Excalibur rosso

Giorgia Meloni e il trionfo della democrazia

Ci voleva una donna per ripristinare la democrazia in Italia

di Angelo Abis
il Presidente del Consiglio <b>Giorgia Meloni</b>
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni
il Presidente del Consiglio <b>Giorgia Meloni</b>
È uno scherzo della storia che il centenario della marcia su Roma abbia visto l'ascesa alla carica di presidente del consiglio Giorgia Meloni, prima donna nella storia d'Italia ad assurgere a tale carica.
Ma questo, si fa per dire, è il meno. È la prima volta che un partito di destra esprime, seppure in coalizione, il presidente del consiglio.
La definizione di Fratelli d'Italia di partito di destra è relativamente recente.
Sino agli inizi della campagna elettorale, i suoi avversari le hanno tentate tutte per collocarlo nell'area del neofascismo. Visto poi il fallimento di detta operazione hanno optato per accusare Meloni di essere impresentabile in quanto antieuropea e amica di Orban, ostile ai cosiddetti diritti civili, omofoba, ecc..
E da qui tutti a invocare una sacra alleanza nazionale e internazionale che ne impedisse l'elezione.
L'Europa, gli Usa, i cosiddetti poteri forti, Mattarella tutti coalizzati contro la borgatara della Garbatella.
Eppure ce l'ha fatta alla grande e con mano ferma si è imposta su tutti: Mattarella e Draghi premurosi e quasi complici, le opposizioni annientate e ridotte a passarle i voti sottobanco, gli alleati riottosi messi in riga come scolaretti indisciplinati, Europa e Usa, sbigottiti di trovarsi di fronte a un governo coeso e determinato abbozzano, pronti a trattare con l'Italia senza più la puzza sotto il naso. La nomea di paese tutto pizza e spaghetti se l'ha addossata, con ironia, l'Inghilterra.
Certo il successo è dovuto alle capacità e alla sagacia che ha saputo mettere in campo. C'è tuttavia un fattore che pochi hanno valutato: da almeno il 2018 si è sempre presentata come rigido custode della Costituzione e della democrazia.
Forse l'unica a non aver accettato che da trent'anni la democrazia è di fatto commissariata.
All'origine fu il potere giudiziario a mandare a casa l'ultimo governo della prima repubblica, poi si mossero i presidenti Scalfaro e Napolitano a favorire dall'alto la nascita di governi a loro graditi o a determinare, con intrighi vari, la loro caduta.
E qui entra in ballo Meloni. Quando il Presidente Mattarella, dopo le elezioni del 2018, diede l'incarico a Di Maio, obbiettò che l'incarico poteva darlo a un esponente del centrodestra in quanto più votato dei grillini. Chiese poi l'impeachment quando Mattarella rifiutò di nominare Savona ministro delle finanze in quanto inviso ai Tedeschi.
Nel corso delle crisi delle varie maggioranze parlamentari chiese insistentemente, come da Costituzione, lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate. Le fu risposto che le elezioni in periodo di crisi pandemica sono una iattura per la nazione.
Venne Draghi con il tanto decantato governo di unità nazionale. Meloni rifiutò di entrarvi, che se lo avesse fatto - disse - l'Italia sarebbe stata simile alla Corea del Nord e chiese ancora elezioni anticipate.
Quando poi le elezioni ci furono davvero il 25 settembre, la sinistra invocò ancora Draghi come il salvatore della Patria, ma il bistrattato popolo, memore forse del trattamento "cinese" a cui era stato costretto nei tre anni di pandemia, penalizzò tutti i partiti dell'ex governo e premiò la borgatara romana brutta, sporca e cattiva: è la democrazia, bellezza!