EXCALIBUR 14 - novembre 1999
in questo numero

Pigliaru e gli studi su Gentile - II parte

Breve biografia di un personaggio controverso per il suo percorso politico, ma interessantissimo per i suoi studi approfonditi sul filosofo Giovanni Gentile

di Angelo Abis
Nel 1957 pubblica il saggio "Considerazioni sulle riviste dei G.U.F.", che Marina Addis Saba, autrice di due interessanti volumi, "Gioventù Italiana del Littorio" e "Dibattito sul Fascismo", nella prefazione al volume "Scritti sul Fascismo" di Pigliaru del 1983, così definisce: «Questo breve lavoro merita di essere esaminato per l'enorme quantità di intuizioni, di suggerimenti, di ipotesi che solo più tardi la storiografia ufficiale farà propri [...] Il particolare merito di Pigliaru fu quello di indicare la maturità in cui essa (la generazione del Littorio) era pervenuta nel vivere attivamente e con mentalità critica entro il regime, nel tracciare l'ampiezza culturale in cui essa si era mossa, dalla politica all'arte, dalla letteratura alla musica, al teatro, al cinema».
Probabilmente sul finire degli anni '50 Pigliaru approda a un antifascismo estremo e radicale con una condanna non solo del regime, ma anche della dottrina. In occasione di un attentato dinamitardo contro una lapide ricordante il 25 luglio così scrive su "Sardegna Oggi": «Siamo giusti, cosa abbiamo fatto noi della "Generazione di Mussolini" per trasmettere ai nostri fratelli minori, a questi nostri primi figli, la lezione della nostra esperienza, il bilancio reale della nostra giovinezza? All'indomani eravamo stanchi e mortificati, carichi di vergogna e di superbie inutili, forse sbagliate, vittime e insieme carnefici di una devastazione che era stata profonda anche in noi [...]. L'accusa di incoerenza. Il sospetto del tradimento. La crisi dell'amicizia [...]. Siamo stati fascisti? Non chiedetemi (per darmi un alibi) a quale età. Erano gli anni che contavano; e se nel '42 eravamo sul punto di una scelta diversa, peggio per noi, peggio per me, se rinviando tutto al momento giusto, ho in effetti rinviato tutto al momento sbagliato, al momento della fine [...]; eccoci qui: non possiamo riscattarci dal fascismo, se non denunciando questo preciso peccato d'origine [...]. Il fascismo non sa essere neppure violenza [...]. Vero socialismo? Vera democrazia? Sintesi di pensiero e azione? Niente di niente, state attenti, è la mistificazione di tutto».
Negli anni '60 Pigliaru approda a una forma di socialismo cristiano pacifista. È contro la guerra: «La guerra, ogni guerra, è il portato di null'altro che una somma di infedeltà alle ragioni della vita», si batte per l'obiezione di coscienza a cui dà una rigorosa giustificazione etica e giuridica, vedi lo scritto "Promemoria sull'obiezione di coscienza".
È un infaticabile organizzatore, in quel di Sassari, di numerose attività culturali. Famosi i suoi "Dibattiti del sabato". In uno di questi, dedicato alla Cina Popolare coinvolge anche Ugo Spirito, il filosofo allievo di Gentile, il cui percorso politico e intellettuale ha molti tratti in comune con quello di Pigliaru.
Ma il suo impegno politico (ma non di partito, poiché Pigliaru non aderì mai a nessun partito), fu soprattutto in ordine ai problemi della Sardegna. Nel 1959 pubblica il suo libro più importante che lo farà conoscere non solo in Italia ma anche all'estero: "La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico" (Pigliaru era professore di "Dottrina dello Stato" nell'Università di Sassari). Con questo libro, Pigliaru pone in termini umani la questione sarda e, per dirla con Manlio Brigaglia, «faceva della questione sarda il problema dei rapporti tra la comunità isolana e lo Stato. Uno Stato che, diceva Pigliaru, non ha titolo di essere Stato se non è capace di farsi riconoscere anche dalla più diseredata e marginale delle sue comunità. Lo Stato è assente in Barbagia, dice Pigliaru, assente "nel senso di Stato come libertà, come strumento o ipotesi di liberazione, come strumento o ipotesi di giustizia reale". Può essere facile sottolineare, come ha fatto Domenico Corradini, che questo Stato così invocato assomiglia molto ancora allo Stato Etico di Gentile».
