EXCALIBUR 139 - aprile 2022
in questo numero

Transizione energetica: miti e realtà

Un futuro che è sempre più urgente disegnare

di Antonello Angioni
carbone: energia del passato
schema di funzionamento di una nave addetta alla rigassificazione
Sopra: carbone: energia del passato e schema di funzionamento di
una nave addetta alla rigassificazione
Sotto: cambiamenti sì, ma difesa del territorio
cambiamenti sì, ma difesa del territorio
Una cosa, al momento, appare certa: in Sardegna i tempi della decarbonizzazione andranno ben oltre il 2025 (data stabilita del Piano per la transizione ecologica italiana) e le centrali a carbone di Portovesme e Fiumesanto funzioneranno ancora per anni. La transizione energetica, infatti, al di là dei proclami e del decreto firmato il 31 marzo scorso dal Presidente del Consiglio dei Ministri Draghi, stenta a decollare. Invero, il primo dato che colpisce è la mancanza di una tempistica certa per la realizzazione delle opere.
Ma cosa stabilisce il Dpcm per la Sardegna? Il provvedimento, nella sostanza, poggia su due capisaldi: l'estensione all'Isola della rete elettrica nazionale e la fornitura del gas metano. Quest'ultima risorsa verrà garantita attraverso un sistema infrastrutturale composto da navi-spola e rigassificatori. Gli snodi centrali della metanizzazione saranno le unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione - in pratica due navi metaniere da installare a Portovesme (110.000 mc) e Porto Torres (25.000 mc) - e l'impianto di rigassificazione nell'area portuale di Oristano. Da questi tre punti si dipaneranno le reti che serviranno tutta l'Isola, con tariffe di distribuzione definite da Arera nei prossimi mesi. Resta l'incognita sull'eventuale rigassificatore di Cagliari, che potrebbe costruirsi «nel rispetto dei criteri di efficienza, economicità e garanzia dei tempi di realizzazione».
L'estensione del sistema dell'elettricità si basa invece sulla realizzazione del cavo Sardegna-Sicilia, compreso nel "Tyrrhenian link" (nella configurazione 500 + 500 megawatt), il progetto di collegamento sottomarino tra le due isole e il Continente. Con queste misure la Sardegna dovrebbe colmare quel gap energetico che, da sempre, ha costituito un freno allo sviluppo. In parallelo si prevede la chiusura delle due centrali a carbone di Fiumesanto e del Sulcis.
La questione dell'approvvigionamento energetico è problema complesso che, avuto riguardo alla Sardegna, è stato affrontato, nei diversi momenti storici, seguendo le tendenze del tempo. Negli anni Trenta del Novecento, quando la parola d'ordine era "autarchia", si puntò sul carbon fossile e, in funzione di quella produzione, venne fondata una grande città: Carbonia. Poi quel modello entrò in crisi e non per una diffusa sensibilità ambientale ma perché, con la graduale estensione dei mercati, il prodotto (oltre che di dubbia qualità) risultava sempre meno competitivo. In pratica era più conveniente importare il carbone che estrarlo dal sottosuolo del Sulcis.
Dopo infinite discussioni, si dovette prendere atto di tale realtà e la miniera di carbone di Monte Sinni, gestita dalla Carbosulcis, col Dpr 28 gennaio 1994 (e con le successive leggi), venne sottoposta "in via temporanea" a una serie di misure che inizialmente avrebbero dovuto portare all'assegnazione, da parte della Regione Sardegna, della concessione integrata per la gestione della miniera di carbone del Sulcis e la produzione di energia elettrica con la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica prodotta. Non se ne fece nulla e l'esercizio transitorio si avvia ora a compiere trent'anni tra l'indifferenza generale e in una confusione di fondo tra politiche di sviluppo e politiche sociali, mentre i tempi di attuazione del "piano di chiusura della miniera", predisposto in accordo con quanto previsto dalla decisione del Consiglio dell'Unione Europea n. 2010/787/EU, si sono dilatati a dismisura.
