EXCALIBUR 16 - febbraio 2000
in questo numero

Onore a Biggio!

Le bugie dell'Italia partigiana, che dopo mezzo secolo non hanno ancora perso il vizio. E se li querelassimo per falso ideologico?

di Isabella Luconi
Le parole che si usano per esternare un sentimento sono sempre le stesse e come tali retoriche e abusate, ma non trovo altro modo di esprimere ciò che ho provato leggendo l'articolo apparso su "L'Unione Sarda" di sabato 5 febbraio 2000: un profondo viscerale disgusto. Un breve cenno al contenuto, qualora fosse sfuggito alla lettura. La Giunta comunale di Sant'Antioco decide di intitolare la nuova Biblioteca comunale a un ex repubblichino della Decima MAS, Giovannino Biggio, Eroe di Guerra in Africa, dove aveva perso una gamba in battaglia, e insignito della Medaglia d'Argento. Immediata la reazione querula e arrogante dei partigiani attraverso un duro documento firmato dal loro presidente Dario Porcheddu. Porcheddu scrive che la scelta della Amministrazione di Sant'Antioco è un'offesa a tutti coloro che sono morti per la libertà della nazione: «i fascisti possono cambiare nome [...] ma rimangono sempre arroganti e prevaricatori». Il documento continua descrivendo la figura di Giovannino Biggio come «uno spietato assassino fascista, il quale in qualità di responsabile della sicurezza della Fiat Lingotto, durante gli scioperi del '44/'45, con il suo fanatismo fascista, spiava e consegnava ai Tedeschi della Gestapo decine di operaie e operai». Se è vero, come dice Dario Porcheddu, che i fascisti cambiano nome ma rimangono arroganti e prevaricatori, è anche vero che i partigiani comunisti non hanno bisogno di cambiare nome, perché in Italia è assassino solo chi è di destra; ma sono stati i partigiani ad aver ammazzato Giovannino Biggio il 14 aprile 1945 nel locale della caserma Montegrappa dopo averlo attirato in un'imboscata, insieme ai suoi uomini... e per questo gesto i partigiani sono considerati eroi. Ma quando l'eliminazione fisica non è sufficiente, quando si corre il rischio che la gente sappia la verità, che porti rispetto a un Eroe al quale è giusto dedicare una biblioteca allora, eccoli là, gretti, meschini, bugiardi e potrei usare altri termini, senza paura di querele o smentite, perché la verità è incontestabile e documentata.
Sappia, ma lo sa bene, il caro partigiano Porcheddu, che le cose alla Fiat Lingotto non sono andate come lui spudoratamente afferma, e questo non perché lo dico io, militante di Destra, ma è una verità resa come testimonianza (al processo contro Julio Valerio Borghese) dal Presidente dell'Unione Industriali del Piemonte, dirigente della Fiat, Giancarlo Camerana. Inutili i commenti, riportiamo integralmente il testo:
«Avendo la carica di Presidente dell'Unione Industriali del Piemonte, mi dovetti seriamente preoccupare di alcuni inconvenienti e minacce gravi che si profilavano contro l'industria. Da una parte la minaccia germanica di far saltare per aria ogni singola macchina dei nostri stabilimenti in caso di ritirata [...], dall'altra parte l'insicurezza delle vie di comunicazione, che rendeva ogni giorno più precario il rifornimento di materiali e viveri per gli operai dei nostri stabilimenti periferici: i numerosi camion che erano adibiti a questi compiti venivano spesso aggrediti e depredati dai banditi [...]. Fu per ovviare a queste difficoltà che pensai di rivolgermi al Comandante Borghese. Lo conoscevo da anni come persona seria e di massima fiducia; d'altra parte nessuno meglio dei marinai della X Flottiglia Mas, a tutti ben noti per la loro perfetta apoliticità, avrebbe potuto svolgere tali compiti mantenendosi completamente estraneo alla triste guerra civile in corso tra partigiani e fascisti».
Continua la testimonianza di Giancarlo Camerana:
«Nel settembre 1944 ebbi con Borghese un abboccamento all'albergo Principe di Piemonte di Torino [...]. Ricordo esattamente la sua risposta: "Salvare un'industria di importanza nazionale come la Fiat è un dovere per noi tutti. Se non sarò comandato, io non farò sparare sui Tedeschi finché siamo alleati; ma quanto a far saltare la Fiat, stia tranquillo che questo lo impediremo con assoluta certezza". Il Comandante Borghese mantenne la promessa [...]. Durante tale periodo alcuni uomini della Decima caddero nel compimento del loro lavoro. Fra i marinai e le maestranze della Fiat non avvenne mai il minimo incidente e i rapporti furono cordialissimi. A conclusione posso dire che l'opera svolta da Borghese fu oltremodo utile alla causa nazionale, impedendo di fatto cospicue distruzioni a fabbricati, macchinari e automezzi. Tale prestazione fu fatta per puro spirito nazionale».
E allora basta con le bugie, risparmiateci queste dimostrazioni di avvilente asservimento a un'ideologia che per fortuna sta crollando mostrando al mondo il suo volto spietato, ma che purtroppo in Italia, grazie anche ai vostri parziali giudizi storici, è al potere e ci impone le sue verità.
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