EXCALIBUR 3 - maggio 1998
in questo numero

Flessibilità e trentacinque ore

di Marco Peddis
L'accordo del luglio 1993 comporta responsabilità, vincoli e comportamenti coerenti per i soggetti che, come l'U.G.L. (allora C.I.S.N.A.L., n.d.s.), lo hanno sottoscritto. La "concertazione" non può essere rimessa in gioco, come vorrebbe la Confindustria, usando il pretesto della riduzione dell'orario settimanale di lavoro imposta per legge.
Il minacciato blocco dei rinnovi contrattuali è un'altra possibile conseguenza dell'irrigidimento dei rappresentanti dei datori di lavoro, che cercano così di recuperare spazi contrattuali.
Se consideriamo che lo schieramento intellettuale-economico mondiale ritiene che una riduzione tout court dell'orario comporterebbe un aumento dei costi e una diminuzione della produttività, abbiamo un quadro piuttosto negativo dei riflessi che tale riduzione comporta.
L'imposizione per legge è sicuramente un danno sia perché ridimensionerebbe il ruolo contrattuale del sindacato, sia perché la fissazione della data al 2001 non lascia margini alle piccole e medie aziende di organizzare un recupero della flessibilità e della produttività.
Il miglior sistema rimane dunque quello della contrattazione, che già ha portato riduzioni d'orario in diverse categorie.
La proposta di Morese, numero due della C.I.S.L., di bloccare per un anno gli aumenti salariali da recuperare in sede di contrattazione decentrata, per avere parità di salario a orario ridotto, può essere ritenuta valida solo per le poche aziende che hanno la contrattazione decentrata.
È insomma un autogol per il governo dell'Ulivo, a detta di tutto lo schieramento politico del centrodestra e per grandi frange della maggioranza governativa.
Limitatamente alle grandi aziende invece è possibile prevedere sensibili recuperi della produttività necessari e conseguenti al taglio d'orario, flessibilizzando il lavoro almeno in quei reparti produttivi dove già oggi sono impiegati lavoratori a turno e dove più grande è l'innovazione tecnologica.
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