EXCALIBUR 24 - febbraio 2001
in questo numero

Europa e integrazione

di Ernesto Curreli
In tempi ormai brevi l'Unione Europea allargherà i confini dell'integrazione economica alle macroregioni di confine. A est abbatterà le barriere doganali con i Paesi del "P.E.C.O." (Paesi Europa Centro Orientale), a sud si allargherà verso i Paesi del "M.E.N.A." (Middle East and North Africa).
Gli accordi di "partnerariato" sono già firmati e i contraenti vogliono accelerare i tempi. L'Europa desidera una preminenza ai margini del suo impero commerciale, prima che vi prendano piede gli U.S.A. e la Cina, gigante emergente. Gli aspiranti associati, dal canto loro, pensano di scontare all'ombra della U.E. rilevanti vantaggi economici. L'Europa industrializzata del nord, non dovendo più scontare pesanti dazi d'esportazione, riuscirà finalmente a conquistare un immenso mercato, composto da una popolazione certo priva di grandi capacità di consumo ma che è pur sempre un grande bacino d'utenza, rappresentando più del doppio della popolazione U.E.. Le regioni agricole dell'Europa del sud possono anch'esse stare tranquille: per ora gli Stati del Mena, per divieto contrattuale, non potranno esportare in U.E. i loro prodotti agricoli.

Gli scenari inquietanti dell'integrazione con i Paesi ai margini dell'Europa dei Mercanti.
Il divieto sembra studiato per mettere al riparo le aree agricole del nord: l'"eurocentrismo" dell'asse Parigi-Berlino - al di là dei battibecchi di Nizza - è sempre vigile per impedire turbative nei mercati "sensibili" di Francia, Germania, Belgio, Olanda. D'altronde, come potrebbe la Tunisia esportare prodotti agricoli verso la U.E.? La Francia da più di dieci anni esporta pollame da batteria proprio in Tunisia, che vanta una buona produzione di carni bianche destinate al mercato interno e d'area. Dov'è il trucco, allora? Non potrebbe incrementare la produzione per destinare le eccedenze all'estero? Il fatto è che i Francesi rifilano loro ottimi polli, che però dopo due anni hanno il difetto di non potersi riprodurre, proprio perché sono stati geneticamente modificati. E quindi i Tunisini sono continuamente costretti ad acquistare dalla Francia: per i polli (ma non solo per quelli) sono "francodipendenti".
Piccoli trucchi del capitalismo, si dirà. Il problema è che questi trucchi, per astuzia o per necessità, presto verranno messi in pratica anche dagli Stati più deboli. Intanto c'è da dire che la U.E. ha imposto agli aspiranti partners una serie di riforme istituzionali ed economiche, pretendendone l'attuazione in pochissimi anni. Quelle istituzionali, manco a dirlo, riguardano la "democratizzazione" dei sistemi politici: libere elezioni, partiti, parlamenti, governi, garanzia dei diritti umani fondamentali. Quelle economiche sono ugualmente ispirate al modello liberista della U.E.: libero mercato, apertura alle imprese straniere, privatizzazione delle strutture economiche. Insomma, si pretende che in pochi anni realizzino un modello di sviluppo che l'Occidente ha costruito in due secoli.

