EXCALIBUR 29 - settembre 2001
in questo numero

Libri: "La Sardegna nel regime fascista"

Un interessantissimo testo di Luisa Maria Plaisant per approfondire le posizioni del "sardo-fascismo"

di Angelo Abis
Sopra: la copertina del libro
di Luisa Maria Plaisant
Sotto: Enrico Endrich, esponente di spicco del sardo-fascismo, in divisa da federale
"La Sardegna nel regime fascista" non è un testo organico sulla "Sardegna fascista", bensì, come recita la prefazione, una «raccolta degli atti del convegno "Sardegna e Mezzogiorno nel ventennio fascista", organizzato dal nostro Istituto ("Istituto sardo per la storia della resistenza e dell'autonomia", n.d.a.) a Cagliari nel 1998».
I circa venti saggi che danno corpo al volume sono raggruppati sotto i seguenti argomenti: "Sardegna e Mezzogiorno", "economia politica", "la cultura tra fascismo e repubblica", "archivi e fonti". I saggi in questione risultano accorpati un po' disordinatamente; alcuni non sono proprio il meglio, sia per lo spessore dell'indagine sia per l'argomentazione. Pur tuttavia si può affermare che, nel complesso, questo volume rappresenta un grosso salto di qualità sullo stato degli studi sul fascismo in Sardegna, di cui, già in altre occasioni, abbiamo lamentato le vistose carenze, i mancati approfondimenti, le interpretazioni riduttive e partigiane. Interpretazioni ormai tutte da rivedere, come dice la stessa curatrice del volume, Luisa Maria Plaisant, nell'introduzione: «Occorre dunque superare una valutazione del fascismo come fenomeno tutto importato, cui la società isolana sarebbe rimasta sostanzialmente estranea e impenetrabile, per analizzare i modi di realizzazione dell'esperimento totalitario, se e quanto incise sugli assetti socio-economici e sulle forme di articolazione del potere politico». E ancora: «Una particolarità della storiografia del fascismo in Sardegna è che appare fortemente sbilanciata sugli anni delle origini. Degli anni trenta si è offerta spesso una lettura semplificata, che insiste nel processo di normalizzazione burocratica del regime, sulle caratteristiche generali dei trends produttivi, nel quadro di una profonda e generale arretratezza dell'isola [...]. Si può ritenere invece che sono proprio gli anni trenta, per il modo stesso in cui il fascismo vi persegue l'"utopia totalitaria", a fornire interessanti prospettive per l'analisi del rapporto tra masse e regime».
Del resto la Plaisant, non da oggi, rifiuta lo schema "politicamente corretto" del fascismo in Sardegna. Lo ammette a malincuore, nel suo saggio "La storiografia del fascismo in Sardegna", l'antifascistissimo Manlio Brigaglia: «A distanza di qualche anno dal seminario del 1976, Luisa Maria Plaisant stendeva alcuni appunti sulla storiografia del fascismo in Sardegna pubblicati su "Ichnusa". Vi sosteneva che negli studi sul fascismo in Sardegna dovevamo fare i conti, ancora, con due stereotipi: il primo era quello del ventennio fascista come stagnazione (economica, n.d.a.) e l'altro quello del primo fascismo come fenomeno d'importazione [...]. Nella sua "Storia della Sardegna durante il fascismo", lo stesso Sotgiu (Girolamo Sotgiu, autore del volume e storico marxista, n.d.a.) dedicava un capitolo intero alla discussione su quelle che erano state le origini del fascismo sardo, proprio per contestare la tesi (mia e di altri) che il fascismo fosse stato "importato" in Sardegna dal generale Gandolfo, cioè dalle istituzioni dello Stato. Ricordo che nel convegno del 1976 io e Sotgiu eravamo su fronti diversi: io dicevo che il fascismo non aveva cambiato nulla (sarebbe lo stereotipo della stagnazione totale, dell'immobilità) e Sotgiu sosteneva invece che il fascismo aveva modernizzato la Sardegna».
Ma indubbiamente l'aspetto più interessante e l'assoluta novità (almeno per gli studi accademici) è l'individuazione di un fascismo sardo assolutamente originale rispetto sia ai fascismi del centro-nord Italia, di matrice squadristica, sia a quelli meridionali, quasi tutti creati dai prefetti dopo la marcia su Roma, e perciò definiti "fascismi ministeriali". II fascismo sardo viene comunemente definito "sardo-fascismo". Ecco cosa dice lo storico meridionalista Giuseppe Barone nel saggio "Impulsi e processi di modernizzazione nel Mezzogiono fra le due guerre": «L'anomalia o la caratteristica del fascismo sardo è, come sappiamo, la confluenza del sardismo, o meglio di una parte importante di esso, nel fascismo. Due forze antisistema e in opposizione al notabilato locale, con forti elementi di differenziazione (pensiamo all'autonomismo o addirittura alle punte secessioniste o separatistiche del sardismo da un lato e al nazionalismo e all'unitarismo fascista dall'altro), ma anche con molti elementi di omogeneità. A unire combattentismo e fascismo erano certamente la critica alla democrazia parlamentare, una forte vena antisocialista, antioperaia e antiprotezionistica e soprattutto una fortissima polemica anticlientelare contro le vecchie consorterie. Vi erano tutte le condizioni perché sardismo e fascismo unissero i loro sforzi per disarticolare il vecchio blocco di potere e chiudere con l'esperienza politica del trasformismo». E ancora: «I sardo-fascisti al potere in quegli anni realizzarono una serie di importanti interventi nel tentativo di attuare alcuni punti specifici del programma sardista: una linea antimonopolistica nel settore cerealicolo e nel settore vinicolo, per esempio, e una rete di cantine sociali che in qualche modo liberassero i piccoli produttori dalla grande distribuzione commerciale e dall'ipoteca delle grandi aziende, come la "Vinalcool" dei Boi. È anche la linea personale di Pili, il potente federale cagliaritano del P.N.F., il quale, attraverso la federazione delle cooperative lattiero-casearie, cerca di costruire una rete di cooperative attraverso cui sottrarre il reddito di migliaia e migliaia di piccoli produttori alla speculazione dei commercianti e degli industriali caseari laziali, e in parte di quelli sardi».
Novità assoluta è anche il saggio di Luisa Maria Plaisant, "Il Partito Nazionale Fascista nella provincia di Cagliari", che esamina la funzione del P.N.F. nella creazione del consenso al regime e il ruolo politico di rilievo assunto da alcuni federali del partito, in particolare Pili e Endrich. II saggio di Simone Sechi, "1944: anno della fame e dell'esercizio della libertà", ha il pregio di storicizzare, descrivendolo ampiamente, il fascismo clandestino in Sardegna, completamente ignorato dalla storiografia locale, con l'unica e recente eccezione di Girolamo Sotgiu, che ne fa una qualche menzione nel suo già citato volume del 1995. Degno di nota è anche lo scritto di Giuliana Altea e Marco Magnani, "I parenti poveri - arte e fascismo in Sardegna", anche se l'unica arte di cui si parla è la pittura. E, per concludere, sono pure importanti gli interventi di alcuni funzionari degli Archivi di Stato e della Sovraintendenza Archivistica della Sardegna, che finalmente ci danno una panoramica dei documenti sul fascismo esistenti negli archivi pubblici e privati, della loro catalogazione, delle difficoltà e anche dei numerosi e inspiegabili veti che esistono per la loro consultazione.
Puntum dolens: nessuno si è cimentato nello studio della politica sociale, o socio-sanitaria, del fascismo in Sardegna; eppure la documentazione non manca, e i risultati sarebbero stati sicuramente interessanti.
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