In parallelo alla chiusura della grande miniera di Serbariu, sin dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, si pensò alla "metanizzazione" della Sardegna: si pensò a una grande opera infrastrutturale che, abbattendo il costo dell'energia, avrebbe reso le nostre imprese competitive e la bolletta delle famiglie meno onerosa. Si fecero studi e progetti e soprattutto si spesero fiumi di parole. Tuttavia non se ne fece nulla e la "dorsale" del metano - che, proveniente dall'Algeria, avrebbe dovuto attraversare l'Isola per poi dirigersi in Corsica e Toscana - rimase nel libro dei sogni. Come pure rimasero nel libro dei sogni le possibili alternative.
A questo punto, alcune domande vengono spontanee: esiste, per la Sardegna, una politica dell'energia? Cosa si nasconde nel piano energetico proposto dal governo Draghi col recente Dpcm? E ancora, è possibile realizzare una programmazione energetica che possa restare valida nel lungo periodo?
Vi è poi un problema di fondo: chi deve decidere sulla "metanizzazione" dell'Isola? Chi sugli impianti energetici da fonti rinnovabili? Il Dl 31 maggio 2021, n. 77 (il cosiddetto Decreto Semplificazioni), convertito con legge 29 luglio 2021, n. 108, ha attribuito al Presidente del Consiglio il potere di individuare, con apposito Dpcm, le opere e le infrastrutture necessarie al phase out dell'utilizzo del carbone nell'Isola. Draghi pertanto gestirà la transizione sarda al metano. È vero che, prima di decidere, dovrà consultare i ministri dello sviluppo economico, della transizione ecologica e delle infrastrutture. Ma il circuito decisionale resta tutto interno al Governo nazionale. Alla faccia dell'autonomia regionale e del principio di "leale collaborazione" tra Stato e regioni.
Infatti, l'individuazione delle opere e delle infrastrutture da realizzare per la decarbonizzazione/metanizzazione della Sardegna costituisce una funzione amministrativa che ricade nella materia concorrente della "produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia". Come è stato chiarito nel 2003 dalla Corte Costituzionale, il legislatore statale può, in via eccezionale, affidare competenze amministrative al governo in ambiti di regola spettanti alle Regioni. Peraltro, ciò deve avvenire nel rigoroso rispetto di alcune condizioni tra cui la necessità che la Regione interessata venga coinvolta nel processo decisionale generatore dell'atto amministrativo. Ebbene l'articolo 31 del decreto semplificazioni, pur dichiarando espressamente la finalità di «realizzare il rilancio delle attività produttive nella Regione Sardegna», non attribuisce alcun ruolo al governo regionale sardo nella definizione e autorizzazione delle opere e infrastrutture che collegheranno l'Isola alla rete energetica nazionale.
Nel merito, la risposta ai quesiti non è semplice, in quanto i piani energetici proposti dai diversi governi nazionali sono stati in genere assai approssimativi e quasi sempre non supportati da dati aventi una validità nel medio-lungo periodo. Spesso, dietro slogan popolari (green, sostenibilità, ecc.), si respira un'aria di astrattismo mentre abbiamo bisogno di concretezza. Purtroppo c'è tanta improvvisazione. È comunque certo che l'unica possibilità di una reale politica energetica passa per la valorizzazione delle risorse locali e quindi, avuto riguardo all'Italia (e ancora di più alla Sardegna), per la graduale eliminazione delle fonti non rinnovabili di energia e la loro sostituzione con fonti rinnovabili. Come pure passa attraverso l'utilizzo dell'idrogeno che, per inciso, potrà viaggiare proprio attraverso la "dorsale" dedicata al metano. D'altro canto, il Dpcm prevede anche la conversione a gas naturale di reti esistenti a gpl e aria propanata.
Nell'attuale contesto - caratterizzato da un forte incremento del prezzo del gas e, nel quadro della crisi ucraina, dalla possibile interruzione delle forniture di gas dalla Russia - si rendono prioritarie una serie di azioni: innanzitutto l'accelerazione dell'installazione di capacità produttiva di energia da fonti rinnovabili per ridurre rapidamente la produzione delle centrali termiche; in secondo luogo il rilancio della produzione nazionale di gas naturale e di biometano; infine la diversificazione delle fonti di importazione attraverso un maggior utilizzo dei gasdotti meridionali e un aumento delle importazioni di gpl anche tramite il potenziamento della capacità di rigassificazione. Tali misure vanno accompagnate dalla riduzione dei consumi di gas, che può ottenersi attraverso l'efficientamento termico degli edifici, la promozione di una riduzione della temperatura negli ambienti interni e un maggior ricorso alle pompe di calore.
