultati di elezioni amministrative, davano in vantaggio la coalizione di centrodestra. Si delineava una nuova tornata elettorale per chiarire la situazione.
I giornali della sinistra naturalmente si opponevano a questa soluzione, temendo appunto una vittoria di quella coalizione. E poi c'era un'epidemia in giro, il Vidco-XX: insomma, andare a votare era pericoloso.
Ma questo Presidente batté con violenza un pugno sul tavolo (presidenziale) e tuonò: «Ma come! In tutta Europa si vota e noi abbiamo paura? Ma quando mai. Io sono il supremo guardiano della Costituzione e devo essere sicuro che il Parlamento sia lo specchio fedele della volontà del Popolo e quindi: al voto! Al voto!»
«È tornato Cossiga», mi sono detto.
Il sogno si è dissolto, ma è ripreso immediatamente sotto forma di incubo.
Davanti a questa figura indistinta è arrivato un tale tutto azzimato, con taglio d'abito impeccabile, un fazzolettino con tre punte nel taschino e un orologio al polso che segnava un'ora sbagliata (fuso orario di Pechino?)
Questo tale gli ha presentato la proposta di un nuovo governo: il Presidente ha letto la proposta, lo ha guardato ed è saltato su furibondo: «Ma come? Ti sei presentato da me tempo fa e non eri nessuno, un perfetto sconosciuto neanche eletto dal popolo e per amore del paese ti ho dato un incarico per un governo con una strana alleanza, colorata di verde; non ha funzionato e ora ti presenti con una proposta nella quale - sempre tu - la colori di rosso. Ti ho fatto accomodare sulla sedia che aveva già accolto De Gasperi, Moro, Cossiga, Berlusconi, Prodi e altri più grandi di te, L'Italia è un paese serio: accomodati pure. Al voto! Al voto!».
Ora ero felice. Eccolo qui, la massima figura della Repubblica, il custode della Costituzione più bella del mondo, colui che deve interpretare la voce del paese e seguirlo nella sua volontà, che fa capire a tutto il mondo che l'Italia è un paese serio. Il Presidente è una persona che ha una parola sola e quanto dice poi fa.
Il sogno si è fatto confuso e la figura continuava a essere ancora più indistinta.
Sembrava un uomo, ora, ne ero certo e i capelli erano sempre più bianchi.
La figura era un po' curva e gli occhi (di che colore?) brillavano, ma forse erano gli occhiali.
Ha cominciato a parlare ma le parole erano oscure.
Il tono era monotono: sembrava leggesse l'elenco telefonico o i nomi dei caduti in guerra. Era circondato da una miriade di persone con un taccuino in mano (giornalisti?), che ammirati traducevano le sue parole, anche quelle che non diceva, in altisonanti proclami.
Ecco qua, dicevano e scrivevano: ha parlato il garante della corrispondenza della maggioranza parlamentare con quella degli elettori.
Non capivo: quello che vedevo e sentivo era diverso da quello che i giornali e i notiziari televisivi stavano facendo vedere.
Non mi sembrava di essere in un paese normale o forse ero io a non essere normale.
Mi sono svegliato di soprassalto e ho guardato la sveglia: lunedì 31 gennaio 2029, ore 6:10.
In quel momento mi sono reso conto di averlo riconosciuto: era proprio lui.
Ho pensato che era la sconfitta della politica, anzi no: era la sconfitta dei politici, di certi cosiddetti leader arroganti e presuntuosi. Ma forse era la vittoria del buon senso. Non lo so ancora.
Mi sono alzato, mi son fatto la barba e poi la colazione e via - la borsa era già pronta - sono andato in palestra.
La città era ancora immersa nel buio, ma verso il mare, l'alba, con i suoi "rosei diti", si stava affacciando, bellissima.
Ho pensato: meno male, la realtà a volte è più bella del sogno.
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