Le responsabilità della sinistra - i "trucchi" per sopravvivere.
L'Europa, nell'incoscienza demagogica della sinistra che la governa, si sta assumendo una responsabilità: è facile intuire cosa accadrà in Paesi lontani anni luce da quell'impostazione politica, governati da sistemi in cui prevalgono sentimenti religiosi che determinano istituzioni teocratiche particolari. Assisteremo a una ripresa dell'integralismo islamico e a grandi sconvolgimenti sociali. È il prezzo che pretendiamo per "integrarli".
Ancora più facile è immaginare cosa accadrà per le trasformazioni economiche. Non c'è un solo Stato, tra quelli del P.E.C.O. e del M.E.N.A., che non si tenga in piedi grazie alle entrate doganali.
E non ce n'è alcuno che non controlli direttamente l'assetto produttivo interno. Non bisogna meravigliarsene: come erano strutturati economie e bilanci della maggior parte degli Stati europei fino agli anni Ottanta dello scorso secolo?
La cosiddetta "Area di Prosperità Condivisa" rischia di esser "goduta" dalla U.E. e subita dai Paesi integrati. Per fare ancora un esempio legato alla Tunisia, già da tempo questa può esportare nella U.E. tutti i manufatti che vuole (pochi, tuttavia, e di scarsa qualità) senza pagare tariffe doganali. L'Europa, al contrario, finora ha dovuto scontare i dazi alla sua frontiera. Si impone la reciprocità, non c'è che dire. Ma la Tunisia, con quei dazi, formava ben il 70% del proprio bilancio statale, al pari di quanto fanno Algeria, Marocco e tanti altri Paesi. La perdita netta di tariffe costringerà quei governi a sacrificare le già esili risorse destinate al mantenimento di un embrione di welfare (sanità, istruzione, assistenza sociale) e il contraccolpo andrà ad accendere nuove tensioni sociali.
La privatizzazione dell'economia statale, inoltre, non sarà senza strascichi. L'Algeria controlla direttamente il 40% delle imprese, l'apparato statale egiziano ne controlla una percentuale ancora più alta. Prive di tecnologie, di fattori produttivi e, soprattutto, di mercati esteri, come potranno sopravvivere una volta privatizzate?
Ma la sinistra U.E. tira dritto, non vuole guardare oltre il proprio naso, come fa per il problema degli immigrati. Vuole il metano algerino, e spera di averlo a buon prezzo grazie alla partnership.
È allo studio un grandioso progetto: un metanodotto attraverserà il mare, raggiungerà la Sardegna e la Corsica e da lì approderà in Toscana. L'Algeria è d'accordo, afferma che il prezzo sarà buono. Quando si renderà conto che più della metà delle entrate di bilancio verranno perdute, allora metterà mano al prezzo del metano. Come per il petrolio, saremo ancora monodipendenti da fonti energetiche, senza poter incidere sul prezzo di mercato. È già accaduto con la Russia, secondo produttore mondiale di metano (35%) dopo l'Algeria (45%). L'orso russo si dibatte in una crisi profonda dopo le privatizzazioni. Dalle ceneri del Ministero sovietico del gas è nata la Promogas, che monopolizza produzione e distribuzione. Il governo ha pensato bene di imporle una tassa spaventosa, pari a circa 6.000 miliardi di dollari, cifra che corrisponde al 30% delle intere entrate del bilancio russo.
Cosa ci si può attendere imponendo agli Stati simili accordi? La Romania fin dal 1993 ha firmato intese per l'eliminazione totale dei dazi e da gennaio 2001 questi dovevano sparire del tutto. Bucarest, in realtà, dopo gli accordi ha aumentato i dazi in modo da limitare le perdite che progredivano. Tuttora protegge il suo vino con un dazio superiore al 100% del valore del prodotto importato. E con l'inflazione al 31% non può sperare in altre risorse, tant'è che il governo aumenta arbitrariamente il "prezzo minimo" di alcuni prodotti per rendere inutile l'offerta straniera.

Le nuove ondate migratorie.
Ci saranno destabilizzazioni, dolorose riconversioni economiche, pesanti disagi sociali. C'è da attendersi anche una più sostenuta ondata migratoria in conseguenza di quei dissesti economici "graziosamente favoriti" dalla U.E.. Tra vent'anni, per di più, le proiezioni demografiche prevedono nell'area M.E.N.A. un aumento della popolazione, che passerà dagli attuali 150 milioni a ben 300 milioni, con la necessità di creare qualcosa come 100 milioni di nuovi posti di lavoro.
Uno scenario inquietante, che i governi di sinistra della U.E. minimizzano. È perciò urgente che le destre europee si facciano carico del problema, tentando di riformulare il calendario di integrazione a vantaggio dei Paesi deboli di P.E.C.O. e M.E.N.A.. È necessario dar loro più tempo per le riforme, che devono essere certo improntate alla democrazia e alla libertà economica ma pur sempre tenendo conto delle loro diversità storiche e culturali.
Occorre anche che la destra affronti il problema del debito estero dei Paesi emergenti, poiché la sinistra continua a gestire il problema con la solita demagogia parolaia. Nel 2000 i programmi di aiuto del Med hanno trasferito in Nord Africa e Medio Oriente appena 800 miliardi di lire, ossia una somma pari a quella del bilancio comunale di una qualsiasi città italiana di duecentomila abitanti. È ridicolo pensare di poterli aiutare con la propaganda.
Sempre con vuote parole la sinistra dichiara di voler "aiutare" gli immigrati. Ma i suoi governi non riescono a gestire una vera politica integrativa. Spetterà ai nuovi governi di destra tentare di porre rimedio a questa politica immigratoria criminale, che è destinata ad aggravarsi. Come ha dovuto fare il governo spagnolo di Aznar, dopo le rivolte scatenate da elementi xenofobi nel febbraio 2000 nelle regioni di Murcia e di Cartagena, dove gli immigrati da più di dieci anni lavoravano nei campi in condizioni di servitù. Ha dato ordine ai sindaci e alle autorità provinciali di fornire immediata assistenza sanitaria, di stampare istruzioni sanitarie e scolastiche in arabo, di costruire dignitose residenze. Dopo che la sinistra aveva creato, come in Italia, i disagi che ben conosciamo.
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