Alla fine degli anni sessanta i grandi temi che avevano entusiasmato Pigliaru, l'unità delle forze autonomiste laiche, cattoliche e di sinistra, il piano di rinascita, il ruolo centrale dell'intellettuale nello sviluppo, dell'autocoscienza del popolo sardo, il riformismo scolastico, lo stesso antifascismo come pedagogia alla democrazia e alla tolleranza, entrano profondamente in crisi.
A partire dal 1968 bussa alle porte la generazione degli "anni facili" cresciuta nei miti del benessere, del progressismo e dell'antifascismo. Ma questa generazione, così come a suo tempo quella degli "anni difficili" di Pigliaru, considera "mistificatorio" il regime in rapporto ai valori a cui si richiama: mistificazione è questa democrazia e questo Stato, sovrastrutture manovrate da ristretti gruppi capitalisti nazionali e multinazionali. Esse vanno rovesciate con la violenza rivoluzionaria (il vero socialismo), vanno abbattuti i servi di tali sovrastrutture: carabinieri, magistrati, professori (i veri fascisti). Questa enorme discrasia fra ideali che la generazione del '68 vuole portare avanti e il regime in cui essa vive concretamente produrrà infine quella triste stagione del terrorismo, delle brigate rosse, delle centinaia di morti ammazzati, dell'annichilimento di un'intera generazione nel fenomeno della droga.
Come agì Pigliaru di fronte al '68? Ce lo dice un suo allievo "sessantottino", Guido Melis: «In ogni caso l'impatto tra un intellettuale tanto intimamente legato al dibattito politico-culturale degli anni precedenti come era Pigliaru e la cultura del '68 fu aggravato dalla coincidenza con le trasformazioni della politica culturale dei secondi anni '60 [...]. In un certo senso, rifiutando di cavalcare la tigre della contestazione Pigliaru tendeva a impedire una rottura [...], a riaffermare una continuità che valesse a impedire l'incolumità generazionale che andava ormai profilandosi».
Morì il 27 marzo del 1969, durante una dialisi. Nel suo studio «gli scaffali colmi di libri, il manifesto del "potere agli studenti", un piccolo ritratto di Giovanni Gentile, il Crocifisso».
Bibliografia.
- "Saggio su Giovanni Gentile", Edizioni del "Corriere dell'Isola", Sassari 1949, pagg. 1-32; - "... E suscitatore di interessi ancora vivissimi", su "Rinascita sarda", 25 aprile 1949, pag. 3; - "In tema di lavoro e di cultura", in "Giovanni Gentile, Quaderni di iniziative culturali", Gallizzi, Sassari, 1953, pagg. 44-48; - "Esercizio primo sulle varianti di "I fondamenti della filosofia del diritto"", in "Giovanni Gentile", a cura di A. Vettore, La Fenice, Firenze 1954; - "Gentile e la politica", su "Abc", 16 aprile 1954, pagg. 14-16; - "Studi sul pensiero di G. Gentile: a) fondazione morale della democrazia, b) il lavoro e il nuovo umanesimo", su "Studi sassaresi", vol. XXV, fasc. II-III-IV, 1954, pagg. 89-145; - "Studi gentiliani in un recente convegno", su "Abc", maggio 1955, pagg. 14-15; - "L'esistenzialismo positivo di G. Gentile", su "Rivista internazionale di Filosofia del diritto", settembre/ottobre 1956, pagg. 666-681.;
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