EXCALIBUR 142 - luglio 2022
in questo numero

"Un Occidente prigioniero" di Milan Kundera

Due interventi inediti dello scrittore ceco ancora di bruciante attualità

di Lancillotto
la copertina del libro di Kundera (Adelphi, 2022)
Sopra: la copertina del libro di Kundera
(Adelphi, 2022)
Sotto: Milan Kundera (Brno, 1929)
la copertina del libro di Kundera (Adelphi, 2022)
Opera meritoria di Adelphi che, nel suo programma di riproposizione delle opere di Kundera anche su e-book, ha dato alle stampe due interventi dello scrittore ceco, che in relazione all'attuale conflitto russo-ucraino acquistano una profetica profondità.
I due saggi sono riuniti in un piccolo volume di circa 80 pagine dal titolo significativo alla luce della storia passata e presente: "Un Occidente prigioniero".
Il primo è un discorso tenuto al IV Congresso degli scrittori cecoslovacchi nel giugno 1967 e ha per titolo "La letteratura e le piccole nazioni".
Il Congresso si tenne poco dopo la lettera aperta di Solzenicyn sulla censura in Urss e l'incontro tra gli scrittori cecoslovacchi si riverbera di una luce nuova improntata all'ottimismo.
Kundera, con un discorso di una forza e una limpidezza unica, rivendica il ruolo della cultura nel mondo ma soprattutto nelle "piccole nazioni". Il destino di queste piccole nazioni e la loro sopravvivenza dipende dalla forza dei suoi valori culturali e dal rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei "vandali", gli ideologi del regime.
È un discorso che rompe la tacita tregua solo apparente tra regime e cultura e la successiva Primavera di Praga confermerà quanto la rinascita delle arti, della letteratura e del cinema ceco avesse accelerato questa frattura.
Fu un discorso congressuale che segnò un'epoca e che, riletto oggi, mantiene inalterato il suo significato e il suo valore.
L'affermazione che l'esistenza di una nazione dipende dal progresso della cultura e che questa ha come condizione prioritaria la libertà da difendere contro i "vandali" non poteva che essere esplosiva.
È da osservare che in una piccola nazione come la Cecoslovacchia del 1967 (meno di 15 milioni di abitanti), il settimanale "Literàrny noviny" aveva una tiratura di 250 mila copie che si vendevano nell'arco di una giornata. È il periodo aureo della cultura ceca, nel quale l'emancipazione della cultura accelera il disfacimento della struttura poltica.
Durante questo Congresso, il discorso dello scrittore Pavel Kohout, che, dopo aver attaccato la politica anti-israeliana del blocco sovietico durante la Guerra dei Sei Giorni, lesse la lettera di Solzenicyn all'Unione degli scrittori sovietici, provocò la reazione di Jiri Hendrych, custode dell'ortodossia ideologica del Partito: egli abbandonò la sala passando dietro la tribuna in cui si trovavano Kundera e altri e proruppe nella memorabile frase: «Avete perso tutto, assolutamente tutto».
Il giorno successivo l'attore Vaculik nel suo intervento accusò l'avvenuta confisca del potere da parte di «un manipolo di persone che vogliono decidere su tutto», attaccò la Costituzione e stigmatizzò la crescente e opprimente censura del regime.
Era questa l'aria che si respirava a Praga nel 1967 e l'anno successivo ebbe inizio la Primavera dagli esiti tristemente noti.
Il secondo intervento di Kundera si ricollega idealmente al primo e fu pubblicato nel novembre 1983 su "Le Debat" con il titolo "Un Occidente prigioniero" suscitando un'ondata di reazioni e polemiche soprattutto in Germania e in Russia.
In questa sua piccola opera - collegata idealmente alle illusioni del 1967 - Kundera accusa l'Occidente di aver assistito inerte alla sparizione del suo estremo lembo orientale, fondamentale crogiolo culturale della sua identità.
La Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, che sono Europa e che tra il 1956 e il 1970 hanno dato vita a grandiose rivolte nelle quali era strettissimo il legame tra la cultura e il suo popolo, sono state abbandonate dall'Occidente, prigioniero di sé stesso, e lasciate sotto il tallone opprimente del blocco sovietico.
