EXCALIBUR 150 - febbraio 2023
in questo numero

Anche Cagliari onora i Martiri delle Foibe

Toccante cerimonia organizzata dal "Comitato 10 Febbraio" nel Parco Martiri delle Foibe in ricordo del sacrificio delle popolazioni giuliano-dalmate

di Fabio Meloni
la vice prefetto Dott.ssa <b>Maria Pia Garau</b>, il Sindaco di Cagliari <b>Paolo Truzzu</b>, <b>Fabio Meloni</b>, la Dott.ssa <b>Margherita Sulas</b>, Presidente del 'Comitato 10 Febbraio'
Sopra: la vice prefetto Dott.ssa Maria Pia Garau, il Sindaco di
Cagliari Paolo Truzzu, Fabio Meloni, la Dott.ssa Margherita Sulas,
Presidente del "Comitato 10 Febbraio"
Sotto: panoramica della cerimonia
panoramica della cerimonia
Il "Comitato 10 Febbraio" ha voluto ricordare come siano trascorsi 80 anni dai primi infoibamenti, avvenuti nei mesi di settembre e ottobre 1943, all'indomani dell'armistizio/ribaltone dell'8 settembre, che consentì ai partigiani comunisti di Tito di occupare l'Istria e scatenarsi contro gli Italiani del confine orientale. Una triste avvisaglia di quello che sarebbe accaduto nuovamente e con maggior ferocia nel 1945, dopo il ritiro dei Tedeschi e la fine della guerra.
«Ucciderne uno per farne scappare cento», con questa frase, coniata dal giornalista Toni Capuozzo, si possono sintetizzare le due tragedie italiane che, dal 2004, vengono celebrate il 10 febbraio nel "Giorno del Ricordo", istituito per legge grazie al voto (non unanime, perché ci furono i voti contrari dei rappresentanti di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani) del Parlamento Italiano.
Grazie a quella legge, da 19 anni, il ricordo dei Martiri delle Foibe e dei protagonisti dell'Esodo giuliano-dalmata ha finalmente una data ufficiale che consente di ricordare ogni anno le dolorose vicende vissute nel confine orientale da tanti Italiani che, tra il 1943 e il 1947, prima erano stati vittime della pulizia etnica anti-italiana, attuata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito, e poi furono cacciati dalle terre (Istria, Fiume e Dalmazia) "regalate" alla Jugoslavia.
Il bilancio può essere considerato positivo: c'è finalmente una data ufficiale che ogni anno consente di ricordare quelle dolorose vicende; decine e decine di vie, piazze e parchi sono stati intitolati ai Martiri delle Foibe; istituzioni e scuola hanno compiuto alcuni passi importanti, seppure ci sia ancora tanto da fare e da pretendere. Appena 19 anni di celebrazioni perché, per oltre mezzo secolo, su questo terribile capitolo della storia italiana era calato un interessato silenzio per cancellare Foibe ed Esodo dalle pagine di storia, tra colpevoli negligenze dei governanti democristiani, preoccupati dai rapporti internazionali, e pesanti responsabilità dei comunisti, che, per bieca obbedienza ideologica, erano stati moralmente complici dell'uccisione di 10 mila tra donne, uomini, vecchi e bambini gettati, spesso vivi, nelle cavità dell'altopiano carsico per la sola colpa di essere Italiani. Tra le vittime oltre 140 Sardi, soprattutto minatori e militari.
Ora che il velo del silenzio è stato squarciato e quei tragici fatti sono finalmente riemersi, i negazionisti (esiste una ricca "letteratura" in merito: l'esponente più noto è Eric Gobetti, autore del volume "E allora, le foibe?", che ritiene si tratti di un «argomento marginale da un punto di vista storico» e che ha trovato ospitalità anche in alcuni convegni in Sardegna), disposti a sacrificare la verità sull'altare del fanatismo ideologico, hanno ripiegato su giustificazionismo e riduzionismo. Come se i fatti accaduti precedentemente potessero giustificare simili atrocità (chi ha avuto l'opportunità di vedere il film "Red land. Rosso Istria" di Maximiliano Hernando Bruno si è fatto un'idea del clima di quegli anni) o il numero delle vittime potesse stabilire un'ignobile classifica dei crimini contro l'umanità. Un crimine descritto tragicamente dallo scrittore Carlo Sgorlon: «La foiba faceva sempre pensare al sangue, all'ossario, alla macelleria, al lancio dei vivi e dei morti nell'abisso. Negli inghiottitoi si buttava la roba che si voleva eliminare, togliere per sempre dalla vista e magari anche dalla memoria».
