EXCALIBUR 148 - gennaio 2023
in questo numero

Papa Benedetto XVI (da Excalibur 49)

La ragione deve impegnarsi nella ricerca della verità

di Toto Sirigu
Un'immagine di <b>Benedetto XVI</b>
Un'immagine di Benedetto XVI
Il 17 gennaio 2008 il Pontefice doveva parlare all'Università "La Sapienza" di Roma: rinuncia coraggiosamente mettendo così in rilievo le contraddizioni, in tema di libertà, di parte del mondo accademico e di una parte (comunque irrisoria) degli studenti. «Un evento incongruo e non in linea con la laicità della scienza»: così, infatti, veniva giudicato l'intervento del Papa previsto al termine della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico da oltre 60 firmatari della lettera presentata al Rettore Renato Guarini. Non potevano non accodarsi a questo scandaloso appello i soliti gruppi universitari pseudodemocratici che, puntualmente, si premuravano di organizzare plateali quanto surreali proteste.
Il discorso mancato all'università veniva poi reso noto dalla Santa Sede: Il Papa rivendicava l'importanza dell'uso della ragione, di una ragione che si impegna nella questione più alta, quella della verità. Egli, a un certo punto, diceva che fa parte della natura dell'università l'essere legata esclusivamente all'autorità della verità. È proprio da qui che ne consegue la sua autonomia, la sua laicità, la sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche.
È il Papa che parla! Una sana laicità fa spazio all'uso della ragione e, dunque, fa spazio al confronto autentico nella ricerca della verità. È il pregiudizio della chiusura ideologica, è la rinuncia a pensare che chiude a tutto questo. Il Papa cita Sant'Agostino e la sua attualità quando ritiene di dover coniugare scienza e sapienza, unica modalità che ci permette di capire che l'uomo è sempre l'uomo integrale. Non è soltanto l'uomo considerato dalla tecnica come funzionale in qualche modo a essa.
È invece l'uomo che, accanto ai bisogni soddisfatti dagli strumenti della tecnica, ha esigenze spirituali, ha domande ultime, ha un bisogno di amare e di essere amato, ha una fortissima domanda di speranza.
Ebbene, anche questo è un messaggio di straordinaria importanza in un mondo come l'università, dove l'articolazione dei saperi e la specializzazione rischia, appunto, di far perdere l'unità di essi e il dialogo che fra essi deve sempre essere presente.
Ancora, il Papa, a un certo punto del suo discorso, fa un'affermazione di una forza impressionante, quando dice che lui stesso non ha la soluzione alla domanda di come si possano coniugare fino in fondo teologia e filosofia in rapporto al loro compito, che è quello di essere custodi della sensibilità per la verità. È una domanda per la quale bisogna sempre e di nuovo affaticarsi, egli dice. Mai si può risolvere definitivamente e aggiunge letteralmente: «A questo punto neppure io posso offrire una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda».
È questo un passaggio di straordinaria libertà. È il Papa, ma è anche veramente il testimone di un pensiero che si interroga, che cerca e che è, quindi, un eccellente antidogmatico, volendo usare questa formula. Cerca ragioni, domanda ragioni, si pone egli stesso in ricerca, e se la risposta da parte di alcuni è quella di chiudersi a questa possibilità, allora l'oscurantismo si vede da che parte sta: dalla parte di chi non vuol pensare.
Il compito dell'università, oggi, è alquanto confuso. Non basta che l'università, dice il Papa, prepari i giovani per le varie carriere civili e per i compiti della società civile. Il compito fondamentale dell'università è la ricerca della verità. Nel discorso, tra gli altri aspetti, il Papa cita Agostino e Tommaso d'Aquino, ma anche Socrate e Habermas. Insomma, il suo sguardo va ben oltre il pensiero cristiano. Tutto ciò rende incomprensibile il fatto che ancora in molti si ostinino a tacciare Joseph Ratzinger come chiuso e oscurantista. Ma, evidentemente, è solo l'ideologia e/o la superficialità che albergano nella testa di alcuni benpensanti.
Per essere ancor più chiari si evidenzia una dose di disinformazione che gioca un ruolo notevole, perché se consideriamo le due Encicliche di Benedetto XVI (la "Deus caritas est" e la "Spe salvi") vediamo che il riferimento alla cultura - chiamiamola così - profana è costante. Nel discorso, mancato, a "La Sapienza" ricorrono i nomi di Rawls e di Habermas, quindi filosofi contemporanei; nella "Spe salvi" il riferimento è spesso a Kant, alla Scuola di Francoforte e ad altri autori della filosofia del Novecento. Benedetto XVI mostra una conoscenza considerevole della filosofia contemporanea, e quindi una volontà di dialogo che più di una volta risulta, clamorosamente, non compresa. Questo è probabilmente un segnale, brutto, di una certa persistente chiusura preconcetta di chi non vuole informarsi in merito.
Per concludere ho scelto alcuni passi sulla Libertà e sulla Vita presenti nell'Enciclica "Spe Salvi" del 30 novembre 2007 che ritengo significativi anche per coloro che, pur non professando alcun credo religioso, cercano di incanalarsi in uno stile di vita non improntato al materialismo.

«La libertà necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente».
«La situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che a essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono. Così, pur essendo necessario un continuo impegno per il miglioramento del mondo, il mondo migliore di domani non può essere il contenuto proprio e sufficiente della nostra speranza».
«Noi abbiamo bisogno delle speranze - più piccole o più grandi - che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino».
«La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente».
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