Kundera sostiene che quei tre stati hanno sempre fatto parte dell'Europa radicata nella cristianità romana, partecipando a tutte le fasi della sua storia.
«Per loro la parola Europa non è un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente».
Nel momento in cui una di queste nazioni non è più Europa, essa smarrisce l'essenza stessa della sua identità.
L'Europa geografica, dall'Atlantico agli Urali, è stata sempre divisa in due identità nette che si evolvevano separatamente: una legata a Roma e alla Chiesa cattolica con il suo alfabeto latino; l'altra connessa a Bisanzio e alla Chiesa ortodossa con il suo alfabeto cirillico.
Dopo il 1945 il confine tra quelle due Europe si è spostato a ovest di qualche centinaio di chilometri e nazioni che si sono sempre considerate occidentali si sono svegliate constatando di ritrovarsi a est.
Si sono così create tre realtà: un'Europa occidentale, un'Europa orientale e un'altra Europa dalla identità complessa: un'Europa situata geograficamente al centro, culturalmente a ovest e politicamente a est.
Una situazione contradditoria, con profonde lacerazioni nel concetto stesso di appartenenza, stritolata nel suo anelito alla libertà con la repressione dei carri armati.
I drammi che si susseguivano a Budapest, a Praga e anche a Varsavia non dovevano essere considerati un dramma dell'Europa dell'Est o del blocco sovietico o del comunismo, ma piuttosto dell'Europa centrale e quindi di tutta l'Europa.
Invece ci fu il silenzio.
L'Europa centrale voleva essere l'immagine condensata dell'Europa e della sua infinita ricchezza e rappresentare nella visione culturale di quei sognatori il "massimo della diversità nel minimo spazio", di fronte a una Russia che di contro riassumeva "il minimo di diversità nel massimo spazio".
Per Kundera l'Europa è un'unica entità, radicata nell'antica Grecia e nel pensiero giudaico-cristiano.
Le illusioni furono spezzate via con quelle primavere lontane: quei paesi scomparvero dalla carta dell'Occidente, un dramma che fu percepito da pochi. E il rumore dei cingolati che attraversavano le capitali non era un rumore di libertà ma di oppressione.
Kundera si chiede che cos'è l'Europa centrale, piccole nazioni strette tra la Germania e la Russia; nazioni che possono vedere messa in discussione la propria esistenza, che possono sparire nell'indifferenza di tutti.
«La Storia è quella dei vincitori. E i popoli centroeuropei non sono certo dei vincitori».
La scomparsa di quei paesi - ricordiamoci che scrive nel 1983 - è avvenuta in silenzio, poiché l'Europa non sente più la propria unità come unità culturale.
Infatti, su cosa si fonda l'unità dell'Europa?
Nel Medioevo si fondò sulla comune religione.
In tempi moderni la religione cedette il posto alla cultura, trovando, nella realizzazione dei valori supremi a essa legati, una ferma identità.
E ora? Come Dio cedette un tempo il posto alla cultura, oggi la cultura cede il suo.
Ma a cosa e a chi?
Il discorso sospeso di Kundera, fatto nel 1983, può essere riproposto ancora oggi.
Quali sono i valori supremi capaci di unire l'Europa? Le conquiste della tecnica? Il mercato? La politica?
«Esiste ancora, al di sopra di questo manicheismo tanto idiota quanto invalicabile, un ideale comune percepibile?».
Ma ormai l'Europa sta smarrendo il senso della sua identità culturale e vede ancora quei paesi solo in funzione del regime politico che li governa.
E la responsabilità non è della Russia ma dell'Europa.
Di fronte alle vicende che oggi attraversano quella parte dell'Europa, che pur essendo a est è sempre Europa, occorre domandarsi: l'Ucraina è Europa?
Se la risposta è affermativa occorre non ripetere l'errore commesso con l'Ungheria, la Polonia, la Cecoslovacchia.
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