È sempre più evidente quale sia il punto debole di una ben nota storiografia nazionale. Hanno il terrore di dover ammettere che insieme ai partigiani slavi combatterono anche quelli italiani; che il Partito comunista italiano era subalterno a quello slavo; che i comunisti italiani, per la loro vocazione internazionalista, tifavano per il maresciallo Tito e per Stalin, allora ancora alleato del comandante slavo; che durante l'Esodo si verificarono episodi come il "treno della vergogna", quando, alla stazione di Bologna, i ferrotranvieri della Cgil versarono sui binari il latte riservato ai bambini in arrivo dal confine orientale. Tanto terrorizzati che, ancora oggi, negli articoli del 10 febbraio che rievocano il "Giorno del Ricordo" sui quotidiani "La Stampa" e "La Repubblica" si parla di «soldati jugoslavi del Maresciallo Tito» o di «vittime della deportazione titina». Qualsiasi riferimento al comunismo è rigorosamente vietato e abilmente evitato.
Il clima di quegli anni e il criminale progetto di pulizia etnica del maresciallo Tito, non solo verso gli italiani, è testimoniato anche dalla recente scoperta, grazie a una massiccia campagna di scavi effettuata nell'area dell'altipiano carsico sloveno, di oltre 700 foibe, dove, dopo la guerra a causa della repressione del regime comunista slavo, finirono, secondo lo storico Raoul Pupo, tra i più "prudenti", 70 mila vittime (qualcuno si spinge fino a 100 mila), prigionieri di guerra sloveni, serbi e croati che avevano combattuto dalla "parte sbagliata". I partigiani di Tito trasformarono i boschi della Slovenia in un gigantesco cimitero a cielo aperto, a riprova delle orribili abitudini degli uomini con la stella rossa sul berretto.
Alla morte scamparono i 350 mila Italiani che decisero di abbandonare la propria terra e i propri beni perché «gli esuli, schiacciati dalla persecuzione, compresero che sotto quel regime terroristico non sussistevano le possibilità di vivere né da Italiani, né da cristiani, né semplicemente da uomini» come disse nel 1964 il sindaco di Trieste, l'Istriano Gianni Bartoli. Con l'Esodo fu completato il totale annientamento della cultura e della lingua italiana in quelle terre.
Eppure, esiste ancora chi ha il coraggio di negare l'intitolazione di una strada a Norma Cossetto (24enne istriana torturata e violentata, poi gettata in una foiba nel 1943); a ridosso del 10 febbraio si assiste alla distruzione di targhe o lapidi dedicate ai Martiri delle Foibe; qualche insegnante o dirigente scolastico si rifiuta di ottemperare alle circolari ministeriali sulla divulgazione di questa tragica pagina di storia.
Esistono docenti, come Christian Raimo, che trovano ospitalità su un quotidiano nazionale ("Il Domani") per definire «un'esperienza tra il disturbante e il ridicolo» la visione del film "Red land", accusando Rai3 di «prestarsi alla propaganda di destra». Sembra intoccabile la più alta onorificenza della Repubblica italiana (cavaliere di gran croce al merito con gran cordone) concessa al maresciallo Tito nel 1969 dall'allora presidente Giovanni Saragat e consegnata, durante una solenne cerimonia a Belgrado nel 1971, con contorno di abbracci e brindisi, nelle mani sporche di sangue italiano del Presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia. Addirittura in alcuni comuni italiani si trova una via intitolata a Josip Broz (Tito), tra questi anche Nuoro. Nel prossimo sabato 10 febbraio 2024, la strada del Capoluogo barbaricino potrebbe diventare sede di una grande cerimonia per il Giorno del Ricordo, così da dare ampio risalto, anche mediatico, alla tragedia delle Foibe e al conseguente Esodo giuliano-dalmata.
Seppure il bilancio di questi 19 anni si possa considerare positivo, il "Comitato 10 febbraio" dovrebbe proseguire la sua azione a favore della Verità, non solo in occasione della ricorrenza annuale, ma dovrebbe calendarizzare adeguate incursioni anche durante il resto dell'anno: convegni, dibattiti, presentazioni di libri, proiezione di film, approfondimenti all'interno delle scuole, documenti all'interno degli enti locali. Con l'obiettivo, senza farsi imbrigliare dai condizionamenti ideologici, di affermare la Storia come unico riferimento, restituendo dignità alla Verità, quella che per decenni è stata calpestata, mistificata colpevolmente e cancellata vigliaccamente. Non un'ambiziosa (e impossibile) memoria condivisa, ma almeno il riconoscimento di una verità storica disconosciuta per troppi decenni.
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