Queste verità, assai semplici, dovevano essere chiare sin dalle prime avvisaglie della crisi petrolifera (1973), ai tempi della guerra del Kippur, ma sono state sempre trascurate anche nei tempi successivi, a partire dalla crisi iraniana (fine anni Settanta) sino ai nostri giorni. Restava, è vero, la carta dell'energia nucleare, ma in Italia venne bruciata col noto referendum. Spesso ci si cullò nell'illusione che, finita la crisi, se non tutto, molto sarebbe tornato come prima o continuare come nel passato. Ora è certo che, nel presente, senza il ricorso alle fonti rinnovabili e soprattutto senza la diversificazione delle fonti, nessuna politica energetica è possibile.
Ma occorre procedere con grande cautela, perché all'ombra della transizione energetica si muove un esercito di loschi faccendieri che cerca di conquistare vaste zone della Sardegna e speculare con impianti eolici e fotovoltaici di dubbia utilità. Si fanno forti della decarbonizzazione imposta da Bruxelles e invocano la necessità di contrastare i cambiamenti climatici, ma in realtà il loro obiettivo è solo quello di lucrare il più possibile. E lo perseguono tentando di riempire l'Isola di pale eoliche e pannelli solari in cambio di una modesta (e non richiesta) percentuale di energia alternativa da immettere nella rete.
Il problema di fondo, in Sardegna, resta quello della "sostenibilità": vale a dire come far convivere la transizione energetica con la difesa del territorio, del paesaggio, dell'ambiente, della nostra cultura plurimillenaria. Occorre prestare grande attenzione, essere pragmatici ed evitare impostazioni ideologiche che non aiutano a risolvere il problema. Occorre evitare i facili trionfalismi e adottare grande cautela nella gestione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) laddove, ad esempio, consente, attraverso la modifica del codice dell'ambiente, di dichiarare come "opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti" tutte quelle utili al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Pnrr in materia di clima e di ambiente. In concreto c'è persino il pericolo che terreni agricoli utilizzati per le produzioni agroalimentari vengano espropriati. Sarebbe più logico destinare una parte dei terreni a impianti fotovoltaici sui tetti o su pensiline senza compromettere l'uso dei campi.
In questa lotta in difesa della terra occorre essere assai determinati se si vuole impedire che l'ingordigia di avventurieri, speculatori e imprenditori energetici improvvisati prenda il sopravvento. E soprattutto occorre avere il coraggio di affrontare il complesso problema energetico senza prese di posizione aprioristiche, ma con pacata considerazione delle diverse variabili presenti, con specifica competenza e con senso della realtà avendo ben chiaro cosa si può (e si deve) fare nel breve, nel medio e nel lungo termine.
Ciò da cui occorre guardarsi, con scrupolosa razionalità, è il farsi trascinare o trascinare (il che è peggio) in lotte che hanno quasi il carattere di guerre di religione o di battaglie ideologiche, laddove non vi è questione di religione o di ideologia ma solo la necessità di informarsi e informare, di discutere e confrontarsi e soprattutto di essere sinceri con sé stessi e con gli altri.
Il vasto campo dell'energia - probabilmente per le implicazioni anche politiche, oltre che tecniche ed economiche che comporta - è stato sovente palestra per discussioni ideologiche (si pensi al dibattito sul nucleare) senza, o con scarsi e imprecisi, fondamenti scientifici. È questo un lusso che l'Italia e la Sardegna in particolare non possono più permettersi.
Soprattutto, nell'effettuare le scelte, occorre collegare la politica dell'energia con la politica industriale, degli investimenti e dello sviluppo economico e civile più in generale. E occorre considerare anche le peculiarità che presenta la Sardegna e che rendono possibile la creazione di un sistema energetico innovativo in un'ottica di sostenibilità ambientale, risparmio ed efficienza energetica, con notevoli vantaggi economici e sociali per le famiglie e le imprese.
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