EXCALIBUR 29 - settembre 2001
in questo numero

Globalizzazione sì, ma...

Spunti di riflessione in positivo e in negativo sul principale fenomeno mondiale del futuro prossimo venturo

di Toto Sirigu
Globalizzazione è apertura: beni materiali e immateriali (le identità spirituali di persone e comunità), servizi e transazioni finanziarie non possono più essere compressi in una ottica nazionale: valicano i confini nazionali. È per certi aspetti questo il villaggio globale: una nuova modalità aggregatrice di persone che si aggiunge a quelle già esistenti: le tribù, il paese, la città, la regione, la nazione, la comunità europea. È incontrovertibilmente un'opportunità per avvicinare tra loro popoli diversi. Chi lo può negare? Una delle caratteristiche, balzante all'occhio almeno in questa fase, è che questo arricchimento avviene senza la necessità di spostarsi materialmente dal luogo in cui si sta abitualmente.
La causa dell'esistenza della globalizzazione la conosciamo tutti, ma è importante ripetercela sempre: lo sviluppo della tecnologia. È quindi l'Uomo - il suo ingegno, la sua voglia di ricerca, il suo voler costruire e superare continuamente gli ostacoli d'ogni tipo - e non un disegno oscuro ordito da chissà quale potere mefistofelico, che in questi anni ha portato avanti il processo, interminabile, di abbattimento delle barriere dell'incomunicabilità tra le genti.
Ecco perché "ieri" non c'era la globalizzazione ed "oggi" invece c'è. Per chi è appassionato di disquisizioni terminologiche, consiglio la tesi, ripresa da Emma Bonino e altri, secondo cui la presenza del fenomeno della globalizzazione non è mai venuta a mancare in tutto il cammino dell'uomo.
Potrei chiudere qui: signori, c'è la globalizzazione, un nuovo fenomeno, è sinonimo di apertura tra i popoli, è un'opportunità in più per tutti, chi la vuole sfruttare la sfrutti! E invece no: G8, scontri duri di piazza col morto, multinazionali contestate aspramente. C'è, lo dico con una semplice espressione, chi protesta. E dietro la protesta c'è un arcipelago di persone, gruppi e associazioni. Laici, cattolici, anarchici, comunisti, elementi di sinistra che si battono su fronti diversi (ambiente, salute, povertà, qualità della vita, cultura, politica e istituzioni), ma con un solo slogan, «un mondo diverso è possibile». È evidente, allora, che in questa fase storica è in gioco non tanto il "fenomeno globalizzazione" quanto il modo di governarlo; è posto, da questi movimenti, un interrogativo sul futuro sociale di questo mondo sempre più piccolo. Riassumendo: più apertura, più opportunità fanno rima, probabilmente, con più consapevolezza (in capo ai popoli del "Primo Mondo": sono questi che protestano, anche perché quelli del Terzo Mondo devono pensare esclusivamente a sfamarsi, almeno per ora) della drammaticità degli antichi problemi, quelli scaturenti dal rapporto problematico tra il nord e sud del mondo.
È impossibile, per una mia insufficiente conoscenza al riguardo e comunque per motivi di spazio, entrare nel merito delle elaborazioni di ciascun gruppo. Possiamo però mettere in rilievo alcuni elementi: costoro hanno deciso di costruire un nuovo spazio dell'agire politico-culturale che va oltre i confini nazionali: persone, gruppi, associazioni hanno deciso di stare insieme contro un nascente "potere globale" sia di tipo politico che economico. In altre parole, ci troviamo dinanzi alla lotta di chi vuole, dal basso, partecipare e decidere contro pochi soggetti potenti che pretenderebbero di tracciare le sorti del mondo per i prossimi anni. Ad esempio eliminare il G8, inteso come "incontro illegittimo tra i paesi più ricchi del mondo", è uno dei loro obiettivi comuni.
In questo quadro d'insieme, il "popolo di Genova" ha espresso la ferma intenzione di voler intervenire in questa evoluzione inevitabile del processo politico sovranazionale. Riusciranno a divenire degli interlocutori dei "potenti"; influenzeranno le loro decisioni? Vedremo! Falliranno sicuramente se nel movimento prevarrà la logica del conflitto violento.
Ne approfitto, anzi, per esprimere un forte sentimento di condanna, non solo per i giovani criminali da strada (tanti, anzi troppi, ne abbiamo visto anche a Genova), ma anche per chi in questi mesi e anni li ha armati di odio e rifiuto aprioristico dei "poteri precostituiti". E la morte di Carlo Giuliani è stata proprio la macabra conseguenza del frutto intriso di veleno, sparso abbondantemente da alcuni santoni pseudopacifisti e antiimperiali.
Non dimentichiamoci, comunque, dello sforzo immane delle forze dell'ordine, che, pur avendo agito in un contesto da guerriglia sudamericana, si sono ben comportate, salvo eventuali responsabilità personali disciplinari e/o penali (e per queste si muoveranno l'autorità di polizia e il potere giudiziario).
Insomma, con l'affermarsi della globalizzazione sarà inevitabile - e questo lo penso io - dotarsi, in questo nostro piccolo pianeta Terra, di istituzioni politiche che siano in grado di governarne la complessità, garantendo le identità locali ma, allo stesso tempo, controllando le modalità di sviluppo dei processi economico-finanziari.
E ora parliamo un pochino di noi. Dentro questa protesta collettiva non ci siamo; troppe, al suo interno, le anime a noi ostili. Intravedo però lo spazio - ovviamente per coloro che a destra non vedono solo il binomio statico, astratto e miope di "legge e ordine" - per una lotta diversa, consapevole e costruttiva, contro un certo modo di affermarsi della globalizzazione: basta soltanto rispolverare una coscienza critica, innanzitutto attraverso un percorso personale che ridefinisca, col tempo, una nuova coscienza comunitaria aperta e immune da tortuosi schematismi ideologici del passato. Bisogna però crederci e superare le tentazioni, sempre presenti nel nostro ambiente, di pensare di immunizzarci dai mali di questo mondo attraverso un salvifico percorso, diciamo di tipo ideale e/o mistico, esclusivamente personale. A volte sembra, infatti, che molti di noi abbiano un unico obiettivo, considerato "nobile ed elitario": essere d'accordo politicamente e idealmente addirittura con sé stessi (e sopportate, per un attimo, questa mia punta di sarcasmo). Ma ciò forse non basta se in testa, malgrado tutto, ci frulla ancora l'idea di cambiare anche radicalmente la società in cui viviamo.
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